I.
—Come si amano quei due sposi!—mi diceva un giorno l’amico Maccabruni, additandomi una giovane coppia che transitava il ponte di congiunzione fra i bastioni e il giardino pubblico.
—Pare impossibile!—esclamai sbadatamente.
—Il marito è un bel giovane…
—Non lo nego—ma è tanto imbecille…
—Ragione di più perchè egli sia adorato da sua moglie…
—Via, Maccabruni! non far questa ingiuria al bel sesso.—Per la luna di miele—voglio concederlo—può bastare un marito giovane e robusto; ma più tardi—passate le effervescenze—esaurito il miele—se il neo-consorte non ci mette un poco di spirito e di poesia; la luna, nel decrescere, diviene cornuta.
I due sposini entrarono nel caffè, e noi, senz’altro parlarne, scendemmo a braccio fino al parco dei cervi ad ammirare e meditare il bellissimo effetto degli animali forniti di corna.
II.
Cinque mesi dopo, si dava alla Scala la prima rappresentazione dell’Africana di Mayerbeer—e i nostri due sposini brillavano da un palchetto di prima fila, mentre io, coll’amico Maccabruni, mi trovava in platea, serrato nelle costole da due individui, i quali, pel loro biglietto gratuito, fors’anche per qualche spicciolo intascato il mattino, battevano le mani a far sangue.
Malgrado i pregi della musica e il dimenarsi dei miei vicini, che parevano invasati, al terzo atto io cominciava a noiarmi, e il mio amico Maccabruni più di me.
Buon per noi che il fragore della istrumentazione e degli applausi ci permetteva di conversare a mezza voce, senza dar nell’orecchio a nostri prossimi.
Maccabruni mi invitò a girare lo sguardo verso il palco dei due sposi.—La donna era seduta, colla testa leggermente inclinata, e la sua mano, posta a visiera della bocca, lasciava indovinare un enorme sbadiglio.
—Ecco là qualcuno che si diverte come noi! dissi all’amico—la signora non sembra molto commossa dall’inno a San Domenico…
—Ma il marito, come tu vedi, fa le vendette di quello sbadiglio… Oh! Oh… si leva in piedi… si getta colla persona fuori del palco…
—Guarda… guarda lassù! quel signore diventa pazzo… Vedi come straluna gli occhi!…
—Presso a poco come sua moglie… con questa sola differenza che la moglie straluna anche la bocca…
Parlando, appena ci eravamo accorti che l’atto era finito, che i nostri vicini aveano cessato di battere le mani, epperò potevano udirci.
Ci udirono infatti—e l’un dessi, a voce alta e vibrata, ci rivolse la parola:
—Quel signore lassù non batte le mani a caso… Quel lassù se ne intende un pochetto… Non fa meraviglia ch’egli comprenda… che egli vada in estasi in udire il sublime spartito… Un professore come lui!…
—Ah! gli è dunque un professore di musica quel signore…? domanda un tale che siede nella panca dietro la nostra.
—Professore! Sicuramente! È ben vero che egli non ha bisogno di dar delle lezioni per vivere… o di suonare a pagamento nelle orchestre…
—Ah! un dilettante…. suonatore…. Sapreste dirmi, di grazia di quale istromento….?
—Istrumento…! Istrumento!… Se suona, gli è certo che deve suonare un istrumento…
—Di violino forse?…
—Ve lo dirò io, cosa suona quel signore—sorge a dire un giovanotto che non ha mai cessato di sorridere sotto i baffi durante quella conversazione—quel signore è un grande intelligente di musica, un grande contrappuntista, un vero genio dell’avvenire… ma quanto a suonare, egli non è riuscito a perfezionarsi che sovra un solo istromento… Un istromento non molto difficile, ma in compenso il più completo e forse anche il più esatto…
Ma il giovanotto non può compiere la frase… Il direttore dell’orchestra ha percosso la tolla, e guai a chi fiata al cominciare dei suoni!
Nel quarto atto, durante la marcia indiana ed il brindisi parimenti indiano, e al cospetto di tutta quella India, per la quale Selika, che è nata nel paese, ha mille ragioni di chiamarsi Africana; il fanatismo de’ miei vicini, del signore di prima fila… e del pubblico che comincia ad andarsene… tocca il suo colmo…
Al duetto fra Vasco e Selika, la signora sembra riscuotersi—quella scena voluttuosa, dove la energia e la potenza di un vecchio genio sembra ravvivarsi per effetto di cantaridi, produce una viva sensazione nella giovane sposa… Ma io mi accorgo che gli occhi languidi della bella prendono una direzione affatto opposta al palco scenico, e le sue pupille sembrano addentrarsi in un palchetto, che le sta di fronte.
