Una recita. Un viaggio veramente straordinario
Ogni abitante di Copenaghen sa bene come è l’ingresso del Frederiks Hospital, ma dato che probabilmente anche alcuni lettori che non abitano a Copenaghen leggeranno questa storia, dovremo darne una breve descrizione.
L’ospedale è separato dalla strada da una cancellata piuttosto alta le cui sbarre di ferro, abbastanza grosse, sono così lontane fra loro che si racconta che dottorini molto sottili siano riusciti a infilarsi tra queste per fare qualche breve visita fuori dall’ospedale.
La parte del corpo che però è più diffìcile da portare fuori è sempre stata la testa; qui, come spesso nel mondo, i più fortunati erano quelli con la testa piccola. Questo dovrebbe bastare come introduzione.
Uno dei giovani volontari di cui si potrebbe dire che avesse una gran testa, ma solo per quanto riguardava l’aspetto, era di turno quella sera; e pioveva terribilmente. Eppure, nonostante questi due ostacoli, lui voleva uscire, solo per un quarto d’ora, e pensava non fosse qualcosa che valeva la pena di confidare al portiere, quando poteva passare tra quelle sbarre di ferro. Lì vicino c’erano le soprascarpe che la guardia notturna aveva dimenticato; naturalmente il dottorino non sapeva che fossero quelle della felicità: le infilò perché pensava sarebbero state ottime con quel tempo. Ora doveva cercare di passare attraverso le sbarre e non aveva mai provato prima di allora. Arrivò vicino al cancello.
“Se solo avessi già la testa dall’altra parte!” disse e subito, nonostante fosse molto grossa, la testa passò con facilità e felicemente attraverso le sbarre; era stato merito delle soprascarpe, ma ora doveva passare anche il corpo.
“Oh, sono troppo grasso!” esclamò “pensavo che la testa fosse la cosa peggiore, ma adesso non riesco a passare.”
Allora volle riportare indietro la testa, ma non ci riuscì. Poteva tranquillamente muovere il collo, ma era l’unica cosa che riusciva a fare. Per prima cosa si arrabbiò, poi fu preso da una depressione profonda. Le soprascarpe della felicità lo avevano messo in una posizione molto brutta, e sfortunatamente non pensava a desiderare di essere libero; no, cercava di agire e così non riusciva a levarsi da quel posto. La pioggia continuava a scrosciare, ma non si vedeva nessuno per la strada. Il campanello era irraggiungibile, come poteva liberarsi? Si disse che sarebbe rimasto lì fino al mattino, poi avrebbero dovuto chiamare un fabbro per segare le sbarre di ferro, ma non sarebbe accaduto molto in fretta; prima sarebbero passati tutti gli scolaretti vestiti di blu, poi tutti i marinai sarebbero arrivati per vederlo lì intrappolato, ci sarebbe certo stata una folla molto maggiore che per la gigantesca agave dell’anno scorso. “Oh! il sangue mi va alla testa, così impazzisco! Sì, impazzisco! Ah, se solo fossi libero di nuovo, allora starci certo meglio!”
Ecco questo lo avrebbe dovuto dire un po’ prima; nello stesso momento in cui il pensiero venne espresso si trovò con la testa libera e si precipitò nella sua stanza, fuori di sé per lo spavento che le soprascarpe della felicità gli avevano procurato.
Ma non dobbiamo credere che tutto fosse finito, anzi ora viene il peggio.
Passò la notte e il giorno successivo e nessuno venne a prendere le soprascarpe.
Di sera doveva esserci una rappresentazione nel piccolo teatro di Kannikestraede. Il locale era pieno zeppo; tra i diversi numeri veniva recitata una nuova poesia. Ora l’ascolteremo.
Il titolo era
GLI OCCHIALI DELLA NONNA
L’intelligenza della mia nonna è conosciuta.
Se si fosse nei tempi passati, lei verrebbe certo bruciata.
Conosce tutto quello che accade, sì, ancora di più,
vede persino nell’anno venturo, sì,
ma non vuole dirlo chiaramente.
Che cosa accadrà quindi l’anno prossimo?
Che accadrà di strano? Sì, mi piacerebbe vedere
il mio destino, quello dell’arte e del nostro paese,
ma la nonna non vuole che venga detto.
Io l’ho tormentata tanto che l’ho convinta,
prima è rimasta zitta, poi si è fatta piccola,
e mi ha fatto un lungo discorso senza senso.
