Guarda, c’è un paio di soprascarpe!” disse il guardiano notturno “sono senza dubbio del tenente che abita qui sopra. Stanno proprio vicino alla sua porta!”

Quel brav’uomo avrebbe suonato al tenente per consegnargliele, dato che c’era ancora la luce accesa, ma non voleva svegliare le altre persone della casa e perciò lasciò perdere.

“Devono essere proprio belle calde da portare ai piedi!” pensò. “Sono di una pelle molto morbida!” E gli andavano proprio bene. “Com’è strano il mondo! Lui ora potrebbe andarsene a letto, e invece cosa fa? Cammina avanti e indietro per la stanza! E è una persona fortunata; non ha né moglie né bambini. Ogni sera è in società; se solo fossi lui, sarei un uomo felice!”

Mentre esprimeva questo suo desiderio, le soprascarpe della felicità che aveva ai piedi agirono immediatamente: la guardia notturna si trovò nella persona e nei pensieri del tenente. Si trovò nella stanza a tenere tra le dita un piccolo foglio rosa su cui c’era una poesia, una poesia scritta dal tenente stesso: non c’è nessuno che nella propria vita non abbia avuto voglia di poetare e non abbia scritto i suoi pensieri che così si sono trasformati in versi. Lì c’era scritto:

Se solo fossi ricco! pregai molte volte, quando ancora ero un bambinetto. Se solo fossi ricco, diventerei ufficiale, avrei una sciabola, l’uniforme e una piuma. Quel tempo poi venne, e io divenni ufficiale, ma non divenni mai ricco, purtroppo Mi aiutasse il Signore!

Felice e giovane, mi trovavo di sera,

una fanciulla di sette anni mi baciava la bocca,

perché ero ricco di fiabe e di racconti,

ma povero ero di denari;

ma la fanciulla era interessata solo alle favole,

di quelle ero ricco, ma non di oro,

e questo il Signore lo sa!

Se solo fossi ricco! è finita la mia preghiera a Dio,

ora la bimba di sette anni è cresciuta,

è così bella, intelligente, buona,

se lei capisse la favola del mio cuore,

se lei, come prima, mi fosse amica

ma io sono povero, e perciò taccio, così vuole il Signore.

Se io fossi ricco di consolazione e di pace,

allora il mio dolore non sarebbe stato scritto sulla carta!

Tu, che io amo, se tu mi capissi,

leggi questo, come una poesia degli anni della gioventù!

Ma è meglio se tu non lo comprendi,

io sono povero, il mio futuro è buio,

che il Signore ti benedica!

Sì, si scrivono questi versi quando si è innamorati, ma un uomo intelligente poi non li pubblica. Il fatto di essere tenente, l’amore, la povertà, sono un triangolo, o meglio, metà del dado spezzato della felicità. Il tenente provava tutto questo, e appoggiava la testa sul davanzale della finestra sospirando profondamente: “Quel povero guardiano laggiù sulla strada è molto più felice di me! Lui non sa che cos’è la nostalgia, lui ha una casa, una moglie e dei bambini che piangono con lui le sue pene e gioiscono alla sua gioia! Ah, sarei molto più felice di quello che sono, se potessi cambiare posto con lui, perché lui è sicuramente più felice di me!.”

In quel momento il guardiano notturno tornò a far la guardia: le soprascarpe della felicità lo avevano reso tenente, come abbiamo visto, ma lui si era sentito così poco soddisfatto che voleva tornare a essere quello che era. Quindi il guardiano notturno tornò a fare il guardiano.

“Che brutto sogno!” esclamò “ma era molto strano. Mi sembrava di essere il tenente che c’è lassù e non era affatto divertente. Avevo nostalgia di mia moglie e dei bambini che sono sempre pronti a ricoprirmi di baci!”

Tornò a sedersi e lasciò cadere la testa; il sogno non voleva levarsi dalla mente, e lui indossava ancora quelle soprascarpe. In quel momento una stella cadente solcò il cielo.

“È caduta” disse “ma ce ne sono ancora! Mi piacerebbe proprio vedere quelle cose più da vicino, soprattutto la luna, perché quella non può certo scappare dalle mani. Quando moriamo, così almeno racconta lo studente a cui mia moglie fa le pulizie, voliamo da una stella all’altra. È senz’altro una menzogna, ma potrebbe anche essere vero. Mi piacerebbe fare un saltino lassù, ma il corpo può anche restare qui sulla scala!”

