I.

In quella calda giornata di maggio, Ernesto Landi faceva un po’ di siesta dopo colazione quando sentì picchiar forte all’uscio.

— Chi è? — egli borbottò fra la veglia e il sonno.

— Sono io. Si può entrare?

— Un momento, — rispose Landi levandosi a sedere. — Un momento. Aspettami di là.

Egli aveva riconosciuto la voce di Lidia, la moglie di suo nipote Fìdoli, nella cui casa egli abitava da alcuni anni.

— Spicciati, — ripetè dal di fuori la voce piena d’orgasmo.

— Un momento. Ci sono disgrazie?

— Or ora ti dirò.

— Valentina?

— È a scuola.

— Lo so…. Temevo le fosse accaduto qualcosa.

— No, grazie al cielo, non si tratta di lei…. Ma se vengo a disturbarti così, avrò le mie ragioni…. Sei a letto che ti chiudi a chiave?

— Fa conto ch’io fossi a letto…. Ero svestito…. Non cascherà il mondo se aspetti un minuto.

I minuti della toilette di suo zio parevano sempre lunghi alla Lidia; quel giorno le parvero eterni, bench’egli si affrettasse assai più del solito.

— In nome di Dio, — ella disse allorch’egli si mostrò sulla soglia, in veste da camera, terminando di farsi il nodo della cravatta.

Era un uomo verso la sessantina, di persona ancora svelta ed elegante, di lineamenti regolari, ma con gli occhi pesti, con la pelle del viso alquanto floscia e aggrinzita, segni infallibili di abitudini dissipate. Del rimanente, come accade a molti libertini, Ernesto Landi riusciva simpatico, oltre che per l’aspetto piacevole, anche pei modi bonari e per una certa facile arguzia.

Egli stava per protestare contro le impazienze della nipote, ma la fisonomia stravolta di lei lo dissuase dalle recriminazioni. Domandò invece: — Che cos’è successo?

Lidia gli porse una lettera, intimandogli: — Leggi.

Ernesto Landi si avvicinò alla finestra, sollevò alquanto le stecche delle persiane per far entrare più luce nella stanza, e guardò con la lente la soprascritta, di cui, sulle prime, non parve riconoscere la calligrafia.

— È una lettera diretta a tuo marito, — egli disse senza decidersi a levarla dalla busta. — Signor avvocato Carlo Fìdoli.-Sue mani.

— Sì, la busta non l’ho aperta io. L’ho trovata aperta…. E pure quei caratteri dovrebbero esserti familiari….

Ernesto fissò con maggiore attenzione la soprascritta. — Ah! — egli fece. E slanciò a Lidia un’occhiata interrogativa.

Questa vide che lo zio aveva capito, e nel timore ch’egli potesse voler trattenersi la lettera, gliela strappò vivamente di mano.

— Sicuro, è di Natalìa, della tua cara Natalìa…. E ora, per risparmiarti la fatica, te ne darò lettura io stessa.

Tirò fuori dalla sopraccarta il biglietto profumato, lo spiegò e lesse con voce vibrante di collera: “Carlo mio. — Siamo quasi in porto. Morini non accetta il trasloco. L’ho persuaso che sarebbe una bestialità il lasciarsi sbalestrare in fondo all’Italia per una misera promozione che gli verrà anche restando qui, sol che abbia un po’ di pazienza. Adesso bisogna ottenere che a Roma non si ostinino. Il Presidente del Tribunale con cui ho parlato e ch’è contentissimo di aver presso di sè un giudice del valore di Morini mi disse che qualche volta al Ministero stentano a tornar sulle decisioni prese. Egli a ogni modo ci appoggerà. Fa tu il resto in questa settimana che vai a Roma, tu che conosci tanti pezzi grossi della politica e della burocrazia. Anche mio marito, senza scherzi, te ne sarebbe riconoscente. Egli non sospetta di nulla, figúrati. La sua Natalìa, e non si va più in là…. Checchè vedesse, non crederebbe…. Da Roma scrivimi. E fammi saper quando torni…. Passeremo ancora insieme molte di quelle ore deliziose nel nostro nido…. Ti rammenti, amore?… Un tenero abbraccio dalla tua Natalìa.„

La Lidia che aveva, leggendo, sottolineato ogni frase, cacciò in tasca il foglio sgualcito, e piantatasi dinanzi allo zio, esclamò ironicamente: — Almeno c’è il merito della chiarezza.

Confuso, turbato, Ernesto Landi balbettò: — Io casco dalle nuvole.

— Oh, — ella ribattè in tono sarcastico. — Spero bene che non avrai creduto alla virtù di Natalìa…. Ci vuole il povero Morini per crederci…. Tu poi meno di qualunque altro avevi diritto di farti illusioni…. Ci sono qualità ereditarie.

— Via, Lidia, lascia in pace i morti.

Ma la giovine signora continuò tra seria ed ironica: — Cerco anzi di attenuare la responsabilità della tua protetta…. Aveva la corruzione nel sangue…. Tu sei stato generoso…. Hai pagato largamente il debito che avevi verso la madre, procurando di riabilitar la figliuola…. Le hai assegnato una dote…. L’hai sposata a un galantuomo…. L’hai introdotta in case di galantuomini, in casa nostra, per esempio, ove ha portato il suo alito vizioso, ove ci ha rubato la pace….

— Chi poteva immaginarselo?

— Io, — disse Lidia, — io dovevo immaginarmelo pensando da quali origini ella veniva, guardando quella sua bellezza procace e superba. Invece, sciocca, ci ho dormito su…. Mi son limitata a trattarla con un certo sussiego, a respinger l’intimità ch’ella mi offriva…. Non era donna con cui potessi stringermi in lega…. Le ho sentito attribuire persino tre amanti in una volta.

— Esagerazioni! — interruppe Landi.

— Se ne spiattellavano i nomi e i cognomi, — riprese la nipote. — Ma questo, confesso la mia viltà, mentre mi raffermava nel proponimento di tenerla a una rispettosa distanza, mi rassicurava sotto un altro aspetto. Dicevo a me stessa: I tre amanti le daranno da fare a bastanza…. Come se la donna che ne ha tre non possa averne quattro, cinque, una dozzina!… Solo negli ultimi tempi non ero tranquilla…. A ogni modo, se il caso non mi faceva cader tra le mani questa lettera….

— Fu proprio il caso? — domandò lo zio.

— Sì; mezz’ora fa sono andata in studio di Carlo per cercarvi una polizza da pagare che doveva essere sulla sua scrivania…. Trovai la polizza, e lì accanto, senza dubbio dimenticata, la lettera ch’è di questa mattina perchè c’è scritto a piedi martedì, e di cui ho subito indovinato la provenienza dalla calligrafia e da quell’orribile profumo…. Potevo non leggerla, ma non è permesso esigere da nessuno l’abnegazione dei santi.

— E ora che mediti? Uno scandalo?

— Se sarà necessario, — rispose Lidia. — Dipende da te.

— Da me?

— Da te, e da lei, s’intende…. Ma tu sei l’unica persona che possa aver autorità sulla Morini.

— No, no, non lo credere, — disse lo zio smarrito, sgomento.

— Ti deve tutto, — insistè Lidia con energia. — La sua posizione, la sua agiatezza…. tutto insomma…. Vorrei vederla risponder di no a un tuo ultimatum.

— Non è vero, Lidia…. Io non ho il diritto d’imporle alcun ultimatum.

— Te ne lavi le mani? — proruppe la signora Fìdoli accendendosi in volto. — Preferisci ch’io scriva al marito?

— No, Lidia, non è possibile che tu pensi a questo.

— Se ci penso!

— Insomma, che cosa mi domandi?

Lidia, ch’era stata ritta fino allora, sedette e ripigliò con più calma: — Ti domando d’andar senza indugio da Natalìa e di dirle che come ha persuaso Morini a non accettare il trasloco, lo persuada subito ad accettarlo…. e che le pratiche da lei fatte per ottener la revoca delle disposizioni ministeriali ella deve rifarle perchè quelle disposizioni siano mantenute…. A me occorre la certezza piena, assoluta che fra due, fra tre settimane ella sarà lontana di qui…. A questi patti vendo il mio silenzio, e le do la mia parola d’onore che fuori di te e di Carlo nessuno saprà nulla di ciò ch’è successo…. Se rifiuta, se tentenna, mi servirò delle armi ch’ella mi ha fornito.

Evidentemente la parte di ambasciatore e la natura dell’ambasciata pesavano oltre a ogni credere a Ernesto Landi, ed egli rinnovò il tentativo di esimersi. — Riflettici, Lidia, può essere un passo falso, o almeno un passo inutile…. Non è facile indurre una persona a disdirsi in un giorno…. Come spiegherebbe questo cambiamento di fronte?… D’altra parte, qual è il tuo scopo? Quello di staccar tuo marito da Natalìa…. E non ci arrivi ugualmente avvertendo Carlo che hai scoperto la tresca e che non sei disposta a tollerarla?… Egli sarebbe ben forzato a romper la relazione per evitare guai maggiori.

— Egli mentirebbe, — replicò Lidia con enfasi. — Mentirebbe come voi uomini mentite tutti in queste occasioni…. Giurerebbe di aver troncato i rapporti con la sua ganza e li manterrebbe ancora…. Solo avrebbe imparato ad esser più cauto…. Ma come?… C’è il mezzo di liberarsi da quella triste femmina, e me lo lascerò sfuggire?… No, zio, ho un sentimento troppo alto dei miei doveri e dei miei diritti per non voler sradicare il male dalla radice…. Ancora una volta, accetti o non accetti l’incarico?… Hai paura?

Landi respinse l’insinuazione. — Ah paura, poi. — In fatti era stato sempre debole con le donne; non era mai stato un codardo…. Giovanissimo, aveva preso parte alla campagna del 1859; più tardi aveva avuto un paio di duelli che ricordava volentieri; l’accusa di pusillanimità era quella ch’egli tollerava meno. — Paura?… E di che dovrei averne?

La signora Fìdoli approfittò di questo momento per insistere. — Quand’è così, non hai più una scusa al mondo…. Vedi, zio, io metto nelle tue mani la nostra sorte…. Se riesci, questo non sarà stato che un temporale passeggero. Ti giuro che farò di tutto per perdonare a Carlo, per riconquistarmi il suo amore, e tu avrai intorno a te una famiglia riconoscente che ti vorrà sempre bene, come te ne ha voluto finora…. Perchè non ti puoi lagnare di noi, zio…. Io non faccio che il mio dovere; sposando Carlo, sono diventata tua nipote e ho l’obbligo di fare per te quello che mio marito, così occupato, non può. A ogni modo, anch’egli mi raccomanda continuamente di badare che non ti manchi nulla. E la piccola Valentina non ti chiama nonno, non ti considera veramente come il suo nonno?… L’hai voluto tu, sai; io non avrei permesso ch’ella invecchiasse uno zio ancora elegante ed arzillo….

E Lidia prendeva la mano dello zio Ernesto, e sorrideva in mezzo alle lacrime, e spiegava tutti quei tesori d’eloquenza che la donna trova in sè stessa quando lascia parlare il suo cuore. Ell’aveva toccato il punto debole; suo zio era un egoista buono (per quanto le due parole possano star insieme), un egoista che aveva bisogno d’esser cinto di cure, e, sebbene incapace di grandi sacrifizi, e sollecito sopratutto dei propri agi, s’affezionava facilmente a quelli che gli stavano vicino. I bambini gli piacevano, intendo dire i bambini degli altri, appunto perchè i sacrifizi ch’essi domandano sono continui ma piccoli e perchè si può sbarazzarsene quando si vuole. Così egli amava scherzare con la Valentina, amava prendersela in collo, e sentir fra i peli della sua barba le piccole dita di lei, e partecipare ai suoi giuochi, e stuzzicare le sue rabbiette infantili…. salvo a riconsegnarla alla madre s’ella diventava troppo molesta. Anche quel nomignolo di nonno gli vellicava dolcemente l’orecchio; lo avrebbe gradito assai meno se fosse stato nonno davvero. Ormai tutto il suo studio era questo: conciliar la libertà dello scapolo coi vantaggi della famiglia. E ove avrebbe potuto meglio raggiunger l’intento? Qui era in casa ed era fuori di casa, in un quartierino avente ingresso e scala comune, ma a cui si accedeva dal pianerottolo per una porta separata; c’era poi fra le due abitazioni una comunicazione interna che Landi teneva aperta per comodo suo, tant’era sicuro che nessuno dei Fìdoli, nemmeno la Valentina, sarebbe venuto nelle sue stanze senza farsi annunziare. — È un uscio che si apre da una parte sola, — notava scherzando la Lidia. — Noi non abbiamo segreti. Da noi puoi venire quando ti piace. — Ed egli pranzava dai nipoti due volte per settimana, il giovedì e la domenica, e avrebbe potuto pranzarvi più spesso sol che avesse desiderato. — A colazione e a desinare la tua posata c’è sempre, — diceva la Lidia con la solita cordialità. In fine Landi si ricordava che, durante una sua malattia, Lidia aveva passato lunghe ore al suo capezzale, attenta, discreta, silenziosa per lo più, ma pronta a rispondergli, ad alzar verso di lui il suo viso buono, illuminato da un onesto sorriso.