In verità non so darle torto. Il marito, sempre assorto nella musica dell’Africana, nel corso dei quattro atti non si è mai degnato di rivolgerle la parola.—Queste dimenticanze dei mariti rappresentano quasi sempre il bivio fatale, dove i cuori di due sposi prendono a divagare in un cammino affatto opposto.
Nell’intermezzo, che succede al quarto atto, io mi levo in piedi per riprendere la conversazione interrotta; ma lo sconosciuto non aveva atteso la calata del sipario, per abbandonare il suo posto ed uscire dal teatro.
La platea si è molto diradata; gli spettatori possono allargarsi a loro agio sulle panche.
Frattanto, la mia bella signora non cessa di volgere tratto tratto delle occhiate significanti al palchetto di faccia; mentre il marito, agitando il suo binoccolo bianco, esprime il suo entusiasmo a due giornalisti sprofondati nelle sedie fisse.
Gli è quasi sempre nei teatri e nelle feste da ballo che hanno principio i romanzi appassionati, qualche volta un po’ scandalosi, della società moderna. In altri tempi le grandi passioni si sviluppavano nei boschi (come i funghi), all’ombra dei castani, al margine del ruscello, ai miti raggi della luna—Erano imbecilli i nostri nonni!—Un poeta, amico mio, che ha voluto provarsi l’ autunno scorso alle emozioni degli amori boscherecci, è tornato a Milano con una pezzuolina di cerotto sul naso, per la maledetta puntura di un calabrone.—Pel comodo degli innamorati, viva la città! grido io.—Qui non vi sono calabroni—e i mariti, per giunta, nelle città sono più paperi che altrove!
III.
Ma io m’accorgo di aver già troppo irritata la curiosità de’ miei lettori—e non dico delle mie lettrici, perchè non desidero che questo racconto venga letto dal così detto bel sesso.
Oggimai sono trascorsi dieci mesi da quella prima rappresentazione dell’Africana che mi ha posto sulle traccie di un geniale mistero—che mi ha invogliato a tener d’occhio i du
Da questo momento io sparisco dalla scena e rinunzio alla mia parte di attore, per limitarmi a quella di un semplice espositore di fatti.
IV.
Il marito si chiama Teobaldo…. La signora porta il nome abbastanza poetico di Clarina.—Dicono che il marito si invaghisse di lei e la pigliasse in moglie per simpatia di quel nome, che gli ricordava il suo istromento favorito, il clarinetto.
Teobaldo è maniaco per la musica, e ha potuto, nella sua condizione di milionario, consacrarsi perdutamente allo studio ed ai diletti di quest’arte, malgrado l’avverso organismo sortito dalla natura.
Ho detto perdutamente, e l’avverbio non può essere più acconcio. Studiando il pianoforte, il violino, il contrabasso, il bombardone, i timpani, e in generale tutti gli istromenti di indole gagliarda, il Teobaldo ha perduto il suo tempo. Basti sapere che egli non è mai riuscito ad apprendere per orecchio una sola cantilena delle tante opere da lui udite. L’aria della pira—incredibile a dirsi!—non è ancora entrata esattamente nel dominio delle sue reminiscenze, sebbene ei l’abbia eseguita più di mille volte… sull’organetto.
—Ma dunque—codesto Teobaldo—un istromento è pur riuscito a suonarlo!
—Vero! verissimo!… convien rendere questa giustizia al di lui talento. A forza di prove, di studi e di esercizii pazientissimi, Teobaldo oggigiorno è tale suonatore di organetto da poter competere cogli orbi più famosi.
Ma non a tutti è dato conoscere questi particolari;—l’organetto non fu visto da alcuno—i più intimi del signor Teobaldo, quelli stessi che più volte l’udirono suonare (ed è gente versata nell’arte), non hanno mai sospettato che il meraviglioso harmonium del nostro dilettante non sia altro che uno di quegli strumenti a manubrio, fabbricati a benefizio degli inabili ed a strazio del pubblico.
Teobaldo ha speso una somma ingente per far costruire il suo organetto. L’artefice, lautamente pagato, produsse un capolavoro ammirabile; tale, che a udirlo in distanza, di leggieri lo si scambia per una eccellente fisarmonica della officina Tubi.
Nel palazzo di Teobaldo, quell’organetto occupa un salottino attiguo alla grande sala di ricevimento. Nelle serate di riunione, ogni qualvolta si fa musica al palazzo, alla fine dei concerti, gli amici, i professori, i dilettanti, le signore, tutti gli invitati fanno istanza a Teobaldo, perchè si compiaccia di coronare il trattenimento eseguendo un pezzo sull’harmonium.
