Al crepuscolo, quando la vettura con Perelà e il suo seguito rientrava nel cortile del palazzo, la reggia era tutta in scompiglio per questo fatto avvenuto, assai strano.

Alloro, il decano dei domestici reali, dalla sera avanti non era stato veduto. E siccome era addetto alle stanze del Re la sua assenza venne notata subito la mattina.

Si andò a cercarlo nella sua camera, e vi fu trovato tutto in ordine, il letto rifatto, il vecchio non doveva averci dormito.

Aveva una figlia che abitava in città, e dalla quale si recava spesso nelle ore libere, si corse da lei, ma essa non sapeva nulla, non lo aveva veduto da due giorni, la povera giovane entrò subito nella più orribile agitazione, disse di avere dei brutti presentimenti, temendo che suo padre avesse commessa qualche grossa sciocchezza. Quando due giorni prima era stato da lei l’ultima volta, si era mostrato di un’allegria così spinta e così insolita ch’ella ne era restata perplessa: sembrava invaso da un pensiero fisso che lo faceva ridere come un folle. Si era anche mostrato impaziente, egli che era solitamente silenzioso e calmo era diventato irrequieto, non poteva rimanere a lungo seduto, si alzava, andava alla finestra guardando distratto, non sentiva più quello che gli si diceva, perdeva il filo del discorso, e incominciava dipoi a stropicciarsi lesto lesto le mani l’una contro l’altra insaccando la testa nelle spalle tutto sorridente di speranza come uno che pensi di vincere un grosso premio della lotteria.

Fu cercato dappertutto. Quale ragione poteva farlo celare? All’ora della mensa non si presentò. Che gli fosse colto un malore mentre disimpegnava qualche servizio? Come? Dove? Era oramai settantenne e il caso era molto probabile. Fu rovistato ogni cantuccio, ogni nascondiglio, nulla. Si intraprese la ricerca nei sotterranei, nelle cantine, nei vecchi depositi di armi, per le antiche prigioni. Ed eccoci finalmente all’ultima grande volta, quella che sostiene il torrione angolare della reggia, la volta è chiusa, la porta è serrata per di dentro, ma da alcune impercettibili fessure s’insinuano acutissime, quasi inavvertibili, spire di fumo, e odore acuto di fumo si avverte tutto intorno. Quella porta viene presto con enormi picconi smantellata e cade. Una nube violenta, formidabile di fumo denso si rovescia sugli astanti che retrocedono mezzo accecati. Bisogna attendere che il fumo si scarichi un poco, così è impossibile di entrare, ma non appena esso incomincia a dileguarsi, a espandersi, tutti si precipitano ancora verso la soglia.

Sotto l’ampia volta del sotterraneo s’incomincia, fra la nube del fumo che si dilegua, a distinguere. Nel mezzo, in terra, una grande spianata di cenere e di carboni ancora qua e là accesi; al soffitto, dall’anella centrale, scende una catena di ferro, fino a due metri dal suolo, a quella è appeso in fondo…. come un crocicchio di tronchi carbonizzati, che si dondolano in mezzo orizzontalmente. Pareva proprio l’unione di due tronchi d’albero così rudimentalmente congiunti, e non era che un ultimo avanzo umano: Alloro.

Fu subito corso ad informarne il Re e tutta la corte; il fatto fece inorridire tutti, la povera Regina che si fece forza a udire il racconto diede alla fine un grido acutissimo e cadde priva di sensi.

Dopo pochi minuti tutti si trovavano nella penombra del sotterraneo attorno alla cenere e ai carboni non ancora completamente spenti, e tutti guardavano con aria esterrefatta l’avanzo di quell’uomo appeso che si dondolava girando lentamente su se stesso appena appena come per equilibrarsi nel suo atteggiamento orizzontale.

Si trattava di un assassinio?

Un assassinio in quelle circostanze?

Sotto il tetto regale?

Di un suicidio dunque?

E perchè quell’uomo aveva voluto finire tanto miseramente i suoi giorni? Quale ragione lo aveva spinto al passo disperato? Nessuno riusciva a trovarla questa ragione. Eppoi, come aveva potuto pensare a togliersi la vita scegliendo una sì atroce maniera di morire? Tutti attorno guardavano assorti, fantasticando nel proprio cervello e comunicando di tratto in tratto agli altri solo il proprio raccapriccio.