Anche i Morini gli avevano offerto di tenerlo presso di sè; e Natalìa che gli era cresciuta sotto gli occhi aveva insistito perch’egli desse la preferenza a loro. — La nostra casa è più tranquilla, — ella ripeteva. — Noi non abbiamo bambini.

Ma no; indipendentemente dal torto che avrebbe fatto ai suoi nipoti, egli non poteva accettare l’offerta. Già da tempo, e prima ancora ch’ella si maritasse, la Natalìa lo turbava per quella sua strana rassomiglianza con la madre, per quelle sue grazie feline, per quel sottile alito di corruzione (l’aveva ben detto la Lidia) ch’emanava da tutta la sua persona. Ora che la giunonica bellezza di lei sfolgorava nella florida maturità dei trentacinqu’anni, e in lei, più seducente ancora, più raffinata, pareva rivivere la madre morta, ora Ernesto provava in presenza di quella donna una inquietudine, un malessere inesplicabili. Ond’egli non le faceva visite frequenti, e cercava di non trovarla sola; cosa che del resto gli riusciva facile, perchè o ell’era con suo marito, un buon diavolo, innamorato fin sopra gli occhi, o aveva alle costole qualcheduno dei tanti cicisbei, ch’ella teneva a bada con arte sopraffina senza lasciar capire a quali accordasse la sua preferenza, benchè non vi fosse al mondo nessuno, da Morini in fuori, che la credesse femmina da appagarsi d’innocenti civetterie.

Oggi, però, non c’era rimedio. Se Landi doveva assumersi l’ingrato ufficio impostogli dalla nipote, era necessario ch’egli parlasse a tu per tu con Natalìa; e questo non era l’ultimo motivo delle sue riluttanze. D’altra parte Lidia insisteva tanto, si mostrava così risoluta a fare un colpo di testa se lo zio le negava il suo aiuto, ch’egli finì col piegare il capo.

— Basta, basta, Lidia…. Che vuoi che ti dica? Tenterò.

— Sia ringraziato il cielo…. Non potevo proprio persuadermi che tu fossi diventato cattivo.

— Ma bada che tentare non è tutt’uno con riuscire….

— In questo caso dev’esser tutt’uno…. Per impudente, per audace che sia la Morini, è impossibile ch’ella non senta la gravità della situazione, e non afferri la tavola di salvezza che l’è offerta…. E non faccia troppo assegnamento sulla credulità di suo marito…. Anche ai mariti creduli e buoni può cascar la benda, e allora non si sa mai….

— Ella vorrà indietro la sua lettera, — soggiunse Ernesto.

— L’avrà la sua lettera, quando sarà arrivata laggiù.

— E se mettesse per condizione d’averla subito?

— Non gliela darei, — protestò Lidia. — Per ora ella si contenti ch’io non ne faccia uso…. E giuro che s’ella mi si leva dai piedi non ne faccio uso…. Ella non ha il diritto di dubitare della mia parola; io ho quello di dubitar della sua…. Ah, non voglio mica esser giocata….

— Faremo fiasco, — ripeteva lo zio, mezzo pentito di aver accondisceso.

— No…. ti do tempo tutta la giornata…. Andrai subito?

— Vedremo…. Bisogna ch’io scelga il momento…. Se non è sola, è inutile.

— Le farai dire che ti preme.

— E se c’è Morini?

— Quello lì fino alle cinque è in ufficio…. È un impiegato modello…. E che marito prezioso per Natalìa!…. Ma bada a me, se vai subito è meglio…. È quasi il tocco…. Ancora non sarà uscita, e non avrà visite…. Se ritardi….

Lo zio sorrise. — Permetterai ch’io finisca di vestirmi….

— Hai ragione…. Ti lascio…. E se puoi farmi avere un biglietto di qui a un’ora, di qui a due ore….

Landi si ribellò a questa imposizione. — Non cambiarmi le carte in mano…. Dianzi mi accordavi tutta la giornata, e adesso vorresti che mi spicciassi in un paio d’ore….

— Non voglio…. Desidero, spero…. Tu pure, se hai una buona notizia, avrai fretta a comunicarmela…. Pranzi con noi?… Sono sola con Valentina….

— Grazie…. Ho un mezzo impegno….

— Fa quel che credi…. La tua posata c’è…. A ogni modo, stasera non vado a letto se non t’ho visto…. E hai capito!… nessun equivoco, nessun malinteso…. Aut aut. Non lasciarti gingillar dalle chiacchiere, non accettare nessun mezzo termine…. Pensa che ce ne va della pace, dell’avvenire di una famiglia, che, in fin dei conti, è la tua famiglia; pensa a ciò che potrebbe accadere anche a colei se rifiutasse…. Perchè non t’illuda la calma con cui ti parlo…. Sarei inesorabile…. Guai se noi donne oneste non ci difendiamo!

Strinse la lettera fra le dita nervose, e s’avviò con una mossa altera del capo. Sempre compito cavaliere, Ernesto Landi le aperse l’uscio.

Dopo quindici o venti minuti che le parvero secoli, Lidia, appoggiata al davanzale della finestra della sua camera, dietro le persiane abbassate, udì chiudersi la porta di strada. Spinse adagio adagio le imposte e guardò per lo spiraglio. Era suo zio, in vestito elegante da mattina, con un fiore all’occhiello e una canna di bambù tra le mani. Veduto per di dietro, pareva piuttosto un giovinotto in via di conquiste che un uomo serio e maturo incaricato d’una missione delicatissima. Lidia lo segui con lo sguardo fin ch’egli ebbe svoltato l’angolo della strada; poi si ritrasse dalla finestra e s’abbandonò singhiozzando sul canapè. Nella naturale reazione che succede a un periodo d’orgasmo, nel presentimento che lo zio Ernesto non avrebbe saputo difender la causa affidatagli, tutta la sua energia era venuta meno ad un tratto. No, per lei non c’era più felicità, non c’era più pace, non c’era nemmeno il piacere crudele della vendetta, perchè mai, mai ell’avrebbe avuto il coraggio di valersi della lettera accusatrice. Poteva ella mettere a fronte due uomini, uno dei quali era suo marito, suo marito che, pur troppo, ell’amava? Poteva suscitare uno scandalo che avrebbe colpito lei e la sua Valentina?… D’altra parte, nella migliore delle ipotesi, in quella cioè che Natalìa si desse per vinta e accettasse i patti che l’erano offerti, ella, la Lidia, non era ugualmente una moglie tradita? Tradita, e chi sa da quanto tempo!

 

II.

L’immagine di Natalìa si associava nell’animo di Lidia ai primi ricordi della sua giovinezza, quand’ella veniva a Venezia con la famiglia nella stagione dei bagni, e sulla terrazza del Lido, insieme alla madre, che pareva una sorella più matura, vedeva ogni giorno questa ragazza bruna, alta, snella, dagli occhi e dalle ciglia nerissime, dalla voce musicale e sonora, dal riso argentino, dal vestito elegante e chiassoso, cinta sempre da uno sciame d’adoratori. La vedeva sulla terrazza, e sulla spiaggia, e nell’acqua, nuotatrice intrepida, offrente al bacio dell’onda il turgido petto di cui la maglia attillata disegnava i contorni, gareggiante di velocità e di resistenza coi più provetti, così da sembrare talvolta, tanto si spingeva lontano, un punto perduto nello spazio. Indi la madre, inquieta, affacciandosi alla ringhiera agitava le braccia e gridava: Natalìa! Natalìa! Natalìa Maggianico, quest’era il nome che i conoscenti di Lidia pronunciavano innanzi a lei con qualche reticenza, con qualche tentennatina di capo, facendo intendere, con la debita discrezione, che non erano, nè lei nè la madre, signore della buona società. Anzi i puritani aggiungevano che ormai al Lido si trovava di tutto. Ah, più tardi, fatta esperta della vita e vedendo in che cosa consisteva la buona società, e che angioli di purezza e di virtù fossero gli uomini e le donne che vi appartenevano, com’ell’aveva riso di questa frase stupida e pretenziosa! Allora però n’era rimasta colpita, e deplorava sinceramente che non si potesse andare al Lido senza incontrarvi le due Maggianico. Nè al Lido soltanto, da per tutto le incontrava; per la strada, in gondola, sui vaporetti, la domenica in chiesa San Marco, la sera in Piazza al Florian. La madre declinava, più rapidamente forse che non comportasse l’età, ma Natalìa era ogni anno più bella, simile a una pianta che ogni anno estende i suoi rami e si carica di nuovi fiori. E sempre, sempre c’era una corona di giovani intorno a lei; e ovunque ella movesse il piede o sostasse c’era qualcheduno che si voltava per guardarla, qualcheduno che la segnava a dito, accompagnando il gesto con un’esclamazione ammirativa. Intorno alla Lidia non veniva nessuno; nessuno si fermava sul suo passaggio; nessuno chiedeva al vicino: — Chi è?

È vero ch’ella sentiva ripeter sovente: — A quella Maggianico tutti fanno la corte, ma nessuno la sposa.

Magra consolazione! A lei nessuno faceva la corte, e nessuno la sposava…. Così nel suo animo, pur buono e gentile, covava un sordo rancore contro la bellezza sfacciata di Natalìa e contro il mondo vigliacco che le si prostrava ai piedi. E, nondimeno, il suo fascino Natalìa l’esercitava anche su lei, su lei non conosciuta e non curata, ed ella ci pensava involontariamente, e involontariamente la cercava in mezzo alla folla e tendeva l’orecchio se altri la nominava. A poco a poco, mettendo insieme varie frasi côlte qua e là, ell’aveva saputo che, per ora, la ragazza non era che una civetta; le colpe grosse erano della madre, la quale aveva fatto una vitaccia da maritata e da vedova, e continuava a portare in trionfo la sua relazione con Ernesto Landi…. Di questo signor Landi s’era parlato spesso davanti a Lidia deplorando che un uomo così piacente d’aspetto, così garbato di modi, un uomo che avrebbe potuto aspirare a qualsiasi partito, si fosse lasciato succhiare il sangue e smunger la borsa da un vampiro come la Clara Maggianico. A tale proposito però c’era stato un giorno un signore, lugubre come il vecchio Silva, il quale aveva soggiunto: — Meno male che ne avrà per poco…. La Clara Maggianico è spedita dai medici. — E il signore, uno di quelli che s’ingrassano a raccontar disgrazie, s’era diffuso a descriver tre o quattro malattie incurabili da cui la povera donna era affetta e che le avrebbero concesso al più cinque o sei mesi di vita. Dopo questa rivelazione il malanimo di Lidia verso la Maggianico fu temperato da un senso di pietà dolorosa. Era sul finire della stagione; tra una settimana Lidia avrebbe lasciato Venezia per non tornarvi che nell’estate ventura; e nell’estate ventura ella non avrebbe più rivisto quella madre e quella figliuola ch’erano certo leggere e corrotte, ma che andavano sempre insieme e senza dubbio si volevano bene; avrebbe rivisto forse la sola Natalìa, vestita di nero, ella che amava i colori sfoggiati, dimessa e contrita, ella nelle cui pupille sfavillava la gioia, sulle cui labbra fioriva il sorriso…. Ma prevedeva ella il lutto imminente? Conosceva la madre il proprio destino? In Piazza, gli occhi di Lidia si fissarono quella sera, non ostili ma tristi, sulle due donne; e le parve di scorgere un’ombra sul volto bellissimo di Natalìa, una trepida ansietà che si rivelava in certe contrazioni dei muscoli, in certi sguardi furtivi;…. ma sul volto della madre ella lesse la morte…. Era così smunta quella faccia, era così livida nella bianca luce delle lampade ad arco voltaico; era diffusa una tale stanchezza invincibile su tutta la persona!… La signora Clara si sforzava di parlare e di ridere, specialmente nei momenti in cui ella sorprendeva gli occhi di Natalìa fissi nei suoi, ma di tanto in tanto la testa le si piegava sul petto, come se il sonno fosse per coglierla….