Teobaldo sulle prime fa il ritroso… Ma gli invitati insistono con bel garbo—le signore si mettono in ginocchio—e alla fine Teobaldo acconsente a suonare, col patto di rendersi invisibile.—Poco dopo, dal gabinetto vicino escono gli accenti melodiosi, e, finito il suo pezzo, Teobaldo rientra nella grande sala a ricevere le congratulazioni e gli evviva.
Con questo abile stratagemma, Teobaldo è riuscito a passare per un distinto musicista, e ad ottenere il diploma di membro onorario di diverse società filarmoniche.—A Milano si voleva affidargli la presidenza della Società del Quartetto.
V.
Non erano passati venti giorni dalla prima rappresentazione della Africana, quando la moglie di Teobaldo, la bella Clarina, profittando della assenza del marito, si chiuse nel suo gabinetto da toletta per scrivere una lettera.
Poniamoci dietro le spalle della signora (è una posizione che offre quasi sempre delle viste aggradevoli), e leggiamo ciò che ella scrive:
«Mio dolce amico!
«Tu hai commesso uno di quegli errori a cui difficilmente si può rimediare. Qualcuno aveva già parlato a Teobaldo in tuo favore, e mio marito si mostrava assai ben disposto a riceverti in casa; ma tu, colle tue imprudenze, hai guastato i miei piani. Come mai ti è venuto in mente di dire tanto male della Africana al club degli artisti? Teobaldo era presente, Teobaldo ha udito ogni cosa, e ti giuro che, dopo un tal fatto, è assai difficile che egli si riconcili con te. Teobaldo è furioso… Figurati che egli non dorme più… che egli non mangia più… che egli mi ha completamente obliata per l’Africana. Ogni giorno mi viene a casa con dei nuovi signori, maestri, dilettanti, giornalisti… che so io?… il pianoforte è in ballo… Io non so più dove ricoverarmi per fuggire l’Africana.—Quando penso che tu solo, tu che avresti potuto tener luogo di tutti, per una imprudente chiacchierata… ti sei chiuso per sempre la strada che io ti aveva aperta!… Carlo!… Se è vero che tu mi ami… se è vero che brameresti rinnovare ogni giorno le gioie… ahi! troppe fugaci e incomplete… della nostra prima giovinezza… Carlo: io te ne supplico—desisti dal far guerra… all’Africana—riconciliati con lei—confessa pubblicamente i tuoi torti—non ti resta altro modo per tornare nelle buone grazie di mio marito… e per avvicinarti a colei, che ti ama e ti aspetta coll’anima ansante.
«C. B. T.»
VI.
Due giorni sono trascorsi.—A un ora dopo mezzanotte, presso un tavolino del caffè Merlo siede una comitiva di giovani eleganti, i quali stanno discutendo calorosamente sui maggiori o minori pregi dell’opera di Mayerbeer. Teobaldo, che non fa parte del circolo, udendo parlare del suo tema favorito, vorrebbe intromettersi alla discussione, ma in quel punto tutte le voci acclamano a un nuovo personaggio che entra nella sala, e a quello si dirigono tutti gli sguardi.
—Eccolo!… ben giunto!… non ci mancava che lui! gridano i contendenti.
Il nuovo personaggio è un bel giovane biondo che all’aspetto dimostra venticinque anni. Teobaldo, in vederlo, dà indietro alcuni passi.
—Miei buoni amici, comincia il giovane prendendo la posa di una vittima—percuotetemi, schiaffeggiatemi, ammazzatemi chè io l’ho ben meritato! Datemi della bestia… del cretino… dite pure che Carlo Restani è la negazione dell’istinto musicale, la più svergognata creatura del secolo!
Tutti i volti esprimono la meraviglia, e attendono la conclusione di quell’enfatico esordio.
—Io ho bestemmiato—prosegue il giovane a voce alta—la più sublime emanazione del genio onnipotente di Dio. Io non ho compreso ciò che è comprensibile all’infimo idiota della terra—ho negato il sole, il gigante degli astri, cui salutano tripudianti tutti gli esseri animati e inanimati!—non ho gustato, alla prima rappresentazione, la musica dell’Africana!
Teobaldo che già si era mosso per uscire dal caffè, si avvicina di nuovo alla comitiva.
