Sorprese Guido il mio gesto rapido di nascondere, e mi fu addosso incuriosito, nè io so perchè mi venne fatto così naturale di nascondere quell’oggetto che a caso m’era capitato fra mano, forse per risparmiarmi questa spiegazione, che, del resto, neppure so spiegare perchè, a niun’altro avevo dato mai.

— Fammi vedere, va’ là, sei buono.

— Ma nulla, nulla, non è nulla.

— Sì, qualcosa hai nascosto, una roba nera, è una calza, di’ la verità.

— Ma che calza!

— Una calza d’una tua ex amante.

— Ma che amante!

— Una cosa nera, l’ho vista bene, hai fatto troppo presto a nasconderla — E con tutta la persona riparavo il cassetto mezzo aperto — Deve essere una cosa molto interessante perchè ti preme troppo di non farmela vedere, ne sono incuriosito, sei buono….

— Ebbene via, ti voglio contentare, bracone che non sei altro, guarda.

Una borsa di velluto nero con cerniera e catena di metallo bianco.

— Ha appartenuto a tua madre? — Disse Guido deluso, dopo essere rimasto zitto alcuni secondi.

— No.

— Ad una vecchia signora certamente.

— Eh…. forse, ne ha tutta l’aria, vero?

— Sei stato l’amante di una vecchia, me l’avevano detto una volta al caffè, non volli crederci, ora incomincio a convincermene, sei stato l’amante di qualche vecchia infame, bacchettona, e che tabaccava per giunta, dentro c’è una tabacchiera, ci scommetto.

— Ma che vecchia, che tabacchiera, smetti grullo! Vuoi proprio sapere come è venuta qui questa borsa? Senti: stavo per uscire, un giorno…. cinque anni or sono, ero fermo alla porta, mi infilavo i guanti e davo qualche disposizione alla mia donna, essa teneva la porta mezza aperta. Vennero dalla via a un tratto delle grida confuse, e quasi insieme, ci capitò addosso senza che lo avessimo sentito, uno precipitandosi violentemente dentro la stanza, la donna fuggì spaventata ma io potei subito distinguere che le grida dicevano «al ladro! al ladro!» Compresi, era lui. Chiusi istintivamente la porta, la donna era affacciata cogli occhi fuori della testa, il ladro si era fermato in fondo alla stanza, rasente al muro a capo basso, alzava gli occhi per osservare la mia espressione senza supplicare, e senza avere per nulla aria minacciosa, aspettava quello che io avrei fatto.

E proprio mentre io pure lo osservavo incapace di prendere su due piedi una risoluzione qualunque, suonarono il campanello, feci lesto un cenno al giovane di ritirarsi nella stanza vicina, la donna pure si ritirò, aprii lesto, tutto pronto com’ero per uscire, cappello pastrano guanti bastone…. una guardia municipale, e dietro, alle sue spalle facevano capolino ansanti tre o quattro borghesi, e per le scale si sentiva gente salire e vociferare.

— Scusi, è entrato qui, in questa casa, un ladro, uno che ha strappato una borsetta ad una signora, l’hanno visto entrare in questa casa, ma non ci riesce di trovarlo, non c’è.

— Ma…. non so davvero, io non mi sono accorto di nulla, qui non può essere entrato certamente, io stavo per uscire ero qui, la porta era chiusa, se vuole passi pure, ma è inutile…. è impossibile…. non so….

— Oh! le pare, scusi….

L’intonazione delle mie parole fu tale che non lasciò adito a sospetto.

— Scusi, scusi — Disse due volte la guardia, avranno sbagliato, o sarà scappato per il tetto… chi sa, ora vedremo — E siccome loro salirono presto agli altri piani io richiusi.

Appena mi voltai ecco da una porta apparire la faccia esterrefatta della mia donna gonfia di paura e di dispetto, doveva sentirsi bruciare il pavimento sotto i piedi con quel tipo in casa, irata di fronte alla mia naturalezza, ma incapace di trovare la prima parola per la circostanza.

Sulla soglia dell’altra porta, in fondo, si fece il ladro, era rimasto lì, solamente dietro la portiera, e si ripose come prima nella identica posizione, allo stesso posto. Un ragazzo sui diciassette diciotto anni, vestito non troppo male, come un operaio, un giovine meccanico, teneva il berrettino in mano.

— Bene educato.

— Sì, mi guardava senza dir nulla.

Io andai su e giù per la stanza tre o quattro volte. Per le scale era un saliscendi, alla porta di strada s’era adunato un enorme gruppo di persone che vociferavano, alle finestre tutti erano affacciati; e sbracciavano, sbraitavano «sì sì» «no no» «lì» «là» «su» «giù». Chi l’aveva visto, chi no…. poco a poco tutti uscirono delusi dall’infruttuosa ricerca, e la gente un po’ alla volta si squagliò, le finestre si richiusero perchè faceva freddo, il ladro era lì.

Rimanevamo in quella stanza io e lui e la donna che andava e veniva colla testa alla porta, fulminandomi ansiosa cogli occhi, ma nessuno dei tre era capace di dire la prima parola. La donna, si vedeva, aveva più voglia di tutti di dire qualcosa, di sfogarsi, contro di me, contro il mio modo di procedere, pigliarsi i ladri in casa, strapparli dalle mani della giustizia, mettersi a rischio di finire in galera con essi…. cose da dar la testa nel muro, ma non le riusciva di cominciare, io sentivo che bisognava dire qualche cosa, bisognava fargli una paternale, bisognava parlargli fraternamente, toccargli il cuore, dissuaderlo dalla sua decisione, invitarlo a desistere, e spiegare così la propria condotta, giustificare di averlo a quel modo salvato, il mariolo. Ma siccome io lo avevo salvato per istinto senza riflettere un solo istante, tutti i bei discorsi mi morivano sulle labbra.