Anche il giorno appresso Lidia vide le Maggianico. Le incontrò in Merceria dell’Orologio, la signora Clara trascinantesi a stento appoggiata al braccio di Natalìa. Fu l’ultima volta. Ella partì di lì a poco per la sua Verona, e non seppe nulla delle due donne fino all’inverno successivo, quando una mattina, nello sfogliar la Gazzetta di Venezia a cui suo padre era abbonato, vi lesse queste righe: “Cronaca rosa. Il nostro amico, dottor Vittorio Morini, aggiunto giudiziario, si è promesso sposo a una delle più belle e più eleganti signorine della nostra città, molto ammirata dai frequentatori del nostro Lido, la signorina Natalìa Maggianico. Congratulazioni ed auguri.„ Era una notizia ben diversa da quella che Lidia s’aspettava di trovare nella rubrica dello stato civile. Ahi, l’altro annunzio, l’annunzio funebre non si fece attendere un pezzo, e due settimane dopo, aprendo lo stesso giornale, le caddero sott’occhio, nella lista dei morti, queste parole asciutte asciutte: “Clara Maggianico, d’anni 49, vedova, civile.„ Funerali e nozze! Anche nella sua sventura era una privilegiata della fortuna la Natalìa Maggianico, se, proprio nell’ore in cui la sua famiglia si sfasciava, una nuova famiglia le apriva le braccia, se il lutto della figliuola era temperato dalle gioie della fidanzata!… Indi Lidia sentiva raccendersi nell’animo l’avversione contro la splendida ragazza; e tanto più s’inaspriva verso di lei quanto più era disposta all’indulgenza verso la signora Clara che aveva ormai espiati i suoi falli, che forse s’era purificata nell’amor materno, che certo durante gli strazi degli ultimi mesi non aveva pensato ad altro che ad assicurar l’avvenire di Natalìa, che aveva certo lei stessa, al suo letto di morte, combinato il matrimonio. Ma la felicità di Natalìa irritava Lidia, la offendeva come un’ingiustizia, come una smentita a quella legge dei meriti e dei compensi che suo padre, essenzialmente ottimista, aveva l’abitudine di predicarle, condensando le sue teorie in pochi aforismi: — Semina il bene e raccoglierai il bene. — Via recta, via certa. — Chi fa il proprio dovere non ha mai a pentirsene. — Massime sacrosante…. Ciò nondimeno, ella che, a quanto assicuravano, possedeva tutte le virtù teologali, rischiava di marcire in casa, mentre quella fraschetta della Maggianico aveva già trovato il suo bravo marito.

Senonchè, quell’anno stesso, in primavera, la Lidia fu fidanzata con l’avvocato Carlo Fìdoli di Venezia; ch’era venuto alle Assise veronesi, quale difensore in un processo lungo e clamoroso, e aveva una lettera d’introduzione per la famiglia Polidossi. S’invaghì egli realmente della ragazza, o pensò soltanto a conchiudere un buon affare? Fatto si è ch’egli chiese la mano di Lidia e che la sua offerta fu gradita. Aveva trentacinqu’anni, e godeva già la riputazione d’uno fra i migliori avvocati del foro veneto, specie nelle cause penali; buon parlatore, d’aspetto simpatico, non sprovvisto di mezzi di fortuna, poteva aspirare benissimo alle centocinquantamila lire che la Polidossi portava a titolo di dote. Lidia gli si affezionò sinceramente, profondamente, come ogni giovine casalinga, non avvezza alle galanterie, s’affeziona al primo uomo che dica d’amarla; e quando ella tornò nell’estate a Venezia, oltre che pei bagni, per visitare i parenti del futuro marito e veder la casa che doveva esser la sua, il nuovo sentimento l’aveva trasfigurata. — Non par più quella la Lidia Polidossi, — ella sentiva susurrare intorno a sè. — Quest’anno è proprio carina. — Fu allora ch’ella conobbe Ernesto Landi, lo zio materno di Carlo, un bell’uomo tra i quaranta e i cinquanta, accurato nel vestire, disinvolto nei modi, superficiale di cultura e d’ingegno, ma di conversazione piacevole, come di chi ha visto cose e persone diverse e dai facili successi del mondo acquistò una tal quale sicurezza di sè. Egli entrò subito nelle buone grazie della nuova nipote, fors’anco per quella curiosità mista di simpatia che i libertini non affatto volgari destano alle donne di più illibati costumi. Nè la relazione con la Clara Maggianico, relazione che solo la morte aveva troncata, gli nuoceva ormai agli occhi di Lidia. Le pareva cavalleresca quella fedeltà serbata all’amante, trovava bella e generosa la condotta di lui verso Natalìa, della quale Ernesto Landi rendeva possibile il matrimonio con un dono di trentamila lire ch’egli si obbligava di farle il giorno delle nozze. In casa Fìdoli questa liberalità era approvata a bocca stretta, ma Landi era, in complesso, ben voluto da tutti, e la madre di Carlo aveva per lui la tenerezza piena d’indulgenza delle sorelle maggiori verso i fratelli scapestrati. — Sicuro, Ernesto ha le sue debolezze, — ella diceva tentennando la testa, — ma è sempre stato un gran mago. — Il marito le faceva eco. — Un gran mago. — Il più riservato ne’ suoi giudizi era Carlo; forse i due uomini avevano indole troppo diversa per andar d’accordo.

In quell’estate Lidia ebbe rare occasioni d’imbattersi nella Natalìa Maggianico, ch’era in lutto e non andava la sera al Caffè, e non andava di giorno al Lido nelle ore del maggior concorso. La incontrò qualche volta per la strada, con una signora attempata, una zia, e con un giovine di mezzana statura, dai baffetti castani, che le dissero essere il fidanzato. Il vestito nero la dimagrava; dava maggior risalto ai suoi occhi bruni, alla sua carnagione bianca, mostrava sotto un nuovo aspetto la sua bellezza superba. Ma Lidia Polidossi era felice; nel suo animo gentile non c’era più posto nè per l’invidia, nè pel livore, ed ella manifestò ripetutamente al suo fidanzato la sua ammirazione per le doti fisiche di Natalìa. Egli sorrideva: — È tal quale sua madre quand’era giovine…. Se sarà tal quale anche pel resto, il povero Morini dovrà recitare il confiteor.

— O perchè non potrebb’essere una buona moglie?

Carlo Fìdoli si stringeva nelle spalle. — Tutto può essere a questo mondo.

I due matrimoni furono celebrati in fin d’autunno a brevissimo intervallo l’uno dall’altro. Allorchè però, dopo il viaggio di nozze, Lidia venne a stabilirsi a Venezia, i Morini non c’erano più. L’aggiunto giudiziario era stato nominato Pretore in un piccolo paesetto del Veneto. Natalìa faceva di tanto in tanto una corsa a Venezia, e le sue conoscenti dicevano ch’ella metteva in moto cielo e terra per ottenere un trasloco. Fosse merito suo, o fosse un fortunato concorso di circostanze, certo si è che il trasloco venne accordato di lì a non molto tempo, appunto a Venezia, e fu allora che Ernesto Landi desiderò presentare la coppia Morini alla sorella, al cognato, ai nipoti. Che motivo ci poteva essere di rifiutare? Nondimeno in casa arricciarono il naso alla proposta, e Carlo parve più renitente degli altri. — Che ghiribizzo è saltato allo zio Ernesto?… Que’ suoi protetti non avevano nessun bisogno di conoscerci e noi non avevamo nessun bisogno di conoscer loro. — Fu proprio Lidia a dare il tracollo alla bilancia. — E perchè vorresti risponder di no? La Clara Maggianico è morta già da tre anni; Natalìa è sposata ad un galantuomo che ha una posizione onorevole, e quando avranno detto di lei ch’è un po’ civetta avranno detto tutto…. C’è di peggio? — No, in coscienza, pel momento non si poteva dire di più. — Ebbene, — ripigliò di trionfo la Lidia, — se vogliamo aiutarla a restare una donna onesta, non principiamo noi a metterla al bando!… Già non occorre mica far lega insieme.

Accolta in casa Fìdoli, Natalìa Morini aveva subito mostrato una grandissima propensione per Lidia, le aveva ripetuto il gran bene che lo zio diceva di lei, aveva voluto a ogni costo che si dessero del tu. Ma il tu non basta a creare l’intimità, e intimità schietta fra le due donne non ce ne poteva essere e non ce ne fu, nemmeno nei primi tempi quando sul conto di Natalìa si mormorava solo a bassa voce. — Sei troppo bella, — diceva celiando la Lidia alla Morini se questa le proponeva di prender palco insieme a teatro, o di andare insieme a una festa, a una conferenza, a un concerto; — sei troppo bella, e mi faresti far troppo cattiva figura. — In fondo non era che una scusa; il vero si è ch’erano agli antipodi di gusti e d’idee; la Natalìa avida di piaceri e di lusinghe, sempre abbigliata all’ultima moda, insofferente della solitudine, arguta e vivace bensì, ma d’uno spirito alquanto volgare che, per dar la propria misura, aveva bisogno dell’eccitamento dei crocchi romorosi; la Lidia schiva d’ogni apparenza, semplice e quasi dimessa nel vestito, facile a intimidirsi, ad ammutolirsi in mezzo alla gente, amante della sua quiete, della sua casa, dei libri pochi e buoni che le tenevano compagnia nel suo salottino. Intanto era nata Valentina, ed ella era stata assorbita dalle cure dolci e minuziose della maternità. Natalìa la tacciava di esagerazione. — Non ti s’incontra più in nessun posto. Anch’io amerei i miei figliuoli, se ne avessi, sfido io…. Ma non per questo farei divorzio da’ miei simili.

Un duplice e gravissimo lutto che colpì Lidia quando la bimba non aveva che un anno, la morte dei suoceri a poche settimane d’intervallo, contribuì a suggellar questo divorzio dal mondo che la Natalìa Morini le rimproverava. Allora appunto Lidia insistette perchè lo zio Ernesto venisse ad abitare con loro nella casa diventata ormai troppo grande per una famiglia di tre sole persone, e Landi, impressionabile per sua natura e turbatissimo dalla morte della sorella e del cognato, accettò l’offerta come un avviamento a una vita più tranquilla, più consentanea all’incalzar dell’età. In quell’occasione Lidia ebbe una visita da Natalìa che le disse: — Anche a noi era parso che tuo zio Ernesto non dovesse più viver solo e avevamo messo un paio di stanze a sua disposizione; ma egli ha preferito venir da voi altri. Siete suoi parenti prossimi, avete un appartamento migliore del nostro; non ci rimane che chinar la testa.

C’era un fondo di acrimonia nelle parole di Natalìa, e infatti pei Morini sarebbe stato un terno al lotto il poter alleggerirsi d’una parte della pigione. Già da tempo si buccinava ch’essi spendessero oltre ai loro mezzi e che Madama fosse indebitata con la sarta e con la modista.

— Qualcheduno pagherà, — diceva la gente. I più benevoli affermavano che di tratto in tratto lo sbilancio fosse colmato da Landi, in omaggio alla memoria della signora Clara. Evidentemente Natalìa scemava in riputazione ogni giorno, e il marito era un fenomeno di tolleranza e di cecità. Non era nè uno sciocco nè un farabutto; era ipnotizzato dalla moglie; credeva tutto quello ch’ella voleva fargli credere, e si sarebbe gettato nel fuoco per compiacerla.

L’avvocato Fìdoli (adesso Lidia pensava che fosse stata una finzione) aveva sempre ostentato di tener in poco conto la coppia Morini. — Lui, come giudice, è passabile, ma fuori del suo tribunale è un cretino; lei aspira a coglier gli allori materni. È meglio andar via via allentando la relazione.

— Per quello che ci si vede ormai con Natalìa, — rispondeva Lidia.

E in vero si vedevano pochissimo, diradando, per mutuo e tacito accordo, le loro visite, salutandosi fuggevolmente quando s’incontravano per la strada. Però una mattina che Lidia era con la figliuola, Natalìa la fermò per ammirare e baciare la bimba, invidiando l’amica che possedeva un tesoro simile. E soggiunse: — Portamela, portamela…. Fino alle due mi trovi sola…. Usciremo in quel mio simulacro di giardino…. Sai, abbiamo un pezzetto di terra con due alberi e pochi fiori…. Vieni, vieni…. Dio mio, come ti fai preziosa!… Par che non ti degni, tu moglie d’un luminare del fòro, di venire in casa d’un povero travet.

Lidia si consultò con Carlo che le disse: — Per una volta tanto, non sarà una disgrazia.

Natalìa fu amabilissima e si conquistò subito il cuore di Valentina, facendola correre pel piccolo giardino, mostrandole un nido di rondini, regalandola di frutta e di dolci.

— Quando torneremo dalla bella signora? — chiedeva ogni momento Valentina alla madre.