Uno paffuto piccolo, che pareva un abate, colle mani composte sulla pancia rotondetta, di tanto in tanto dava due scossettine dentro i panni, come sentisse mi grande prurito per la schiena e volesse grattarlo contro di essi.

La scena del sotterraneo era impressionante, l’aria calda, l’odore acutissimo del fumo non ancora bene dileguato, la spianata di ceneri bianche, il silenzio rotto dai sussurri.

Si faceva sera, non ci si vedeva quasi più là sotto, e furono accese agli angoli della volta, alcune torce.

La catena abbastanza grossa pendeva dall’anella del soffitto, ed in fondo l’uomo vi era allacciato con una catena più piccola che lo cingeva al petto sotto le ascelle. Così tutto carbonizzato il peso del cranio equilibrava perfettamente col resto del corpo e lo faceva rimanere orizzontale; le mani, i piedi non c’erano più, le gambe finivano come due tizzi a punta, e delle braccia rimanevano soltanto gli omeri spalancati.

Aveva dovuto radunare pazientemente un buon cumolo di legna, dipoi salendoci sopra, o con qualche sgabello, doveva avere allacciata alla catena che pendeva dal soffitto quella che gli cingeva il corpo, in qualche modo acceso il rogo…. e rimasto lì…. penzoloni come un salame…. ad aspettare la morte.

Come si può fare un così lungo preparativo di morte senza un pentimento? Come non essersi disciolto al primo lambire della fiamma le sue misere carni?

Non fu trovato nè una lettera che giustificasse, che spiegasse…. nulla, il vecchio non lasciava alcuno scritto.

Ecco giunge correndo, ansando, una giovine donna scarmigliata, trafelata, non è stato più possibile trattenerla, si è divincolata come un rettile sgusciandosi fra le mani pietose che la tenevano. Giunge cogli occhi sbarrati e al suo apparire alla soglia del sotterraneo spalanca la bocca come se dovesse ingoiare tutta l’aria dell’universo nei suoi polmoni d’un sol fiato perchè il suo grido possa dopo arrivare fino al cielo.

— Folle! Folle! Padre mio! Padre mio! Che hai fatto? Che hai fatto? Folle! Folle! E io che non ho imaginato! Credevi di poter divenire come Perelà!

— Perelà? Perelà? Perelà? — Tutti esclamano, nessuno aveva ancora saputo scorgere un legame fra Perelà e questo fatto. Ora tutti pensano, deducono, fantasticano, ricostruendo ognuno l’accaduto a modo proprio. — Perelà? Perelà? Perelà? Perelà?

— Che hai fatto? Perchè padre mio? Perchè padre mio? Perchè mi lasciasti? Perchè hai voluto troncare tutte e due le nostre vite?

— Perelà? Perelà? Perelà? — Tutti esclamano; la donna si contorce fra gli spasimi dei suoi singhiozzi.

— Divenire come Perelà?

— Ha voluto imitare Perelà?

— Non è possibile!

— Perchè non è possibile? Possibilissimo, sperava diventare di fumo anche lui.

— È diventato di carbone.

— Di fumo? Pianino!

— Diteci, povera ragazza, come vi venne questo sospetto?

— Da quando quell’uomo è qui, mi capite, Perelà, il mio povero padre è diventato pazzo! Egli, una volta, pochi giorni or sono, quasi mi fece intravedere la sua follìa, ma io non avrei mai supposto ch’egli fosse capace di tanto! Era divenuto demente di adorazione per quel mostro che viene qui ad introdurci la disgrazia!

— La disgrazia? La disgrazia? — Tutti ripetono sempre più stupiti. — La disgrazia?

— Sì la disgrazia! Assassino! Mio padre si è ucciso per lui? Egli ripeteva sempre: «Come potè divenire di fumo? Come fece?» Ed un giorno a me disse: «vorrei anch’io essere come lui!» E rideva di gioia al pensarlo. Oh! io non avrei mai creduto però che avesse osato tanto! Ed io sempre gli rispondeva: «credi tu che se noi bruciassimo rimarremmo come lui? Pazzo! Pazzo!» Io gli dicevo: «se tu bruciassi, tu moriresti, povero uomo, e faresti morire anche me di dolore!» Padre mio! Padre mio!

