26 Maggio 1884.

Ieri un acquafrescaio del vico Marconiglio è stato spedito all’ospedale dei matti. Era un giovane pallido, un po’ grasso, muto e pensoso. Altri dà di volta per mancanza di denaro, per fede politica, per ambizione; costui è impazzito per l’acqua di Serino. Così dicono quelli della sua famiglia, in cui la professione di venditori d’acqua è atavica. Ma il vicinato dice di no: dice che Peppino Battimelli è ammattito perchè non s’è sposato.

Peppino Battimelli aveva la sua banca in un cantuccio in penombra, nel vico Marconiglio, sotto un balconcello dalla balaustra di colonnine di legno, una balaustra a petto di colombo, come se ne vedono spesso nei quartieri bassi di Napoli. Tra le colonnine barocche, in maggio, le rose d’una capèra fanno capolino qua e là e l’edera selvaggia s’attorciglia al legno antico. Un merlo impertinente ripete, senza mai stancarsi,  il suo ritornello, chiaro e vivace, da una gabbia che rimane, anche la notte, attaccata a un chiodo, fuori al balconcello. Disotto c’era la banca Battimelli. Niente di più primitivo della pittorica decorazione di questa banca. Sulla faccia di mezzo una larga via, una signora ed un signore a braccetto, con alle calcagne un cagnolino. Alberelli in fila a destra e a manca. Cielo di verderame carico. Sulla faccia a sinistra una fontana publica tra cespi di fiori strani, un ragazzetto che si manda innanzi il cerchio e, in fondo, un palazzo rosso con le finestre verdi. Sulla faccia a destra il mare: un pescatore accoccolato sopra uno scoglio ha preso all’amo un pesce più grande di lui e lo tira su con la lenza. In fondo il Vesuvio in eruzione. È giorno, ma il pittore se n’è scordato e ha fatto scendere per le falde del monte la lava rossa. Alcune bianche vele s’allontanano pel mare.

Tutto ciò pei monellucci del vico Marconiglio era stupendo. Nella controra afosa tre o quattro di loro, non avendo da fare altro, si mettevano, in contemplazione dei dipinti della banca, inginocchiati come innanzi ad una immagine di Santa Lucia benedetta. Peppino Battimelli, in camicia azzurra, rimboccate le maniche fino ai gomiti, sognava, da un gran seggiolone che lo faceva troneggiare sulla banca, sui limoni in fila, sulla fila riverberante delle giarre di vetro sottile, capacissime. Un alito di fuoco passava nel vicoletto, al tramonto: le pietre sconnesse del selciato ardevano. Ma la luce, in questo vico Marconiglio stretto e scuro, anche nell’estate, è mite; sul cadere del sole, mentre la gente si sveglia dal torpore della giornata, il vico si rianima di moto e di voci; la capèra s’affaccia, sbadigliando, al suo balconcello e incorona per poco la balaustra con le bianche sue braccia nude, tornite e lisce. Rimane un poco a guardare nella viuzza, chiacchiera con una sua comare, e torna in camera per riuscirne dopo un pezzetto, con un secchio in mano. Inaffia le rose e si china ad aspirarne il profumo. Quando c’era di sotto Peppino Battimelli la capèra lo salutava, picchiando col secchio di latta sulla balaustra.

— Peppì, bonasera!

Egli rispondeva, con gli occhi levati:

— Bonasera.

— Sentite che caldo?

— Sì.

— Peppì, io sto adacquanno ‘e teste: si cade l’acqua dicitemmello, ca me dispiace.

— Nonzignore, l’acqua nun cade.

— Pecchè me dispiaciarria, Peppì….

— Nonzignore.

La capèra sospirava e rientrava, lentamente. Impossibile commovere quest’acquaiuolo malinconico. Nella stanzetta, che già andava accogliendo dolci penombre, lo specchio luceva in un cantuccio. La capèra ha dovuto spesso mirarvisi. Ancora i capelli neri erano copiosi e belli, ancora, tra la lor frangia diffusa, gli occhi neri splendevano, ancora la bella bocca era rosea. Che importava la sua vedovanza? A volte meglio una vedova che una zitella. Ma Peppino non ne voleva sapere. Che peccato!