—Perchè mai, questa sera, io mi sono lasciato trascinare dal mio mal genio a rientrare alla Scala?… Ho dovuto arrossire, inorridire di me stesso… Ho provato una di quelle umiliazioni che atterrano un uomo, che obbligano ad eclissarsi per sempre da ogni consorzio… Ma no! io non voglio eclissarmi… preferisco, colla sincerità, colla franchezza del mio ravvedimento, espiare di qualche modo il mio peccato… Per mia penitenza, ho stabilito di intraprendere un viaggio artistico in tutte le città, in tutti borghi e i villaggi d’Italia, a proclamare, collo spartito alla mano, che giammai, dacchè si fa musica al mondo, non è stato scritto un capolavoro più sublime della Africana di Mayerbeer!
—Ah! meno male!… ecco un uomo che ha il coraggio di ritrattarsi!—esclamano alcune voci.
Teobaldo si avvicina al Restani, e, toccandosi con una mano l’ala del cilindro, gli dice col più amabile accento:
—Mi permetta, signore, di presentarle le mie più sincere congratulazioni!… Sere sono al club degli artisti, io mi era non poco scandolezzato in vedere che un giovinotto di talento un distinto musicista come lei, non partecipasse all’entusiasmo di quanti comprendono e sentono la grande arte!… Ella non può figurarsi l’immenso piacere che io provo nel poterla contare fra i nostri.
Carlo Restani s’inchina leggermente a Teobaldo, e gli chiede:
—Vuol ella dirmi, signore, a chi ho la fortuna di parlare?
—Teobaldo Biettola, possidente… e maestro… cioè… professore…. o per meglio dire dilettante di harmonium, e membro onorario di diverse accademie filarmoniche…
—Chi non conosce di nome il signor Teobaldo Biettola? dice il Restani inchinandosi—professore d’harmonium… e meglio ancora mecenate splendidissimo degli artisti e promotore benemerito dei buoni studii musicali… Io mi tengo fortunato di poter distruggere, in uomo sì universalmente stimato pei suoi talenti musicali, la cattiva impressione…
—Basta!…. non serve…. Io già sapeva che anche lei si sarebbe convertito… Tutti gli uomini, come ella dice, universalmente stimati, debbono tosto o tardi convenire con noi.—Guardiamoci attorno: vede lei un maestro, un suonatore, un dotto qualunque che abbia composto una polka… un solo giornalista (non parlo dei giornalisti da dieci franchi, ma di quelli… come sarebbe a dire… da cento, da duecento)… insomma conosce lei qualcuno della grande sfera artistica e sociale, che non divida il nostro entusiasmo?
—La prego—signore—non mi umilii davantaggio—sono già troppo mortificato di dover confessare la mia sconfitta! La si figuri, signor Biettola, che domani io dovrò arrossire dinanzi ad una ragazzetta di otto anni, la quale non è ancora arrivata al suo quarto esercizio sul pianoforte! Una ragazzetta che alle prime rappresentazioni dell’Africana, è andata in estasi alla scena del vascello!
—Dunque!… Sentiamo un poco… (riprende Teobaldo accalorandosi)…. io so tutta l’Africana a memoria… ma pure… amo sentire dagli altri… Quali sono i pezzi che più le sono piaciuti?
—Prima di tutto… la prima battuta del preludio…
—La prima? non ci ho badato… Domani a sera voglio farci attenzione…
—Poi, le cinque battute che seguono…
—Cinque battute!… ma dunque ella crede proprio che quelle cinque battute?…
—Io non le darei per le sedici…
—Diamine!… converrà che io le ascolti meglio…. Quanto a me, vado pazzo per la cavatina di Ines…. lalalà…. lilili… bibibì… zon! zon!…..
—E il coro dei vescovi… toutoù…. lalarà…. lorolò…. titatà….. lo so tutto a memoria… Che ne dice del settimino!…. oh il settimino!… fron… fronfron!… tititi… tititì… tilorouc!…. tititì… tilorouc… tilorouc….
—Lorouctì… lorouctì…
—Bravo… lei può darmi dei punti… Lei suona… voglio dire… lei canta… o piuttosto solfeggia come un angelo!
—Ha lei notato l’effetto di quel bemol, che viene a formare un accordo parziale di settima diminuente sulla tonalità generale di do diesis, sviluppando negli ultimi accordi le producenti di sol ce fa ut?…
—Fromfrom lalalà—fromfrom lalà!… Ma le sedici battute… Che ne dice delle sedici battute?… Pensare che vi sono degli imbecilli, i quali sostengono che tutto l’effetto consiste negli unissoni della quarta corda?… Avete provato a riportare quel pezzo sul pianoforte o sull’harmonium?