Ella trovò mille pretesti per non tornare; se ne sentivan dir tante di quella Natalìa ch’era proprio meglio starne lontano. Lo stesso zio Ernesto la difendeva debolmente: — Benedetta figliuola!… Ha buonissime qualità, ma è troppo leggera.

Perciò Lidia fu alquanto maravigliata che, nell’inverno successivo, Carlo volesse invitare i Morini a una serata musicale ch’egli dava in onore di due suoi clienti francesi, di passaggio per Venezia.

— Noi non andiamo alle serate dei Morini, — osservò Lidia. — Perchè devono venir essi alle nostre?

— Noi non andiamo da loro, ma essi c’invitano, — ribattè pronto l’avvocato. — Dobbiamo invitarli anche noi…. Forse non verranno.

— Verranno, verranno.

— Poco male, tanto più ch’essi conoscono già i miei forestieri…. E poi si tratta d’una cosa eccezionale. Noi non abbiamo l’abitudine di ricever la sera.

Conformemente alle previsioni di Lidia, i Morini accettarono l’invito e Natalìa fu la regina della festa. Bisognava vederli quegli uomini come la divoravano con gli occhi, come pendevano dalle sue labbra! E i vecchi non si sdilinquivano meno dei giovani. Perfino il Procuratore Generale, un magistrato grave, solenne, con tanto di pancia, perfin lui le faceva la ruota attorno e non badava nè alla padrona di casa, nè all’altre signore, nè ai due o tre virtuosi che si alternavano al pianoforte. In quanto ai Parigini, essi non trovavano parole per esprimere la loro ammirazione. Anche il francese scorretto della Morini acquistava per essi un garbo speciale su quella bella bocca ridente. Carlo Fìdoli era il più guardingo; nondimeno parve una volta alla Lidia ch’egli e Natalìa si sorridessero furtivamente, ed ella n’ebbe una stretta al cuore. Non poteva ella certo lottar contro Natalìa se a colei veniva in mente di rubarle il marito. Ell’era una buona moglie, una buona madre, una buona massaia; sapeva di non esser ripulsiva d’aspetto, di non mancare d’ingegno e di cultura. Ma o che bastan forse questi pregi a una donna? È vero, ell’aveva sempre creduto che Carlo fosse così assorto nelle sue cause, ne’ suoi processi penali da non aver tempo da perdere in galanterie; ma se si fosse ingannata? Se fosse stato anch’egli su per giù come gli altri?

Pur ella non osò discorrergli del delicato argomento nè quella sera, nè poi. Lo sapeva poco tollerante delle osservazioni, temeva un rabbuffo, temeva di far peggio. Ora, ora si pentiva di non aver parlato prima, quando forse il male non era irreparabile…. E intanto ella pensava con sgomento alla spiegazione che avrebbe avuto con Carlo al suo ritorno da Roma, pensava alla lettera che avrebbe dovuto scrivergli domani o dopo domani, non foss’altro che per dargli notizie di Valentina. Ed egli pure le avrebbe scritto; le scriveva sempre quando le sue assenze si protraevano qualche giorno, le scriveva nella sua calligrafia nitida, uguale, da uomo d’affari che bada al positivo, e anche di lontano s’occupa della casa, dei figliuoli, dello studio. Aspettate con viva impazienza, quelle lettere lasciavano sempre delusa la Lidia che avrebbe voluto trovarvi un po’ più di calore, un po’ più d’entusiasmo…. Ah, il calore, l’entusiasmo, egli li avrebbe messi nell’epistole che dirigeva a Natalìa!… E forse in questo momento, fatto accorto del biglietto dimenticato, o dal treno, o dal restaurant di Bologna egli le mandava una riga in fretta per comunicarle le sue inquietudini, per rinnovarle le sue proteste.

Di nuovo la Lidia cavò di tasca il foglio rivelatore, di nuovo lo scorse con occhi molli di lacrime. Passeremo ancora insieme molte di quelle ore deliziose nel nostro nido…. Ti rammenti, amore? Queste frasi la ferivano come stilettate. A lei Carlo diceva: — Ogni cosa, ha la sua stagione…. L’amore è pei giovani…. è per le coppie novelle. Due sposi come noi devono appagarsi di un’affezione calma, tranquilla, non soggetta alle tempeste. — Ipocrita! Con Natalìa egli s’era dimenticato di non esser più giovine. Con Natalìa egli le cercava le tempeste. Ah, in verità, ora dipendeva da lei, da Lidia, che fossero tempeste ond’egli avesse a ricordarsi per un bel pezzo…. Ma che ingiustizie!… Una donna fa sempre il suo dovere, tutto il suo dovere: dà tutta sè stessa ad un uomo, non per un’ora, non per un giorno ma per la vita intera; e quell’uomo la tradisce per una femmina svergognata che non ha onore, che non ha pudore, che non ha nessuna delle qualità continuamente magnificate dal mondo burlone, che mancherà di fede all’amante di oggi come ha mancato di fede a quello di jeri, come ha mancato di fede al marito…. E la gente che indovina o che sa si contenta di ridere e non bolla col ferro rovente gl’iniqui! Ci son dunque due morali a questo mondo? Una che s’insegna, l’altra che si pratica?

Il pensiero di Lidia volò a Valentina, così candida, così ingenua, alla piccola Valentina che sarebbe anch’ella travolta in questa gora di menzogna e di fango…. Assalita da un desiderio veemente, imperioso di rivederla, di averla accanto a sè in quegl’istanti angosciosi, ella sonò per la cameriera. — Che nessuno vada oggi a prender la Valentina…. Andrò io.

 

III.

Vi andò prima che la scuola finisse e fece chiamar la figliuola. Gliela portò la direttrice in persona, piena di deferenza verso i Fìdoli la cui clientela giovava al suo Istituto, la pregò di accomodarsi, le offerse insistentemente un caffè, una bibita in ghiaccio. Aveva sempre qualche cosa di prelibato per le visitatrici di maggior conto; alle altre offriva un bicchier d’acqua fresca. Ma Lidia non volle sedere, non volle accettar nulla; sarebbe venuta un giorno con più agio; oggi aveva i minuti contati.

Quando fu sola con Valentina, la baciò e ribaciò sulle gote, sulla bocca, sugli occhi. — Cara, cara, cara.

Valentina, una fanciulla intelligente, di sette anni compiuti, la guardava attonita. — Mamma, cos’hai?

— Io?… Nulla.

— Hai pianto?

Lidia arrossì. — Che idee!… Perchè avrei dovuto piangere?

— Non so.

La bimba stette un momento soprappensiero; poi chiese: — Il babbo è partito?

— Sì…. È partito, — disse Lidia.

O che Valentina credeva ch’ell’avesse pianto per questo?

— Ho promesso di scrivergli, — annunziò con gravità la bimba. — Stasera….

— No stasera, — interruppe la madre. — L’hai salutato questa mattina.

— Domani sera allora.

— Domani sera, — ripetè Lidia macchinalmente. Le parole le bruciavano le labbra. E mutò discorso. — Vuoi che andiamo ai Giardini?

Aveva necessità di respirar l’aria libera, di non chiudersi così presto in casa coi pensieri affannosi che la travagliavano. Già prima di sera lo zio Landi non sarebbe venuto a riferirle l’esito dei suoi negoziati con la Morini. E in ogni modo, fin che Valentina era alzata, non si poteva discorrere con libertà.

Alla proposta della mamma, Valentina rispose subito di sì. Ma di lì a un momento soggiunse: — Non ho il cerchio.

— Non importa.

La fanciulla fece una smorfia disgustata. — Oh…. senza il cerchio!…

— Ebbene, — riprese la madre ansiosa di contentarla, — in Merceria prenderemo un cerchio nuovo.

Valentina battè palma a palma. — Sì, sì, mamma…. E più grande di quello che ho.

— Più grande.

— Grande come quello della Bertocci.

— Ma io non lo conosco.

— Guarda…. È alto così, — disse Valentina. E si portò la mano a livello della spalla.

— Troppo alto, — notò Lidia.

— Se tu vedessi come corre bene!

— Insomma lo sceglierai tu.

Fecero l’importante acquisto nell’antica bottega del Ponte dei Baretteri che fornì di balocchi tante generazioni di bimbi, e Valentina si portò in trionfo il suo cerchio ch’ell’aveva l’illusione di credere ancora più grande di quello della Bertocci, benchè in realtà fosse più piccolo.

— E ora, — disse Lidia, — si passa sotto le Procuratìe e si va a prendere il vaporino.

— Se si traversava la Piazza, provavo il cerchio.

— No, c’è troppo sole.

Valentina non replicò; la sua attenzione era ormai rivolta a tutt’altro.

— Mamma, mamma, — ella disse trattenendo la Lidia per la falda del vestito, — sai chi c’è in quella bottega?

Era una bottega di gioielliere, appunto sotto le Procuratìe Vecchie, presso il Caffè Quadri.

— Chi? — ripetè la madre côlta da un incomprensibile sgomento. E con un moto istintivo afferrò il braccio di Valentina.

La fanciulla tentò svincolarsi. — Lasciami, lasciami. È il nonno con la bella signora…. Li saluto.

Ma la mano di Lidia chiuse come in una morsa d’acciaio il braccio della figliuola, e bruscamente la trascinò fuori delle Procuratìe, in mezzo alla Piazza.

— No, non devi salutar nessuno, — intimò Lidia con voce dura, imperiosa.

Anch’ella li aveva visti, dietro la vetrina del gioielliere, lo zio Ernesto e la Natalìa Morini, li aveva visti curvi sul banco, intenti a esaminare i gingilli che il negoziante sciorinava sotto i loro occhi, li aveva visti e aveva sentito rimescolarsi il sangue nelle vene. Come? Nel giorno stesso in cui la sua ignobile tresca era scoperta, in cui pendeva sul suo capo l’onta d’una rivelazione, quella donna impudente osava mostrarsi in Piazza San Marco, da un gioielliere, ed Ernesto Landi, il parente a cui Lidia aveva affidato la propria causa, Ernesto Landi osava condurvela, osava offrirle forse un braccialetto, un anello, un fermaglio, un monile? Così egli prendeva le parti della nipote offesa, tradita!… O che femmina era mai quella? Che strana potenza si sprigionava da lei perchè gli uomini tutti, anche i vecchi, immemori della loro dignità, dovessero caderle ai piedi?

Intanto Valentina che, a quei modi insoliti della madre, era rimasta senza fiato e senza parola, passato il primo momento di stupore, si mise a piangere.

— Mamma cattiva! — ella singhiozzò toccandosi il braccio dolente della stretta brutale.

Lidia si chinò a baciarla. — T’ho fatto male, caro tesoro?… Non è niente…. Perdona…. È che non volevo…. Tu non puoi capire adesso…. Cammina, cammina, andiamo al vaporetto.

Aveva ripreso per mano la figliuola, e procedeva innanzi spedita, guardandosi attorno inquieta come se un gran pericolo la minacciasse.

Impacciata dal cerchio che si tirava dietro, Valentina la seguiva a fatica, piagnucolando.

— Dàllo a me il cerchio, — ordinò la madre.

La voce di lei s’era fatta dura, imperiosa un’altra volta.

La bimba ubbidì, ma continuava a lamentarsi sommessamente.

Traversarono in un lampo la Piazza, uscirono dall’angolo delle Procuratìe Nuove, svoltarono per la Calle Vallaresso. Il vaporino, diretto ai Giardini, approdava al pontile in capo alla calle.

— Lesta, lesta, — disse Lidia.

Arrivarono trafelate quando il battello era lì lì per partire. Allora Lidia prese Valentina sulle ginocchia, le rasciugò con la pezzuola gli occhi lacrimosi, le rasciugò le tempie, le guancie molli di sudore, le ravviò i capelli scompigliati e il fisciù di traverso, la coperse di carezze.

A poco a poco Valentina si rinfrancava, sorrideva in mezzo alle lacrime. E fattasi ardita chiese: — Perchè non mi hai permesso di salutare il nonno?

Lidia si rannuvolò, mise la mano sulla bocca della figliuola. — Non tornar da capo.

— Perchè? — ripigliò la fanciulla con l’ostinazione propria della sua età.

— Il nonno non era solo, — rispose brevemente la madre.

— Era con la bella signora.

— Appunto, — ribattè Lidia decisa a finirla. — Una volta per sempre…. Non voglio che tu saluti la signora Natalìa.

— Perchè? — tornò a domandare la Valentina.

— Insomma ho le mie ragioni, e basta…. I bimbi non devono saper tutto, — replicò Lidia in modo da troncare le discussioni.

La fisonomia della Lidia, su cui la corsa affannosa di poco prima aveva diffuso un’animazione artificiale, s’era irrigidita in un’espressione di profonda tristezza. E anche il visetto di Valentina si allungò di nuovo; ne’ suoi occhi limpidi passò l’ombra delle cose ignorate ed incomprensibili, onde viene all’infanzia come un vago presentimento dei dolori futuri.