Le supposizioni erano svariatissime, chi non sapeva vedere un solo legame fra Perelà e l’accaduto, chi ce ne vedeva invece molti e strettissimi. Si assicurava che Perelà e Alloro erano stati veduti di sovente in segreto colloquio. Perelà gli affidava le sue commissioni, e il vecchio lo serviva pieno di giubilo, con tanto zelo, quanto non ne aveva avuto mai per nessun Re. Non gli avrebbe Perelà stesso inoculato la fisima nel cervello?

— In questo caso egli sbaglierebbe la sua propaganda. — Disse uno con un tono di straordinaria importanza.

— E di grosso!

— Come come come? Propaganda autoincendiaria? È formidabile! — Ripetè un altro con una pancia enorme ed una grossa faccia violacea.

L’incendiario di se stesso! — Incalzò uno piccolo piccolo con un vocino da beccafico, e due baffettini aghiformi e le lenti sopra un nasino così fino sulla costola da sembrare una lama di coltello.

— Folle! Folle!

— Che liquidazione! — Interruppe bonariamente un bell’ufficiale.

— L’uno farebbe lume all’altro! — Rincalzò il gentiluomo beccafico — come ai tempi di Nerone, come ai tempi di Nerone! — e rideva un suo ihihih….

Qualcuno ricostruiva l’operato con Perelà collaboratore di Alloro; Perelà avrebbe legato il vecchio alla catena, e il vecchio fanatico si sarebbe lasciato legare.

— Oppure…. chi sa…. — diceva dimenando la testa quadra uno alto secco coi capelli corti corti e grigi che gli nascevano a mezzo centimetro dalle sopracciglia, tipo di criminale — chi sa…. Chi poteva udire quello che succedeva quaggiù stanotte o stamani prima dell’alba?

Mentre si facevano tutte queste supposizioni la vettura con Perelà e il suo seguito rientrava nel cortile della reggia. Perelà veniva subito condotto nel sotterraneo..

— Vedi? Vedi che hai fatto? Vecchio rospo affumicato?

La donna fu fatta tacere, tutti intorno fissavano Perelà spiando la sua espressione, anelando la sua parola. Egli, guardava serenamente l’uomo ciondoloni e dopo qualche minuto di assoluto silenzio si lasciò sfuggire dalla bocca alitate dolcemente queste tre parole: «voleva divenire leggero».

La perfetta calma colla quale furono pronunziate, la dolcezza dell’espressione colla quale Perelà guardava quell’avanzo di suicidio, quel teatro di morte, inasprì e stupì talmente gli astanti che tutti parlarono ad un tempo.

L’aiutante del Re si avvicinò a Perelà in tono molto mansueto, untuoso, quasi per condurlo a ragionare, e gli disse piano con molta deferenza:

— Divenir leggero…. va bene mio caro…. ma… egli voleva uccidersi mi pare! Divenir leggero…. altro che leggero, si è ucciso…. non è la stessa cosa….

— Capperi! — acutizzò il beccafico.

— Bisognerà chiarire questo torbo — borbottò il gentiluomo delinquente.

— Qui se non usciamo si crepa! — sbuffò il grassone dalla faccia violacea che era divenuta gonfia come un pallone. — Ahuff!

Perelà non disse altro.

Poco alla volta non rimasero nel sotterraneo che la figlia di Alloro, mezza stupidita dal dolore e con due lagrime ghiacciate all’argine delle ciglia che non potevano più sgorgare, rimasero alcuni domestici, e i gentiluomini e gli ufficiali e soldati risalirono tutti negli appartamenti della reggia.

Furono fatte grandi osservazioni sull’indifferenza di Perelà, egli fu trovato per la prima volta indifferente.

Si andò dal Re a riportare il resoconto dell’accaduto. La fine di Alloro e l’indifferenza di Perelà, indifferenza che taluno osò, tra un brivido e l’altro, chiamare timidamente cinismo. Nessuno però volle esprimere chiaramente il proprio parere, e l’uno invocava tacitamente quello dell’altro, ognuno sperando in ognuno come primo lanciatore di un’accusa senza volerlo essere nessuno.

Si concluse convocando per la sera stessa il consiglio di Stato.

La rivista militare, che doveva aver luogo domattina, è stata rimandata.