Io infatti sono il suo preferito!
Per questa volta esaudirò il tuo desiderio,
cominciò, dandomi i suoi occhiali.
Ora vai in un luogo, a tua scelta,
in un luogo dove ci siano molte persone,
dove tu possa vederle, mettiti in qualche posto,
e guarda quella folla attraverso i miei occhiali;
subito, tutti quanti, credimi,
appariranno come un gioco di carte aperto sul tavolo;
con questi potrai prevedere quello che accadrà!
Io la ringraziai e corsi via, volevo vedere,
ma pensai, dove si raduna tanta gente?
A Langelinie? Lì ci si prende un malanno.
In 0stergade? Oh, lì c’è un tale fango!
A teatro? Questa è un’idea.
Lo spettacolo della sera è proprio l’ideale.
E eccomi qui! Ora mi presento.
Permettetemi di usare gli occhiali della nonna
solo per vedere, ma non me ne vado!
vedere se voi apparite come un gioco di carte,
dal quale io possa prevedere quel che il tempo riserba.
Io interpreto il vostro silenzio come un’affermazione,
sarete resi partecipi di un grande segreto.
Qui siamo tutti in gioco. Io guardo per voi, per me,
per il paese e per il nostro regno.
Ora voglio vedere quello che dicono le carte.
E si mise gli occhiali.)
Oh, è vero! No, adesso devo ridere!
Oh, se solo voleste venir su a vedere anche voi!
Oh, quante carte di re e di fanti!
e le donne di cuori, c’è tutta la serie,
e poi le carte nere, le picche e i fiori.
Ora ho proprio una bella vista!
Io vedo la dama di picche bella grossa
che rivolge i suoi pensieri al fante di quadri.
E questa vista mi rende ubriaco!
Ci sono molti soldi qui in teatro,
e stranieri che vengono dall’altra parte del mondo.
Ma non è quello che volevamo sapere.
Sulle classi sociali? Vediamo… nel futuro.
Ma di ciò si leggerà in seguito.
Se adesso parlassi, danneggerei la rivista,
e io non voglio togliere il meglio dal piatto.
E il teatro? Che novità, il gusto, la tonalità?
no, voglio stare in buoni rapporti col direttore.
E il mio futuro? E già, voi sapete che le nostre cose
sono molto care al nostro cuore!
Lo vedo! Non posso dire cosa vedo, ma voi lo saprete non appena accadrà. Chi è il più felice di noi quaggiù?
11 più felice? Posso trovarlo facilmente. E no, potrebbe facilmente dar fastidio, probabilmente rattristerebbe molti!
Chi vivrà più a lungo? Quella donna laggiù o quel signore?
No, se lo rivelassi sarebbe molto peggio!
Devo rivelare qualcosa? No! Qualcosa? No! Qualcosa? No!
Be’, alla fine non lo so più neppure io.
Sono imbarazzato, è facile ferire qualcuno,
ora vedo quello che voi credete e pensate,
io tacerò con la mia capacità di prevedere.
Voi credete? No! Che cosa? Qui intorno
credete che finirà con un bel niente.
Sapete certamente che non otterrete nulla.
Allora taccio, solenne assemblea,
vi lascerò le vostre opinioni!
La poesia venne recitata splendidamente e il recitante ebbe grande successo. Tra gli spettatori c’era anche il volontario dell’ospedale, che sembrava avesse dimenticato l’avventura della notte precedente, ma le soprascarpe le aveva ancora ai piedi perché non erano state ritirate e, dato che c’era fango per la strada, gli tornavano utili.
A lui la poesia piacque.
Pensò molto a quell’idea, gli sarebbe piaciuto avere occhiali simili, forse, se si fossero usati nel modo giusto, si sarebbe potuta vedere la gente proprio nel cuore, e quello sarebbe stato molto più interessante, pensava, che non vedere quello che sarebbe accaduto l’anno prossimo, perché questo si viene comunque a sapere, mentre il resto non si conosce mai. “Mi piacerebbe tanto poter guardare nel cuore di tutte quelle signore della prima fila là davanti, sì, dovrebbe essere uno spazio aperto, una specie di negozio; ah, quante cose potrebbero vedere i miei occhi in quel negozio! In quella signora troverei senz’altro una grande commerciante di moda! In quell’altra il negozio sarà vuoto, e dovrà essere ripulito. Ma ci saranno anche negozi rispettabili! Eh sì!” sospirò “ne conosco uno in cui tutto è molto rispettabile, ma dentro c’è già un garzone, e questa è l’unica cosa cattiva del negozio. Da uno o dall’altro si sentirebbe gridare: ‘Prego accomodatevi!’ sì, mi piacerebbe proprio entrarci, come un piccolo pensiero che passa attraverso i cuori!”