I Giardini in quell’ora erano spopolati; pure s’aggiravano qua e là altre mamme con altri fanciulli; altre sedevano al rezzo delle piante che il Maggio rivestiva di fiori. Lidia sedette su una panca di pietra sotto uno dei tigli del viale di mezzo, mentre Valentina faceva correre il cerchio per lo stradone.

La madre l’animava col gesto. — Corri, corri.

Povera piccina! Chi sa quel che le frullava nel capo, chi sa che effetto le avevano prodotto gli umori bisbetici della sua mamma! Lidia era stata aspra con lei; ma come si fa? Poteva ella concederle di avvicinarsi a Natalìa? O poteva parlarle di quella femmina in modo diverso? No, no, checchè accadesse, fra la Morini e Valentina nulla vi doveva esser di comune, mai più. Lidia non si pentiva dunque del linguaggio tenuto con la figliuola; si pentiva piuttosto d’aver precipitato il suo giudizio sullo zio Ernesto. Certo era enorme che in quel giorno Natalìa osasse andar da un gioielliere, ed era singolare che Landi ve l’accompagnasse; ma perchè non aspettare le sue spiegazioni per condannarlo?… Forse, d’indole spendereccia com’egli era, aveva tentato d’attenuar con un dono il colpo che le portava; forse (son donne che vendono tutto) ell’aveva messo a prezzo la sua acquiescenza ai patti che l’erano imposti.

La quiete del luogo, il verde degli alberi, il tenue stormir delle foglie esercitavano su Lidia la loro influenza benefica; un po’ di calma scendeva nel suo animo agitato, vi faceva rinascer la speranza che la rovina della sua felicità non fosse ancora assoluta ed irreparabile…. Che la Natalìa partisse; ecco il gran punto. Se partiva, al resto ci sarebbe stato rimedio…. Quella di Carlo non poteva essere che una crisi momentanea. Un uomo serio e positivo come lui non poteva lasciarsi travolgere dalle passioni. Ci voleva quella civetta, ci voleva quella sirena per trascinarlo fuori della via retta ov’egli, se non per virtù, per riguardo del mondo aveva sempre camminato. Nel desiderio, nel bisogno di trovar un’attenuante alla colpa di suo marito, Lidia si esagerava la bellezza, il fascino irresistibile di Natalìa. Era stata una fatalità che questa femmina bella e corrotta gli fosse capitata fra i piedi. Poich’egli non cercava le donne, non aveva tempo per loro; egli non frequentava i teatri, non frequentava i salotti; senza dubbio era venuta lei a cercarlo…. Non era poi così facile che ne venisse un’altra, ugualmente bella e astuta e viziosa.

Lidia guardò l’orologio. Erano quasi le sei, era ora d’andarsene. Quantunque lo zio Ernesto non si fosse impegnato a portarle una risposta prima di sera, ella pensava che s’egli la risposta l’aveva già avuta, ed era favorevole, si sarebbe affrettato a recargliela. Ella lo avrebbe capito a volo, anche senza insospettir Valentina con le chiacchiere, e in quanto ai particolari avrebbe aspettato ad averli più tardi. Così Lidia si crucciava adesso d’essere uscita, ed era impaziente di tornare a casa.

Richiamò la figliuola e prese il primo vaporetto che partiva nella direzione del Canalazzo; sarebbe scesa alla stazione di Sant’Angelo ch’era per lei la più comoda. Il vapore, quasi vuoto in principio, si riempì a mano a mano durante la corsa; anzi a Calle Vallaresso s’imbarcarono alcuni conoscenti coi quali convenne pure scambiar strette di mano e saluti: una signora Spedara, piccola, inframmettente, che domandò almeno cinque volte: — È sempre stata bene, signora Fìdoli? —, un’altra con la figliuola, condiscepola di Valentina, che attaccò subito l’argomento delle troppe lezioni; un amico di Carlo che tanto per dir qualche cosa chiese a Lidia ciò che sapeva perfettamente: — L’avvocato è già partito per Roma?

A Lidia non parve vero di scendere a Sant’Angelo e di liberarsi dai seccatori.

Salendo le scale di casa sua ella interrogò la cameriera. — C’è lo zio?

— Nossignora.

— E non è mica stato in questo frattempo?

— Nossignora: da quando è uscito verso il tocco non s’è più visto.

— E non è venuto nessun altro?… Non è venuto niente?

— È arrivato un pacco postale multato…. Pare che ci sia dentro una lettera.

— Ah, della mamma, — disse subito Lidia. Era una fissazione della sua mamma quella di metter le lettere nei pacchi postali. Ogni anno si dovevan pagare per causa sua parecchie di queste multe.

— Il fattorino ripasserà domani a riscuotere il danaro, — soggiunse la cameriera. — Intanto ha lasciato il pacco.

— Dov’è?

— In salotto da pranzo…. È una scatola di fiori.

Valentina, ch’era stata con tanto d’orecchi tesi sperando che il pacco della nonna contenesse un regalo per lei, al sentir che si trattava di fiori fece una spallucciata e tirò per la manica l’Erminia, la cameriera, affinchè ammirasse il nuovo cerchio.

— Va, va con l’Erminia, — ordinò Lidia alla figliuola. — Va a lavarti le mani, a mutarti il vestito. — Indi, a una muta interrogazione della donna di servizio, rispose: — Io non ho bisogno di nulla…. Ah sì…. porta di là il mio cappello. Se lo levò di testa e glielo diede.

— Venga, signorina, mi farà vedere il cerchio, — disse la cameriera. — Com’è grande!

— È più grande di quello della Bertocci, — affermò Valentina con aria convinta, lasciandosi condur via dall’Erminia.

Lidia entrò in salotto da pranzo ove dalla scatola semiaperta usciva un acuto profumo di rose. Erano belle le rose, di tutte le specie e di tutte le tinte; ma tra pel viaggio, tra per le manomissioni degl’impiegati postali, erano anche, a eccezione di poche, avvizzite e sfogliate. In mezzo ai petali sparsi, in mezzo agli steli infranti la lettera incriminata odorava essa pur come un flore. Lidia ne ruppe la busta. — “Fin da domenica siamo a San Vigilio, sul nostro Garda, — scriveva la madre, — ove fa meno caldo che a Verona e ove abbiamo trovato una magnifica fioritura di rose. Ti spedisco le più belle; ma in quale stato ti arriveranno?… Che peccato che non siate qui a coglierle, tu e Valentina! Come siamo soli, e con che impazienza contiamo i mesi, le settimane, i giorni che mancano al settembre quando finalmente verrete! Circa al venir noi per i bagni, non ci vedo chiaro. Il tuo papà si move sempre meno volentieri, dice che la vita di Venezia l’estate lo affatica…. Oh Lidia mia, che brutta cosa invecchiare!… Ma non metterti in apprensione; finora, anche invecchiando, il tuo babbo ed io stiamo bene…. Quello che temo non possa durare fino al settembre è il povero Lampo, l’antico e vispo compagno delle tue passeggiate…. Ha dato un crollo negli ultimi mesi! Si trascina a stento, ha la tosse, è pieno d’acciacchi; forse sarebbe opera di carità l’accorciargli le pene, ma non ce ne sentiamo il coraggio; vogliamo ch’egli muoia della sua buona morte…. Abbiamo ragione, non è vero?… Povera bestia! Come ti ricorda! Basta dirgli: dov’è Lidia? perch’egli si scuota, alzi il muso e dimeni la coda e risponda con un mugolìo sommesso che par quasi significare: Perchè mi lusingate invano?… È una giornata senza sole, e forse per questo la mia lettera ha un’intonazione grigia…. Smettiamo.

“Il babbo abbraccia teneramente te e Valentina. Io vi mando mille e mille baci. Salutami tuo marito, scrivi presto e credimi

la tua aff.ma mamma.„

Gli occhi di Lidia s’erano empiti di lacrime. Sui sentimenti confusi destati in lei dal dramma domestico in cui minacciavano di naufragare la sua felicità e la sua pace, sul dolore, sulla gelosia, sulla collera, s’innestavano altri sentimenti pieni di paurosa ansietà e d’ineffabile malinconia. Ella correva col pensiero ai suoi vecchi così soli, così abbandonati, con la fronte già curva, coi capelli già bianchi, trascinanti il piede lungo i sentieri del bel giardino invano rifiorente per loro, o, nel vespero silenzioso, affacciati al parapetto del terrazzo che dava sul lago, mentre qualche vela sfiorava la superficie increspata dell’acqua e il vapore da Peschiera o da Riva lasciava dietro di sè una striscia sottile di fumo, e il sole scendeva laggiù verso Desenzano. Nè, per quanto facesse, Lidia riusciva a scacciar da sè l’immagine del povero Lampo quale la lettera glielo aveva dipinto; affranto, malato, decrepito, uscente dal suo torpore solo in udire il nome di lei. Temo non possa durare fino al settembre — le scriveva la madre; e l’idea di non vederlo più, di non accarezzarlo ancora una volta la crucciava come un rimorso. Ma, nella eccitazione de’ suoi nervi, prima che di questo, ella si chiamava in colpa d’aver lasciato la casa paterna, e sciocche e colpevoli chiamava tutte le fanciulle che un vano miraggio d’amore o un più vano desiderio di novità strappa al nido domestico, ov’è sbocciata la loro anima, ove non è cosa che non sia in intima comunione di spirito con loro.

Alla voce di Valentina che rideva nell’altra stanza con la cameriera, Lidia si scosse, si rasciugò in fretta gli occhi, dispose con le sue mani in una coppa di cristallo le rose meglio conservate, e la coppa posò delicatamente, perchè l’acqua non traboccasse dagli orli, sulla tavola apparecchiata.

Valentina irruppe nel salotto da pranzo. — Oh le belle rose!… Son quelle che ha mandate la nonna?

— Sì.

— Ma ce ne son dell’altre nella scatola…. E anche qui sul tavolino.

— Non vedi che sono tutte sfogliate?… Anzi di’ all’Erminia che venga a prender la scatola.

— Or ora. Ma le foglie le raccolgo io. Voglio far l’acqua di rose.

Lidia si strinse nelle spalle. — Bada alle spine.

L’avvertimento era opportuno ma giunse tardi, perchè Valentina s’era già punta un dito e strillava, più che pel dolore, per la vista del sangue.

La madre accorse. — Te l’avevo detto!… Che bimba!… Non istà mai ferma…. Dio!… Anche questa ci voleva oggi!

Ed esaminava la piccola ferita, e succhiava il sangue, e diceva a Valentina carezzandola: — Non è nulla, non è nulla. Sii buona.

In fatti Valentina non tardò a rasserenarsi e a sorridere in mezzo alle lacrime. — Scrivi alla nonna che un’altra volta cavi le spine prima.

— Oh sciocchina! — fece Lidia baciando la figliuola. E le chiese: — Hai fame?

— Tanta.

Lidia sonò il campanello e ordinò all’Erminia di sollecitare la cuoca.

— Appunto, — disse la cameriera, — la cuoca voleva sapere se c’è a pranzo il signor Ernesto…. Io veramente avevo apparecchiato solo per due….

— Andrà bene così, — rispose la signora. — Credo che mio zio non venga. Venendo si contenterà di quello che c’è…. Una posata è subito messa…. Intanto, appena è pronto, portate in tavola.

Che sforzo fu per Lidia quel giorno trangugiar qualche boccone, mentre pareva che il cibo le si fermasse nella gola, e lo stomaco non volesse riceverlo! Se per un momento, ai Giardini, ell’aveva potuto considerar le cose sotto un aspetto men fosco, se nonostante la leggerezza di suo zio, nonostante l’impudenza della Morini, ell’aveva potuto sperare che l’ultimatum spedito alla sua rivale non fosse inefficace, ora rinfacciava a sè medesima la propria ingenua credulità. Non c’era dubbio, Natalìa avrebbe raggirato quel minchione di Ernesto Landi, studiandosi di disarmarlo con le moine, con le promesse vaghe…. o chi sa forse, con l’audacia di chi brucia i suoi vascelli, avrebbe sfidato l’onta e il pericolo della delazione, avrebbe fatto dire a lei, a Lidia, alla moglie legittima, che si servisse pur della lettera, se ne aveva il coraggio…. Ma era chiaro…. lo zio non tornava perchè non aveva una risposta soddisfacente da dare; anch’egli, come tutti i pusillanimi, non cercava che di guadagnar tempo.