—Io ritengo che sull’harmonium le sedici battute hanno da risaltar meglio che sui violini… Peccato che io non sappia suonare l’harmonium! Quel pezzo, sull’harmonium, deve riuscire divino!
—Qualche giorno… ve lo farò sentire—disse Teobaldo prendendo la posa solenne di un musicista, che si ricorda esser membro onorario delle più illustri accademie d’Italia.
Carlo e Teobaldo quella sera divennero i migliori amici del mondo.
—Se non fosse l’ora già tarda, io vi inviterei a salire nel mio palazzo per udire come sappia accentare sul mio istromento quelle ammirabili battute.—Ma mia moglie dorme a poca distanza della sala… e mi dorrebbe ch’ella si svegliasse…
—Ciò sarebbe imprudente…
—Voi dite bene… sarebbe imprudente!
E i due giovani si separarono con una stretta di mano.
VII.
Una mattina, la bella moglie di Teobaldo stava seduta languidamente sovra un divano della gran sala, e i suoi sguardi correvano spesso al pendolo dorato della caminiera.
La porta si apre; Carlo Restani viene introdotto da Teobaldo, che si affretta a presentarlo alla moglie.
Costei china la testa con aria indifferente, e accenna al giovane di sedere sovra un fauteuil.
—È un nuovo convertito!… esclama Teobaldo con enfasi… Tu sai bene, Clarina… gli è quello istesso che al club degli artisti… Basta, il signor Carlo vuole che si dimentichi quella scena… e noi vi poniamo sopra un sasso… D’ora innanzi egli ha il diritto di mettersi a pari cogli uomini universalmente stimati… Con quell’orecchio!… Con quella memoria! Figurati, Clarina, ch’egli mi ha fatto capire certe cose… certi bemolli… certe chiavi… Una gran scienza la musica!… e quando la si è studiata per dieci anni… si capisce che bisogna tornare da capo!
Il Restani risponde a monosillabi—la signora affetta un’aria di noncuranza, che fa indispettire il marito.
—Mia moglie si intende poco di musica…—prosegue Teobaldo—di bemolli e di cose simili non vuol saperne… e quando io le suono le sedici battute, qualche volta si addormenta… Ma io credo che a lungo andare… la convertiremo… non è vero, signor Restani?
—Mi spiace, gentilissima signora, che la mia venuta in questa casa debba procacciarvi una molestia… io desiderava sentire sull’harmonium l’effetto delle sedici battute… ma se ciò ha da tornarvi sgradevole… noi rimetteremo ad altra occasione il diletto…
—No!… fate pure! fate pure!—risponde la signora—sono più che mai disposta alle vostre battute… Alla fine, sedici battute passano in un momento… Animo, Teobaldo!… Vediamo se gli è propriamente oggi che tu riesci a convertirmi!
Teobaldo non si fa molto pregare, e dopo la solita premessa che la sua timidità nervosa non gli permette di suonare in presenza di chicchessia, va a chiudersi nel gabinetto.
—Adorabile Clarina! esclama il Restani, gettandosi ai piedi della signora.
—Carlo!… Imprudente!…. aspetta almeno che egli muova il manubrio…!—dice la donna con voce sommessa.
—Non abbiamo che sedici battute…—e come tu ben dicevi poc’anzi—sedici battute…. passano presto!
—All’età di Mayerbeer sedici battute sono anche troppo… ma noi si può chiedere il bis!
A queste parole della signora l’organetto risponde coi primi accordi.
Tram tram tratamla—tram tram trattamla…
—Questa.. è musica vera… musica buona!…—sospira il giovane.
—Musica dei tempi nostri!
—Ti ricordi Clarina!
—Se mi ricordo!!!
—Qui c’è di tutto…. passato…. presente…. avvenire!…
—Mio paradiso!
—Angelo mio… bis! bis! bis!—grida la signora con enfasi—bravissimo… bravo!… Da capo Teobaldo!… Da capo tutto!
Ma Teobaldo non ha udito le acclamazioni entusiastiche di sua moglie, perchè profferite con voce troppo languida, e uscendo improvvisamente dal gabinetto, rimane quasi pietrificato in vedere che la sua Clarina ed il giovane dilettante dell’Africana seggono abbracciati sul medesimo divano.
—Poter del mondo!—prorompe Teobaldo—ho da vederne ancora…. degli effetti!
—Ne vedrai ben altri in avvenire!—risponde la signora Clarina, ricomponendosi colla massima disinvoltura—e quando non si vuol vederne… non si trascura la moglie per suonare altre musiche… e si fa il bis a suo tempo.