Ecco, queste parole bastarono alle soprascarpe; il volontario divenne sempre più piccolo e cominciò uno stranissimo viaggio proprio in mezzo ai cuori di quelli della prima fila. Il primo cuore in cui passò apparteneva a una signora; ma lui subito credette di essere in un istituto ortopedico, quella casa dove il dottore elimina i difetti della gente e raddrizza le persone; si trovava nella stanza in cui i calchi di gesso degli arti anormali erano appesi alla parete, l’unica differenza era che all’istituto i calchi vengono presi quando il paziente entra, mentre qui nel cuore erano presi e conservati quando le brave persone se n’erano andate. Erano i calchi delle amiche, i loro difetti fisici e spirituali, che qui venivano conservati.
Passò velocemente in un altro cuore di donna, e questo gli sembrò una grande chiesa. Le bianche colombe dell’innocenza volavano intorno all’altare maggiore; si sarebbe inginocchiato volentieri, ma doveva proseguire, entrare in un nuovo cuore, ma ancora sentiva la musica dell’organo e gli sembrava addirittura di essere diventato migliore; si sentì degno di entrare nel nuovo santuario. Questo era una soffitta molto povera dove abitava una madre malata; ma attraverso la finestra aperta entravano i caldi raggi del sole di Dio, belle rose si affacciavano dalla cassetta di legno sul tetto, e due uccelli azzurri come il cielo cantavano pieni di gioia, mentre la madre ammalata implorava la benedizione sulla sua figliola.
Poi lui camminò carponi attraverso una macelleria piena fino all’orlo; vedeva carne e ancora carne, era il cuore di un ricco molto rispettabile il cui nome sicuramente si trova tra le persone importanti.
Poi entrò nel cuore della moglie di questo, e vide una vecchia piccionaia cadente; il ritratto del marito veniva usato come segnavento e era stato collegato con le porte, in modo che queste si aprissero e si chiudessero non appena l’uomo si muoveva.
Poi entrò in uno studio pieno di specchi, come quello che si trova nel Castello di Rosenborg, ma gli specchi ingrandivano terribilmente. In mezzo alla stanza c’era seduto, come un Dalai-Lama, l’insignificante Io di una persona, assorto nell’ammirare la propria grandezza.
Quindi sembrò al dottorino di essere entrato in una casa stretta piena di aghi appuntiti, pensò che fosse il cuore di una vecchia zitella, ma in realtà era quello di un giovane militare che aveva avuto molte decorazioni, uno di quelli che si dicono uomini di spirito e di cuore.
Completamente stordito, il giovane volontario uscì dall’ultimo cuore della fila e non riuscì a rimettere in ordine i suoi pensieri, gli sembrò che la sua fantasia, troppo ricca, gli avesse preso la mano.
“Oh, Signore” sospirò “sto certo diventando pazzo! E poi qui fa un caldo insopportabile! Il sangue mi va alla testa!” E allora ricordò quei grandi avvenimenti della sera prima, come la sua testa si era infilata tra le sbarre di ferro dell’ospedale. “È tutta colpa di quello!” pensò. “Devo subito correre ai ripari. Un bagno turco potrebbe essere una buona idea. Se solo mi trovassi già sulla panca più alta!”
E subito si trovò sulla panca più alta in un bagno di vapore, ma era là con tutti i suoi vestiti, con gli stivali e le soprascarpe; e le gocce bollenti di acqua dal soffitto gli cadevano sul viso.
“Ahi!” gridò e si precipitò giù per farsi una doccia. Anche il guardiano si mise a gridare quando vide che c’era un uomo totalmente vestito là dentro.
Il volontario aveva avuto tanto buon senso da sussurrargli: “È una scommessa!” ma la prima cosa che fece, quando tornò nella sua camera, fu di mettersi un gran foglio di carta vetrata sulla schiena e uno sulle spalle, affinché la pazzia uscisse da lui.
Il mattino dopo si ritrovò con la schiena sanguinante, e questo fu tutto quanto guadagnò con le soprascarpe della felicità.