Valentina, a cui la gita ai Giardini aveva aguzzato l’appetito, mangiò la minestra e il lesso senza badar troppo alla cera scura di sua madre, ma quando fu al terzo piatto cominciò a piantarle in viso i suoi occhi interrogatori, a esser vinta dall’inquietudine di lei, a far i capriccetti propri ai bambini che son scontenti e non sanno dire il perchè. Poveri bimbi! Noi li accusiamo di esser bisbetici senza ragione, e dimentichiamo che spesso i capricci dei piccoli non sono che l’espressione visibile del malumore dei grandi.

— Sii buona, Valentina, — supplicava Lidia, — sii buona.

Valentina avrebbe voluto esser buona, ma non poteva. Si sentiva avvolta di nuovo dalla grande tristezza che l’era piombata addosso improvvisamente due o tre ore addietro, in Piazza San Marco, e che poi l’aria libera, il moto, la felice spensieratezza dell’età avevano in parte dissipata. Sentiva che c’era qualcosa d’insolito intorno a lei, qualcosa che le si nascondeva, sentiva che la sua casa, che la sua mamma non erano quelle di jeri; associava nella mente il babbo lontano, il nonno, la bella signora, e non capiva, e non osava domandare, paurosa d’un altro rabbuffo. Lente, silenziose le colavano le lacrime giù per le gote.

— Non piangere, tesoro, — disse Lidia, — non piangere.

L’Erminia che serviva la frutta si chinò sulla fanciulla. — Cos’ha? Era tanto allegra prima.

— Niente non ha, — replicò Lidia. — Lasciala stare…. Piuttosto, alza quella tenda, apri meglio quella finestra.

Un raggio di sole, rinfrangendosi sulla vetrata, rigò d’una striscia luminosa la tovaglia bianca, sprigionò un breve scintillìo dalle boccie e dai bicchieri, lambì le rose che si sfogliavano.

— Oh! — fece Valentina mettendosi la mano davanti agli occhi.

Ma il sole era scomparso. Lidia guardava le rose che alla tepida carezza parevano essersi ravvivate un istante, aver dato un profumo più intenso, come l’anima dell’anima loro. E dietro le rose avvizzite rivide ancora una volta il suo lago, la sua villa, i suoi genitori, il suo cane decrepito e moribondo…. Oh perchè, perchè non era laggiù?

Si alzò bruscamente da tavola e propose a Valentina di salire insieme in terrazza per annaffiare le piante.

— Ci vieni, davvero?

— Sì, ci vengo.

Era di solito un ufficio affidato all’Erminia; in quell’ora Valentina aveva l’abitudine di mostrare i suoi quaderni alla mamma, e di fare i suoi piccoli còmpiti sotto la direzione di lei. Oggi delle lezioni non ce n’erano, e mamma e figliuola s’inerpicarono per le due scale erte, buie e anguste che conducevano alla terrazza.

— Se capita lo zio, — disse Lidia alla cameriera, prima di salire, — chiamami subito.

— Sissignora.

Nè la terrazza era spaziosa, nè le piante eran molte; un trenta o quaranta vasi al più, guastati in parte dalle irruzioni frequenti dei gatti del vicinato. Non ci volle quindi un gran tempo ad annaffiarli, ma Lidia, quand’ebbe finito, anzichè scendere si affacciò al parapetto da cui l’occhio, libero per tre lati, spaziava in un ampio orizzonte spingendosi fino alla linea vaporosa dell’Alpi. Dalla massa dei tetti accavallantisi gli uni sugli altri emergevano le punte aguzze dei campanili e le cupole rigonfie delle chiese; i fili del telegrafo correvano paralleli nell’aria come le righe d’un libro di musica; le rondini a stormi ora lambivano i comignoli delle case ora si sprofondavano nell’azzurro, cantando; nella mite luce crepuscolare si smorzavano tutti i colori e tutti i contorni.

Montata sopra una panca di legno, accanto alla madre che le aveva passato un braccio attorno alla vita, Valentina domandava: — Che campanile è quello? Quella che chiesa è?

Non sempre Lidia era in grado di rispondere all’interrogazione, e allora la bimba brontolava infastidita: — Non sai niente. — Ma la sua curiosità non scemava per questo, ed ella tornava ad appuntare il dito qua e là. — Dimmi, che cos’è?

— Smetti, non vedi ch’è quasi buio?

Scendeva a poco a poco la sera; in cielo brillavano le prime stelle. Un lume apparve a una finestra d’una casa lontana lontana; si dileguò, riapparve, svanì.

— Chi sta in quella casa? — chiese Valentina.

— Scioccherella, come vuoi ch’io sappia?

— Perchè non sai?

— Perchè, perchè, — disse Lidia mettendo una mano sulle labbra della fanciulla.

— Ma sì, perchè?

— Zitto! — intimò la madre. E pensava a tutti i segreti che quelle case, ormai formanti una sola ombra confusa, gelosamente chiudevano, pensava ai lutti, alle gioie, alle colpe, alle speranze, agli amori che si celavano dietro le imposte chiuse, dietro i muri impenetrabili. Ricordava l’allusione di Natalìa al nostro nido…. Ah, dov’era il loro nido? In che parte della città? Forse in un angolo remoto, forse nel centro, a due passi da lei, a due passi da Valentina…. Povera Valentina! Lidia le posò la destra sul capo, come a proteggerla.

— Mamma, — ripigliò la bimba. — Le rondini sono andate a letto?

— Sì, cara.

— E dove hanno il loro letto le rondini?

— Sotto le cornici, sotto le gronde, al coperto…. Vuoi che andiamo anche noi al coperto?… Tira un po’ d’aria….

— Si sta meglio con l’aria.

— Ts! — fece Lidia, che aveva sentito un suono di passi sulla scaletta. E si voltò vivamente. — Chi è?

Era l’Erminia, con un lume in mano.

— C’è qualcuno giù? C’è lo zio? — domandò Lidia con ansietà.

— Nossignora, — rispose la cameriera. — Ma sulla scala non ci si vede più, e son venuta col lume pel caso che desiderassero scendere.

— Hai fatto bene…. Scendiamo.

Valentina non oppose che una piccola resistenza. Era stanca, aveva sonno, benchè protestasse di non averne e di voler tener compagnia alla sua mamma. Anch’ella doveva aspettare il nonno e sgridarlo perchè non era stato a pranzo con loro.

Ma quando fu abbasso, si addormentò davvero sopra un divano e la misero a letto quasi senza ch’ella se ne accorgesse.

— Età beata! — pensò Lidia, deponendo un bacio sui rosei labbretti socchiusi.

Lasciò aperto l’uscio della camera, e si ridusse nel suo salottino da lavoro ch’era attiguo a quella. All’Erminia diede ordini assoluti, precisi. — Non sono in casa per nessuno…. tranne per lo zio, s’intende….

— E lo riceve qui?

Lidia accennò affermativamente col capo.

— Il tè lo porto alle dieci?

— Chiamerò io, — disse la signora. — Va pure.

 

IV.

Si provò a lavorare ed a leggere, e non vi riuscì. L’ago era troppo grave peso alla sua mano; i caratteri stampati le si confondevano negli occhi, non lasciavano nessuna impressione nella sua mente. Ogni tanto balzava in sussulto, tendendo l’orecchio. Le pareva che avessero aperto la porta di strada, le pareva che qualcuno salisse…. Nulla…. Lo zio non veniva.

Alle dieci e mezzo ella sonò il campanello.

— Porta da fare il tè, — ordinò alla cameriera. — E poi va a dormire.

— Non aspettava il signor Ernesto?

— L’aspetterò sola.

— Ma io…. — principiò l’Erminia.

Lidia l’interruppe. — Non perdiamoci in chiacchiere. Porta questo tè.

Tornando col vassoio, l’Erminia, o per sollecitudine, o per curiosità, domandò di poter rimanere alzata fin che rimaneva la signora.

— No, — replicò questa. — Non voglio…. Non so neppur io a che ora andrò a letto…. E forse ti chiamerò domattina più presto del solito…. Va, va.

— Devo spegnere il gaz?… Il signor Ernesto ha il suo lume abbasso.

— Spegni il gaz della scala, — rispose la padrona, — e lascia accesa una fiamma nel salotto d’ingresso.

— E quella chi la spegnerà? — chiese l’Erminia.

Lidia si strinse nelle spalle. — Io stessa…. O il signor Ernesto…. in caso disperato resterà accesa tutta la notte…. La gran disgrazia!… Va, va.

L’Erminia uscì a malincuore, additando la teiera e dicendo: — L’acqua è calda.

Dopo qualche minuto d’attesa, Lidia si alzò e, adagio adagio, spalancò tutti gli usci fino al salotto d’ingresso; tanto da evitare il pericolo che Landi arrivasse inavvertito e sgattaiolasse nelle sue camere. Presa ch’ebbe questa precauzione, ella bevette successivamente due tazze di tè che dovevano aiutarla a vegliare, magari fino a giorno fatto. Già ell’era certa che se si fosse coricata senza veder lo zio Ernesto non avrebbe trovato un istante di requie. In ogni modo, non la turbava il dubbio che lo zio non venisse prima di giorno. Egli aveva troppa cura della sua salute da passare l’intera nottata fuori di casa.

Di ben altra natura eran dunque le inquietudini che la travagliavano. Come si sarebbe regolata domani? Ecco il problema. A che partito si sarebbe appigliata in seguito a una risposta sfavorevole o ambigua? Si sarebbe valsa davvero delle sue armi? Avrebbe avuto il coraggio d’andar sino in fondo? Un’idea, sì, prendeva a grado a grado forma e contorni nella sua mente; nè a quell’idea erano state estranee le parole rivolte poc’anzi alla cameriera: forse ti chiamerò domattina prima del solito; ed ella dibatteva per la centesima volta il pro e il contro del suo disegno quando (era da poco sonata la mezzanotte) udì qualcuno fermarsi alla porta di strada e introdur la chiave nella serratura. — Finalmente!… — ella esclamò. E corse incontro allo zio.

— Finalmente! — ripetè, aprendo con impeto la porta che dava sulla scala e avanzandosi sul pianerottolo.

Ernesto Landi, che saliva col lume in mano, fece un passo indietro e dovè abbrancarsi alla ringhiera.

— Chi è?… Sei tu, Lidia?… Che modi!… Quasi ruzzolavo…. Ti credevo a letto.

— Come? Non eravamo intesi che l’avrei aspettato?

— Sì, ma avendo tardato tanto….

— Poco male…. Non ho sonno…. Su, via, spicciati ora.

Landi era lì immobile, tenendo in una mano il lume e la mazza, appoggiandosi con l’altra alla ringhiera. Non si decideva a far gli ultimi scalini; parlamentava dal basso.

— Dicevo che forse si sarebbe discorso con più agio domani.

Lidia protestò in tono reciso. — Subito voglio sapere. Acconsente a partire, colei?… Acconsente?

— Dio santo!… Le cose bisogna pigliarle con calma.

— Spiegati allora! — riprese Lidia frenandosi a stento. E soggiunse con aria sarcastica: — Devo venir, a offrirti il braccio perchè tu salga?

— Salgo, salgo, — brontolò lo zio Ernesto, quando vide che non c’era speranza di rimandare il colloquio.

— Puoi spegnere il lume, — disse la nipote. — C’è il gaz in sala.

Lo precedette nel salottino, gli additò una sedia, e facendogli segno di attendere diede una capatina in camera da letto per assicurarsi che Valentina dormiva. Rientrata in salotto, ne chiuse tutti gli usci, sedette di fronte allo zio e gli piantò gli occhi in faccia. — Dunque?

Egli ritorse il viso istintivamente, e cominciò esitante: — Prima di tutto ti chiedo scusa di non esser venuto prima.

Ella ebbe un moto d’impazienza. — Tira via…. Parla di lei…. parla della signora.

— Ecco, — balbettò Ernesto Landi; ed evitava sempre di guardar sua nipote, — ecco, Natalìa è dolentissima….

— Oh…. zio….

— Dolentissima, — ripetè questi. — Riconosce che le apparenze la condannano….

— Zio…. tu vaneggi, — interruppe Lidia. — Le apparenze? E la lettera?

— Sì, sì, non c’è dubbio…. la lettera è stata una leggerezza…. Ma di serio non c’è stato niente….

— E le ore deliziose?… E il nido?… Mi credete una bambina, mi credete una stupida, tu e la tua Natalìa?

Landi si contorceva sulla sedia come uno studente impreparato dinanzi alla commissione esaminatrice.

— Senti, Lidia…. a ogni modo, ella ti promette per quanto ha di più sacro, ti dà la sua parola d’onore che troncherà ogni rapporto con tuo marito.

— La parola d’onore di Natalìa! — esclamò la moglie ingannata, battendo palma a palma. — A che gioco giochiamo?… Non ti ricordi più qual era il mio ultimatum?… Non le hai imposto, in nome mio, di accettare il trasloco, di abbandonar Venezia per sempre, entro una, entro due settimane?… Ah Madama rifiuta di andarsene?… Non è vero, rifiuta?