Verso le cinque o le sei della sera le comari del vico spazzavano le case. Qualcuna si pigliava briga di rinfrescare il selciato arso, buttando acqua qua e là. Il selciato si macchiava di tante chiazze nere, da cui saliva un tanfo di polvere cacciata via dall’acqua. La viuzza faceva toletta. Ma, dopo, aspettando che vi arrivassero da tutte le altre vie del quartiere gli operai dal lavoro, le femmine dalla fabbrica dei tabacchi, le rivettatrici dalle botteghe dei calzolai, i cenciaiuoli ambulanti con la gerla piena di stracci e di cappelli vecchi, la viuzza taceva, presa da quella malinconica pace delle stradicciuole napoletane ove ogni casa nasconde e cova un dolore.

Peppino Battimelli continuava a meditare.

***

Tempo fa capitò nel vico la mamma, una vecchia. Chiese conto a tutto il vicinato di quello che il figlio di lei, Peppino, usasse di fare, stando a vendere acqua. Risposero tutti: Che volete che faccia? Vende l’acqua.

— Diciteme ‘a verità! — insisteva la vecchia.

— Ma ch’è stato?

Allora quella raccontò che il figlio aveva dato di volta. Non si sapeva perchè. Non aveva voluto mangiare, non bere; s’era spogliato nudo e voleva precipitarsi dal balcone. Un balcone al quinto piano, al vico Fico. Nemmeno l’ossa si sarebbero trovate!

— Ma avite appurato pecche è mpazzuto?

— Gioia mia, pe l’acqua d’o Serino. L’acqua nosta nun se veve cchiù. A che simmo arrivate! Come fosse veleno!

— A casa — seguitò la vecchia — Peppino parlava sempre dell’acqua di Serino. Un’ingiunzione municipale che ordina agli acquafrescai di non vendere acqua che non sia di Serino aveva colpito pur lui, giorni addietro. Il giovanotto se c’era fissato. Domenica scorsa, bestemmiando, — Gesù, lui che non ha mai bestemmiato! — in un impeto frenetico ha afferrato un coltello e si voleva ammazzare. Poi ha strappato la chiave all’uscio di casa e se l’ha data in capo e s’è ferito. Il medico ha detto che è pazzo….

La vecchia piangeva. Tutte le comari si sono intenerite e anche la capèra, dal suo balconcello pieno di rose. Intorno alla vecchia s’era radunata gran gente. Quando la madre di Peppino se n’è andata i commenti duravano ancora.

— Vuie vedite ‘a fantasia ‘e ll’ommo addò va a sbattere! — ha esclamato una rossa, in camicetta bianca.

E ho visto la capèra che rispondeva dal balconcello, col secchietto in mano:

— Quanno uno sta sulo sbarea. Quann’è nzurato penza ‘a mugliera. Chi tene belli denare sempe conta, e chi tene bella mugliera sempe canta!

— È overo, — ha detto la rossa. — Ma Peppino ‘o teneva o nun ‘o teneva ‘o core mpietto?

— Io che saccio? — ha esclamato la capèra, ridendo.

La rossa, che ha intorno una nidiata di marmocchi, ha levato le braccia, gridando a tutti i maschi del vico:

— Uommene! Uommene! Nzurateve!

Il mistico matto era dimenticato. Le femmine gridavano con la rossa, le braccia levate:

— Nzurateve! Nzurateve!

E sulle soglie dei bassi, nelle botteghe, nella via, gli uomini ridevano, contentissimi, e ridevano pur le femmine che li incitavano ad ammogliarsi, e negli sguardi accesi degli uni e delle altre il desiderio luceva. Era, in quest’ora, ancor tutto caldo di sole il vicoletto. E il diavolo del terzo peccato alitava su tutte quelle facce sudate, passando improvvisamente tra quello scoppio d’urlante sensualità plebea….