— Signor Perelà, ecco il prato dell’amore.
— Si amano tutti costoro?
— Uno ama ed uno si lascia amare, di tutte quelle picce di cuori, quello che ama è certo di essere amato, quello che si lascia amare è certo di amare. È il dolce inganno questo.
— E se tutti e due si amassero?
— Il loro amore non esisterebbe, esisterebbe solo l’amore di ognuno, essi camminerebbero come due linee parallele e non s’incontrerebbero mai.
— E se nessuno dei due si amasse?
— Non verrebbero qui.
— E il loro amore dove li conduce?
— In nessun luogo, forse in una camera mobiliata.
Si estende là in mezzo alla valle il gran prato rotondo, è circondato da un viale e lo fiancheggiano due magnifici filari di ippocastani accoppiati. Là in mezzo, là sotto, vanno, vengono, s’incontrano, s’incrociano senza guardarsi fra loro, a centinaia le coppie di amanti, vanno, vengono, sostano, stretti l’uno all’altro, annodati, colle teste vicine, sussurrano, sorridono, si sfiorano, si stringono, si guardano, si bevono…. si asciugano.
Nessuno pone attenzione a quello che gli succede attorno, ed ogni due occhi non ne sanno vedere che altri due.
Fanciulle che torcono fra le mani rami di rose, fanciulle appena in boccio, esse sorridono mentre l’amante parla, e tacciono, ascoltano rapite, e quando si sentono troppo penetrate dagli occhi di lui abbassano i loro, e torturano quel ramo di rose, lo ritorcono. Donne mature, quasi vecchie, passeggiano con un giovane, quasi un fanciullo, esse incalzano le loro parole e spingono i loro occhi a punta di angolo acutissimo verso quel cuore, come un pugnale arabo. Allora è lui che abbassa il guardo, e continua il cammino con un sorriso pensieroso.
— Ma ditemi, che cosa si dicono tutti costoro?
— Parlano il linguaggio dell’amore. Voi potete supporre che i più brillanti e svariati argomenti siano trattati da quella brava gente. Ebbene, nessun argomento; uno solo, e il loro repertorio può giungere fino a venti o venticinque frasi uguali per tutti, taluno ne ha appena disponibili quattro o cinque, e compone la propria eloquenza di un silenzio rotto qua e là dai più ebeti monosillabi.
— L’amore non abbisogna di parole, esso vive come le grandi opere della natura, quelle cose che gli uomini chiamano mute perchè il loro linguaggio non lo capiscono.
— Forse.
Dal centro del prato in fondo si allunga un viale morbido erboso fiancheggiato di pioppi, i quali col sole riflettono sull’erba del viale, e sembra di cavalcare sulla schiena di una zebra, e le coppie vanno e vengono e s’incrociano sulle ombre dei lunghi pioppi, e sembra allora di cavalcare la schiena di una tigre. E si passa, si va, si viene senza essere osservati nel brulichìo di queste coppie….
— Pensano costoro?
— Neanche, la vita dell’uno si riversa in quella dell’altro per modo che nessuno vive più la propria vita ma quella dell’amore.
Quando si è giunti al limite del viale e lo si vede lungo steso dinanzi, s’apre in fondo, quasi vi fosse appeso, il grande prato rotondo.
E le coppie lentamente si muovono in un dolce ondeggiamento di culla, sembra ora che i pioppi si sieno avvicinati fra loro e si bacino, e anche gl’ippocastani nel fondo camminano due a due torno torno al viale abbracciati, lentamente come in un dolce sopore di vertigine tutto si muove ad un tratto, soave ondeggiamento di culla, in oscillazioni uguali, la lunga asta del viale e il disco del prato là in fondo…. il pendolo! L’immenso pendolo alto sul mondo che segna agli uomini gl’istanti….
— Signor Perelà l’ora è avanzata.
— E tutti costoro rimangono?
— Dopo il calare del sole voi vedreste le coppie sfilare, una ad una via dal prato, dirigersi alla città e via squagliarsi. Se ritornaste a buio appena fatto, e così a caso v’inoltraste nel prato, potreste udire qua e là dei gemiti lunghi, mal repressi….
— Qualcuno era rimasto?
— Sì.
Nell’oscurità della notte il pendolo va, va, va, va, nelle sue oscillazioni regolari, senza interruzione.