— Non rifiuta, in massima…. tutt’altro…. Crede impossibile di andarsene ora…. Che figura farebbe fare a suo marito presso il Ministero?… Nondimeno potrei ritentare se avessi….

— Che cosa?

Lo zio Ernesto esitò un momento, poi slanciò la bomba.

— Se avessi la lettera?

— Sei pazzo?

— Persuaditene, Lidia, — seguitò Landi. — Natalìa è donna da prendersi con le buone…. Le minaccie la inaspriscono…. Rivolgendosi al suo cuore, che non è cattivo, te lo giuro, restituendole quella lettera malaugurata….

— Zio, zio, — proruppe Lidia, — sei tu che mi fai queste proposte?… Tu che avevi assunto l’incarico di difendere la mia causa?… E non ti vergogni?… Ma sì che ti vergogni…. Si capisce che vorresti nasconderti…. Non hai ancora avuto il coraggio di fissarmi in viso…. Fissami in viso, per Dio.

E così dicendo gli si avvicinò, gli pose le mani sulle spalle, lo scosse con forza, lo costrinse ad alzare gli occhi.

— Andiamo, Lidia…. cos’hai stasera? — borbottava Landi, non riuscendo a capacitarsi come la sua dolce e mansueta nipote si fosse trasformata in una virago.

— Hai addosso il suo profumo di cocotte! — ella soggiunse arricciando il naso, e fiutando le dita contaminate.

E intanto scrutava attenta e severa quella fisonomia di vecchio libertino, quei solchi profondi, quelle carni floscie, quella tinta terrea, quella bocca sensuale ov’erano forse le traccie di lascivie recenti, e ne provava un ribrezzo, una nausea invincibile. La visione disgustosa, associandosi nella sua mente all’episodio dello zio e di Natalìa curvi insieme sul banco del gioielliere, n’evocava una più laida, più ripugnante, che pur troppo chiariva tutto, spiegava a Lidia il perchè Ernesto Landi fosse ormai l’alleato della sua nemica.

Ella lasciò ricader le braccia inerti sulle ginocchia e non trovò altre parole che queste:

— E pensare che potrebb’esser tua figlia!

Ma Landi, nel suo turbamento, diede alla frase una portata che Lidia non si sognava di darle.

— No, Lidia, no, non devi dir questo…. Lo sai che non è mia figlia…. Lo sai che aveva tre anni quand’ho conosciuta sua madre…. No, Lidia, no….

Anzichè ammansarsi per la difesa non chiesta da un’imputazione che ell’era le mille miglia lontana dal fare, ella sentì crescere in sè lo schifo e la collera. In che casa, fra che gente viveva se certe sozzure vi si potevano immaginare e discutere? E poi quella strana apologia non conteneva forse una confessione?

— Esci! — ella intimò, di nessuna cosa tanto sollecita come di por termine a questo colloquio che pure ella stessa aveva voluto.

Egli non capiva, credeva che sua nipote sospettasse ancora, e biascicava sbigottito, confuso: — Ti giuro che non è mia figlia…. Te ne darò le prove.

— E chi te le domanda? — ella replicò impetuosamente, moderando a fatica gli scatti della sua voce. — Sei tu, con la tua fantasia corrotta e viziosa, che mi attribuisci idee dalle quali rifuggo…. Non è tua figlia, nulla vieta che sia la tua amante; ecco ciò che tu intendi…. E non ti pare che basti perch’io ti scacci?

— Ma ascolta…. ma non precipitare i tuoi giudizi…. Tu supponi quello che non è….

Lidia seguitò beffarda: — Era un braccialetto che le regalavi oggi?

Landi chinò il capo fulminato. — Chi t’ha detto?

— Io t’ho visto…. vi ho visti…. Eravate in Piazza, sotto le Procuratìe e speravate passar inosservati! — esclamò Lidia. E ripetè con un gesto imperioso: — Esci!

Il vecchio (tale era adesso veramente all’aspetto) si avviò barcollando. Giunto sulla soglia, si voltò ancora supplichevole, contrito: — Sarai più calma domani, non è vero?

E poich’ella non apriva bocca, non batteva palpebra, egli riprese: — Non farai mica un colpo di testa?… Non farai nessun passo prima d’avermi consultato?

— Consultar te! — ella rispose. — Farò quello che la mia dignità mi suggerisce. Vattene!

— Lidia! Lidia!

Egli esitava; ella stessa gli aperse l’uscio e stette rigida, immobile finchè non ebbe sentito chiudersi la porta della scala. Allora traversò in punta di piedi la camera da letto debolmente rischiarata da un lume appeso al soffitto e ove Valentina dormiva tranquilla, entrò nel gabinetto da toilette, e tuffò nella catinella il viso e le mani e s’asperse d’acqua di Colonia per liberarsi dall’acre profumo di muschio, dal profumo ignobile di cocotte che Landi aveva portato con sè e aveva comunicato a lei. Indi, tornata nel salottino, spalancò la finestra, s’affacciò al davanzale, aspirò a pieni polmoni l’aria della notte. Ahi, non era quella l’aria pura ond’ell’aveva bisogno. Una donna come Natalìa era più che sufficiente ad appestare un’intera città. Che femmina, Dio, che femmina!

No, Lidia non poteva rimanere un giorno di più nella città in cui Natalìa abitava, non poteva rimanere nella famiglia su cui Natalìa esercitava le sue perfide arti di seduzione. Sarebbe partita la mattina con la sua figliuola, per il suo Garda, per la villa ove i suoi genitori invecchiavano soli.

Sì, sarebbe partita…. ma prima….

Aperse la scrivania, prese un foglietto di carta e vi tracciò alcune linee con mano convulsa.

“Signore. — La lettera che le inchiudo non era destinata nè a Lei nè a me; però quand’Ella vedrà da chi fu scritta ed a chi, si persuaderà che abbiamo, Ella ed io, il diritto di conoscerla…. „

Qui s’arrestò, incapace di continuare. Aveva ella misurato le conseguenze dell’opera propria? Era certa che quelle conseguenze sarebbero ricadute soltanto sulla moglie infedele? Se Morini, in uno di quei lampi d’energia cieca e selvaggia con cui i deboli credono riscattare l’abituale pusillanimità, se Morini avesse provocato Carlo? Se si fossero battuti? Se Carlo fosse rimasto ferito, se fosse rimasto ucciso?…

E nell’ipotesi opposta, se il marito pacifico e imbelle si fosse contentato di scrollar le spalle? Se si fosse quetato alle carezze, alle lusinghe della sua Messalina? O peggio ancora, se la lettera non gli fosse neppur pervenuta, intercettata chi sa con quali sotterfugi da Natalìa?

Così la denunzia sarebbe stata o fatale o ridicola; ignobile sempre.

Ma d’altra parte, doveva Lidia lasciar trionfare impunemente i colpevoli? Non far del male a chi ne faceva tanto a lei?

No, i suoi scrupoli erano vani e puerili; checchè avvenisse poi, ell’avrebbe compiuto la sua vendetta. E in questo caso vendetta voleva dire giustizia.

Riafferrò la penna; alla rivelazione documentata dal biglietto di Natalìa meditò di aggiungerne una seconda, quella della tresca con Ernesto Landi, pregustò la gioia feroce di armare il nipote contro lo zio, lo zio e il nipote contro Natalìa, e Vittorio Morini contro tutti e tre.

Senonchè, sul punto di riprender la lettera interrotta, la nube di fuoco che le abbarbagliava gli occhi si sciolse; una forza occulta le paralizzò di nuovo la mano; la sbigottì di nuovo il pensiero delle rovine e delle vergogne che potevano derivare da un suo passo imprudente.

Tre volte sedette al tavolino, tre volte si alzò scoraggiata; indi, come chi abbia molte faccende da sbrigare e lasci per ultimo la più molesta, disse: — Scriverò domattina, — e s’accinse intanto a preparare il suo piccolo bagaglio.

Andava, veniva con passo svelto e leggero da una stanza all’altra, apriva i cassettoni fragranti di spigo e gli armadi da lei tenuti in ordine con la intelligente sollecitudine di buona massaia, stendeva la mano sicura agli oggetti di biancheria e di vestiario che voleva portar seco e che sarebbero bastati a lei e a Valentina per un paio di settimane. Avrebbe ordinato a suo tempo che le spedissero il rimanente.

Poich’ella non considerava il ritorno che come un’eventualità molto dubbia e lontana. Troppo l’avevano offesa. Troppe bassezze ella vedeva intorno a sè.

Ah, il grido del cuore che l’avrebbe richiamata, perdonante ed amante, alla casa maritale, quel grido ella non se l’aspettava da Carlo. Orgoglioso, freddo, positivo qual era, egli non si sarebbe piegato a chieder mercè del suo fallo, avrebbe difeso la sua causa con artifizi di leguleio, avrebbe invocato l’aiuto dei suoceri per sopire uno scandalo nocivo alla riputazione della famiglia, avrebbe versato fiumi d’eloquenza per dimostrare la necessità di non funestar Valentina con lo spettacolo di questo dissidio domestico…. Ipocrita, ipocrita! Quasi non fosse lui che lo creava il dissidio!

Ma ell’avrebbe resistito…. oh, si sarebbero persuasi ch’ella non era una donna debole…. avrebbe opposto alle minaccie ed alle lusinghe la coscienza del suo buon diritto, le sue ragioni sacrosante di moglie e di madre…. Possibile che i Tribunali (se i Tribunali dovevano immischiarsene) si pronunziassero contro di lei? Possibile che i suoi genitori le dessero torto?

Poveri vecchi! Non così, non così essi desideravano la visita della loro figliuola. Nell’età in cui la pace è bene supremo ella irrompeva come un turbine nella loro quieta esistenza. Eppure, che altro rifugio poteva ella cercare?

Erano le due dopo mezzanotte; mancavano circa sette ore alla corsa, e Lidia pensò di sdraiarsi sul letto non per attendere il sonno che non sarebbe venuto, ma per dare un po’ di riposo alle membra prima di mettersi in viaggio. Non si cacciò nemmeno sotto le coperte, si coricò mezzo vestita, ravvolta in uno sciallo. Dal letticciuolo vicino saliva a lei il respiro lieve di Valentina, salivano dalla strada suoni di passi e di voci; un ubbriaco che doveva esser fermo sul ponte urlava di quando in quando Ah l’amore, l’amoreè un dardo; alla luce fioca e tremolante della lampada i mobili e le tappezzerie pigliavano forme strane e confuse. A momenti ella credeva di sognare, di aver sognato, e se ne stava con occhi sbarrati, con orecchi intenti verso quelle immagini e quei rumori di cui non sapeva se fossero veri o se vivessero soltanto nella sua fantasia. Ma presto si ridestava in lei la coscienza della realtà, e, come se mille punte le si configgessero a un tratto nel cuore, ella riprovava le angosce dell’amore deluso, le smanie della gelosia, gli stimoli della vendetta, lo sgomento dell’incerto avvenire. E riandava il passato quando in quella camera, la sua camera nuziale, ell’era entrata giovine sposa, e Valentina non c’era, e Carlo dormiva al suo fianco. Rammentava il tempo in cui Valentina doveva arrivare, attesa con tanta ansietà, il tempo in cui era arrivata, accolta con tanto giubilo. Ora tutto era finito; mai più forse sarebbe entrata in quella camera, mai più avrebbe posato in quel letto.

Alle cinque Lidia era in piedi, e non tardò molto a chiamare la cameriera.

— Vado a San Vigilio con Valentina, — ella disse.

L’Erminia fece un gesto di maraviglia…. — Parte…. così?

— Alle 8.45. Vado a trovar mia madre…. Tirerai fuori la valigia e il sacco da viaggio…. Vi riporrai la roba che ho già preparata.

— Non ha dormito, la signora, stanotte? — chiese l’Erminia.

— Ho dormito poco…. Perchè?

— Perchè si vede…. È assai pallida….

— Non importa…. Dormirò in treno.

— E — seguitò la ragazza — non istà mica male?

— No, sto benissimo; — rispose Lidia con qualche sforzo.

L’Erminia domandò ancora: — E…. scusi se sono indiscreta…. resterà assente un pezzo?

— Non so…. Forse molto, forse poco…. Scriverò da San Vigilio…. Spicciati, fa questo bagaglio.

— Non vuol che la pettini prima?… Non vuol che svegli la signorina?

— Oh per la signorina c’è tempo…. la sveglierò io…. In quanto al pettinarmi, tant’è sbrigarsi addirittura…. Ma presto, mi raccomando.