Bisogna essere molto accorti nell’esprimere certi pensieri nel mondo, ma bisognerebbe stare ancora più attenti quando si hanno le soprascarpe della felicità ai piedi.

Sentite che cosa accadde al guardiano notturno.

Per quanto riguarda noi uomini, conosciamo quasi tutte le velocità del vapore acqueo, le abbiamo provate sia sul treno che con le navi che solcano il mare, eppure quella è come la camminata di un pigrone o la marcia di una lumaca, in rapporto alla velocità della luce; questa va 19 milioni di volte più veloce della migliore prestazione in una gara, e l’elettricità è ancora più veloce. La morte è una scossa elettrica che riceviamo nel cuore; sulle ali dell’elettricità l’anima liberata vola via. In otto minuti e pochi secondi la luce del sole compie un viaggio di oltre 20 milioni di miglia; con la velocità dell’elettricità l’anima ha bisogno di pochissimi minuti per fare lo stesso percorso. Lo spazio tra i vari corpi celesti non è, a quella velocità, più grande dello spazio che c’è tra noi e la casa dei nostri amici, anche se quelli abitano molto vicino a noi. Questa scossa elettrica al cuore però ci toglie l’uso del corpo; naturalmente se non abbiamo, come il guardiano notturno, le soprascarpe della felicità ai piedi.

In pochi secondi il guardiano notturno aveva percorso le 52.000 miglia fino alla luna che, come si sa, è costituita di un materiale molto più leggero della terra, e che è soffice, quasi come la neve appena caduta.

Si trovò su uno di quegli innumerevoli crateri che conosciamo dalla grande carta della luna del dottor Madler; questa la conosci, vero? Nella parte interna il cratere sprofondava come un calice, per un intero miglio danese; in fondo si trovava una città che aveva l’aspetto di un bianco d’uovo in un bicchiere d’acqua, molle e piena di torri, di cupole e balconi a forma di vela, trasparenti e fluttuanti nell’aria leggera; la nostra terra era sospesa, come un grande globo di rosso fuoco, sopra la testa del guardiano.

C’erano molte creature e tutte della specie che noi chiamiamo umana, ma avevano un aspetto diverso dal nostro; avevano una loro lingua, nessuno poteva pretendere che l’anima del guardiano notturno sapesse capirla, eppure lui sapeva.

L’anima del guardiano capiva molto bene la lingua degli abitanti della luna. Stavano discutendo della nostra terra e mettevano in dubbio che fosse abitata, perché l’aria era troppo pesante affinché una qualunque creatura lunare potesse abitarvi. Secondo loro solo la luna era abitata da esseri viventi, era l’unico corpo celeste dove abitavano le vecchie popolazioni del cielo.

Ma adesso torniamo a 0stergade a vedere come stava il corpo del guardiano. Il bastone gli era caduto di mano e gli occhi guardavano verso la luna alla ricerca di quell’anima onesta che se n’era andata lassù.

“Che ore sono, guardiano?” chiese un passante. Ma il guardiano non rispose, così quello gli diede un pizzicotto sul naso e gli fece perdere l’equilibrio. Il corpo finì lungo e disteso sulla strada: l’uomo era morto. Quello che lo aveva pizzicato si spaventò terribilmente; il guardiano era morto e morto restava; fu data la notizia e se ne parlò molto, al mattino, poi portarono il corpo in ospedale.

Sarebbe stato proprio un bello spasso per l’anima, una volta tornata indietro, cercare il suo corpo in 0stergade, come certamente avrebbe fatto, senza trovarlo. Probabilmente sarebbe andata per prima cosa alla polizia, poi all’ufficio informazioni e poi sicuramente all’ufficio oggetti smarriti, e solo alla fine all’ospedale. Ma possiamo consolarci, perché l’anima è intelligente, quando è da sola, è il corpo che la rende stupida.

Come ho già detto, il corpo del guardiano giunse all’ospedale, e fu portato in un locale per essere lavato. Per prima cosa naturalmente gli tolsero le soprascarpe e subito l’anima dovette ritornare lì; si diresse immediatamente verso il corpo e in un attimo tornò la vita in quell’uomo. Egli assicurò di aver passato la più terribile notte della sua vita; disse che non avrebbe voluto provare le stesse sensazioni nemmeno per due marchi, ma ormai tutto era passato.

Lo stesso giorno fu dimesso dall’ospedale, ma le soprascarpe rimasero lì.