E sedette nell’abbigliatoio, davanti allo specchio, sciogliendo i capelli folti, ondulati, d’un bel castano scuro e lucente ch’erano stati il suo orgoglio.

— Presto, presto.

— Ma se non ha pazienza — diceva l’Erminia — le strappo i capelli…. E sarebbe peccato.

Lidia tentennò la testa e un sorriso amaro le sfiorò le labbra. Quei capelli bruni che le scendevano giù in doppia lista lungo le guancie livide e smunte le facevano l’effetto d’una triste cornice a un’immagine ancora più triste. Vide, in un’apparizione fuggevole, la chioma nera di Natalìa profusa sulle spalle opime e sul seno procace; vide in mezzo a quell’onda fluente i grandi occhi pieni di lampi e le rosee labbra piene di fascini, e sentì la vanità della lotta.

— Presto, presto.

Si appuntò da sè le ultime forcine e licenziò la cameriera. — Attendi al bagaglio, e disponi perchè sia pronto il caffè e latte…. E che verso le otto ci sia una gondola alla riva.

Lidia guardò l’orologio e stette un momento perplessa. Doveva chiamar Valentina, o, piuttosto, mentre la bimba dormiva ancora, doveva passar nel salotto da lavoro e finir la lettera per Vittorio Morini? Finir la lettera? Era dunque decisa? Avrebbe dunque rimesso a Morini il biglietto di Natalìa? Era decisa?

Non avrebbe potuto dirlo; pur s’avviava al salotto, traversando la camera da letto. In quella Valentina si mosse, stirò le piccole braccia, girò intorno le pupille assonnate. — Chi è?… Mamma, mamma!

— Son io, tesoro; — disse Lidia correndo a baciarla.

— Che ore sono?… È ora d’andar a scuola?

— Oh per la scuola sarebbe presto, — rispose la madre. — Sono soltanto le sei e mezzo. Ma non si va a scuola oggi.

Valentina, ch’era una bimba studiosa, aggrottò le ciglia. — O perchè?

— Perchè, — soggiunse Lidia cercando di dare un’intonazione allegra alla sua voce, — perchè invece di andare a scuola si va insieme a fare una visita ai nonni, a San Vigilio…. Come? Stai lì ingrugnata? Non sei contenta d’andare dai nonni?

— Non m’hai detto nulla iersera; — notò Valentina con aria d’importanza.

— O che si deve dir tutto a madamigella? Era una sorpresa che ti preparavo…. Su, su, alzati.

Lidia spalancò le imposte ch’erano socchiuse, e la luce del mattino invase la stanza.

— È una giornata splendida…. Avremo un viaggio delizioso…. E come sarà bello il lago!

Lo sa il babbo che andiamo dai nonni? — domandò Valentina.

— Lo saprà.

— Ma quando si torna a Venezia?

— Oh che bimba cattiva!… Anzichè aver piacere d’andar dai nonni pensa già al ritorno.

Ma la fanciulla piagnucolava. — Come farò per gli esami?

— Non ti confondere per gli esami…. Accomoderemo tutto. Su intanto….

E Lidia, impaziente, strappò via le coperte della figliuola.

— Oh mamma! — protestò questa come offesa nel suo pudore, tirando a sè un lembo del lenzuolo per coprire il corpicino seminudo.

— Alzati, dunque; — ripigliò Lidia.

— Mi alzerò sola…. Non mi guardare.

Era l’ambizione di Valentina di lavarsi e vestirsi tutta quanta da sè, senz’aiuti…. Per spogliarsi la sera, era un altro affare. Allora ordinariamente cascava dal sonno.

— Non ti guardo, no, non ti tocco.

Grave, taciturna, chiusa nella camicia da notte ch’ella si teneva stretta sul petto, trascinando i piedini scalzi nelle pantofole troppo grandi, Valentina passò nel camerino da bagno. No, quel viaggio improvviso non la persuadeva. Da ieri in poi accadevano cose ch’ella non capiva, che le si volevano nascondere…. E non erano cose liete…. Bastava veder la sua mamma.

Nuda, sotto la doccia, Valentina piangeva, e le sue lacrime si mescevano all’acqua che le pioveva dall’alto sulla nuca e sul dorso.

E di nuovo Lidia s’avviava al suo salottino da lavoro quando l’Erminia, ch’entrava in camera coi vestiti spolverati della padroncina, l’avvertì che c’era fuori suo zio e che desiderava parlarle.

Lidia s’imporporò in viso. Non l’aveva ella messo alla porta? Come osava ripresentarsele?

— Non ho tempo; — ella rispose. — Digli che non ho tempo…. che sto per partire….

— Appunto per questo, — replicò l’Erminia. — È rimasto così male sentendo che parte.

— Fa la mia ambasciata e risparmia i commenti; — intimò la signora.

L’Erminia ubbidì, ma non tardò a ricomparire.

— Scusi…. io non ne ho colpa…. il signor Ernesto ha insistito tanto…. La prega, la supplica di riceverlo per un minuto…. Non so che cosa abbia…. So che fa pietà…. Pare invecchiato di diec’anni da ieri.

— Insomma…. — principiò Lidia. Ma si pentì a mezzo. Non poteva far licenziar dalla cameriera, quasi fosse un intruso, lo zio di suo marito, lo zio Ernesto, quegli che la servitù vedeva continuamente andar e venire come uno di casa. — Dov’è? — ella chiese.

— È in sala.

— Ebbene, accompagnalo nello studio del padrone…. già fino alle nove non c’è nessuno…. e che mi aspetti…. Tu poi torna subito di qua e bada a Valentina…. Non le dire che c’è lo zio, non voglio che si trovino insieme…. Ricordatene.

Ed ecco che Lidia era ancora davanti al suo tavolino, decisa a non abboccarsi con lo zio Ernesto senz’aver prima preso una risoluzione irrevocabile circa alla lettera di Natalìa. Annunziare il fatto compiuto era il miglior modo di troncare un colloquio che le ripugnava.

Spiegazzata, sgualcita, la lettera di Natalìa era sotto i suoi occhi, accanto a quella incominciata per Morini. “Signore. La lettera che le inchiudo non era destinata nè a Lei nè a me, ecc., ecc.„

Ora ella s’accorgeva che le righe scritte non avevano bisogno di nessuna illustrazione, e che non vi mancava se non la sua firma. Perchè esitava? Perchè a rilegger le sue parole, pur così semplici, così vere, e in apparenza così calme, ella provava un amaro disgusto di sè, sentiva una voce intima della coscienza che le ripeteva: È male, è male?

E il tempo stringeva, e Valentina poteva da un momento all’altro irrompere nella stanza, tempestarla di domande, chiederle s’ella scriveva al babbo. Non le aveva già chiesto se il babbo sapeva della loro partenza?

Valentina aveva ragione; il babbo doveva sapere. Cedendo a un’ispirazione subitanea, Lidia stracciò in minutissimi pezzi il foglio ove aveva tracciato le linee accusatrici, prese un cartoncino da corrispondenza e vi scrisse con rapidità febbrile:

“Carlo. — Hai dimenticato nel tuo studio un biglietto che compromette qualcheduno. Te lo spedisco, avvertendoti ch’era aperto e l’ho letto.

“Vado con Valentina sul Garda, dai miei genitori. Addio.„

Con la fretta angosciosa di chi non vuol lasciar adito al pentimento, chiuse entro una busta il cartoncino insieme col biglietto di Natalìa, vi applicò il francobollo, vi fece la soprascritta:

Al signor Commendatore

Avvocato Carlo Fìdoli

Albergo Milano

Roma.

Indi, senza frapporre indugi, cacciando in seno la lettera che avrebbe impostata ella stessa alla stazione, corse nello studio di suo marito.

Ernesto Landi che sedeva accasciato si alzò in piedi. — Lidia…. non vuoi ascoltarmi?

— È inutile…. Parto.

— È proprio vero?… Parti con Valentina?

— S’intende.

— Ma non per…. molto?

Ella tacque.

— Lidia, Lidia, — insistè lo zio. — Non distruggere una famiglia.

— Sono io che la distruggo?

— Lo so, i torti non son tuoi…. Ma non conviene esagerare…. Tante cose si accomodano, tante cose più gravi di questa.

— Non son venuta qui per discutere, — interruppe Lidia. — Ormai quel ch’è fatto è fatto.

— Hai spedita la lettera? — chiese trepidante lo zio, credendo di dover interpretare così la frase sibillina.

— È come se l’avessi spedita; — ella replicò brevemente.

— Dunque non l’hai spedita? Dunque c’è ancora tempo?

— La getterò io con le mie mani nella cassetta postale, — dichiarò Lidia.

Poi, stanca di questa commedia, tirò fuori la lettera e la mise sotto gli occhi di Landi. — Eccola.

Vedendone la soprascritta egli rimase perplesso, e rivolse alla nipote uno sguardo ansioso. Non era uno sbaglio? Il biglietto di Natalìa?

— È qui dentro; — disse Lidia, rispondendo alla muta interrogazione. E soggiunse: — Sono stata vile.

La fisionomia d’Ernesto Landi s’illuminò di riconoscenza. — Sei un angelo! — egli esclamò. E fece atto di chinarsi per baciarle il lembo della veste.

Ella si ritrasse sdegnosa e respinse la lode.

— Sono vile, vile…. Siamo tutti vili, io, mio marito, tu.

Come se Ernesto Landi volesse provar luminosamente che, almeno per quanto si riferiva a lui, la sentenza era giusta, egli biascicò esitante: — E non mi hai mica nominato?

Lidia atteggiò le labbra a un sorriso sarcastico. — Oh no…. È una faccenda che regolerete fra voi due…. Già quella signora ha posto per tutti…. E adesso, caro zio, non abbiamo altro da dirci.

Umile, insinuante, egli arrischiò una preghiera: — Non mi permetterai di abbracciar Valentina?

— No, — ella rispose in tuono secco, reciso. — Anzi non voglio che tu la incontri.

Lo fece passare per l’antistudio, gli aperse la porta che dava sul pianerottolo e fronteggiava quella del suo quartierino particolare.

Egli uscì a testa bassa, sgomentato dalla voce dura, dal gesto imperioso di Lidia.

— Arrivederci, — egli balbettò. — E se ho errato, perdonami.

— Addio, — diss’ella, tirando l’uscio dietro a sè.

Sentiva d’esser stata senza pietà, ma c’era in lei una reazione contro la debolezza di prima. Dopo aver rinunciato a vendicarsi dei due veri colpevoli, ella infieriva contro quegli il cui delitto era forse men grave. Tale è spesso la giustizia del mondo.

  • ···············

La gondola che doveva portare alla stazione Lidia e la figliuola era sul punto di staccarsi dalla riva.

— No che il nonno non dorme. Perchè mi avevi detto che dorme?… — gridò a un tratto Valentina, scotendo forte il braccio della madre. — È là il nonno, alla finestra della sua camera, e ci saluta e mi manda dei baci…. Buondì, nonno, buondì.

E rossa, animata in viso, la bimba ricambiava con la mano i baci che Ernesto Landi continuava a mandarle. Quindi, con un moto d’impazienza: — Mamma, guarda in su, dunque…. Saluta anche tu.

Lidia non potè a meno di alzare gli occhi e di fare un cenno col capo.

— Buondì, nonno; — seguitava a gridar Valentina, mentre la gondola s’allontanava, e dalla riva piovevano i buon viaggio, signora, buon viaggio, signorina, della servitù. — Buondì, nonno…. Vieni a trovarci a San Vigilio, vieni col babbo….

— Basta, ora, Valentina…. Chetati; — ammonì Lidia.

— Povero nonno!… Resta così solo…. E quant’è commosso!… Pare che pianga…. Non può nemmeno parlare…. Ecco, adesso sventola il fazzoletto…. Buondì, nonno!

E Valentina agitava ella pure il suo fazzolettino bianco di batista, ove Lidia aveva ricamato un bel V.

La gondola svoltò in un altro canale, la casa disparve.

— Mamma, — chiese Valentina, — che cosa ti ha fatto il nonno che sei in collera con lui?

Lidia non rispose, tirò a sè la figliuola e se la strinse al petto singhiozzando.

— Mamma, mamma, — proruppe angosciosamente la fanciulla, — cos’hai? Cos’è avvenuto da ieri in qua?

— Niente, caro tesoro…. Nuvole che passano.

La barca usciva nel Canalazzo, entrava nel sole. Lidia si rasciugò gli occhi, li fissò nella luce, li fissò, pieni di tenerezza, in Valentina. Ridiscendeva a poco a poco la calma nel suo cuore sbattuto dalle tempeste, vi ritornavano la speranza e la fede. Chi sa? Forse tutto non era perduto; forse la mano innocente di Valentina poteva riedificare ciò che la mano impura di Natalìa aveva infranto.