Lui non aveva in fondo voglia di dir nulla, la sua posizione era chiara netta, si mostrava freddo, ed aspettava in fondo ch’io gli aprissi la porta, non arrivando a comprendere che io avevo incominciato a ragionare, e ragionando dicevo: se lo mando via ora così subito, è troppo presto, c’è ancora qualcuno nella strada che può vederlo e prenderlo o farlo prendere, la strada non può essere ancora del tutto dimentica e distratta dal fatto occorso pochi momenti fa, qualcuno può essersi appostato, gli feci cenno di accomodarsi.

— Si accomodò?

— No, rimase sempre in piedi appoggiato alla parete col suo berrettino in mano, guardando in terra e alzando tratto tratto su me gli occhi calmi, aveva dei capelli neri ricciuti scomposti, una bella testa bruna da adolescente e tutta la faccia pallida sensuale, una figurina snella. E quello che più di tutto mi turbava era la sua naturalezza, pareva ora che fosse sicuro di quello che io sentivo per lui, mi considerava colla freddezza del giuocatore nato che continua la sua partita senza il movimento di un solo muscolo della faccia, quasi sicuro di essere il padrone della situazione, e di dominarmi.

La donna dopo avere spiato un po’ la scena, visto che nessuna risoluzione veniva presa sia dall’una che dall’altra parte, si ritirò nella sua stanza, messe il catenaccio con rabbioso furore, e si udì poi il rumore di qualcosa gettato contro l’uscio.

Siccome però incominciava ad imbrunire, pensai che l’unica era di farlo uscire, avrebbe potuto essere uscito benissimo da sè già da molto tempo, io ero rimasto tante volte fermo guardando fuori dalla finestra vagamente, ma non l’aveva fatto, sentiva che quella non era la logica soluzione, si sentiva legato a me come io a lui. E quando fu per scendere la sera mi messi la mano in tasca, estrassi dal mio portafoglio un biglietto da cento lire gli andai vicino glie lo messi nella mano senza dire perchè glie lo davo, e lui lo strinse appena, senza avidità sempre seguitando a guardare in terra. Mi affacciai alla finestra, scrutai bene la via nel grigiore del crepuscolo, andai alla porta, l’aprii cautamente, orecchiai, mi volsi a lui, lui prima fece un atto come per dirmi qualcosa poi alzò una spalla, decidendosi si mosse, sempre col suo berrettino in mano mi strisciò dinanzi guardandomi con disinvoltura senza timore e senza gratitudine strisciò ratto, io richiusi. Aprii la finestra per vederlo uscire, non c’era più, era già sparito.

— Avrà pensato che quelle fossero le tue consuetudini di padrone di casa, vi comportaste entrambi a fil di galateo.

— Chi sa che cosa avrà pensato, io non ho mai potuto capirlo. Dopo andai a chiamare la donna, ce ne volle per farla uscire, si era barricata nella camera, prima non voleva rispondere in nessun modo «Non c’è più, vieni, è andato via, vieni fuori» ce ne volle. Poi borbottando, rimuovendo tutto quello che aveva ammassato dietro la porta uscì indignata.

— Io me ne vado via su due piedi! Sono cose da mentecatti! Mettersi a tali cimenti. Io non intendo di combattere così coi matti.

— È un disgraziato!

— I ladri in casa! Perchè non gli ha dato da bere? Perchè non lo ha invitato a pranzo?

— Cosa vuoi, è un ragazzo, lui non ne ha colpa, chi sa come lo hanno tirato su i suoi, chi sa di chi è….

— Sia chi si voglia io me ne vado….

— Ma no, stai buona — Poi si dette a frugare per tutte le stanze, negli armadi, pei nascondigli, sotto i letti.

— Ma se è andato via, gli ho aperto io, l’ho mandato via io.

— Io non voglio saper tante cose, conosco i miei polli, non voglio mica finire strangolata per lei sa, o al bagno! un corno!

— Ma che strangolata, ma che al bagno! ma che corno! E non seppe mai l’affare delle cento lire che se no mi avrebbe dato il caffè amaro per un anno intero.

— Giusto, e quelle cento lire perchè glie le daste?

— Non lo so. Perchè fosse contento della sua giornata? Non lo so.

— E come c’entra la borsa?

— Aspetta, la donna, dopo avere sbraitato, cercato frugato, messo paletti e catene, la vedo andare nell’ingresso sotto il credenzone, buttarsi tutta distesa in terra a cercarvi sotto, io ridevo credendo che cercasse ancora il ladro — che cerchi? Ma sei pazza? E sbuffando con grande fatica ne trasse fuori questa borsa. Lei aveva visto che entrando il ragazzo aveva gettato qualche cosa sotto il mobile, io non me ne ero per nulla accorto a quel modo come mi era precipitato addosso, e si dette sempre borbottando a cercarvi dentro, eccola: guarda, un fazzoletto bianco di tela il rosario, e questo portamonete, dentro: dieci, cinque uno due, dieci venti trenta trentacinque: diciassette lire e trentacinque centesimi. Mentre la donna frugava nella borsa mi sovvenne che il ragazzo per tutto il tempo aveva guardato là sotto, sotto al mobile dove l’aveva buttata. E io che non lo sapevo, che non me ne ero accorto.

— Peccato perchè tu saresti stato davvero compìto prendendola fuori e consegnandogliela con garbatezza, aver tenuta la borsa per te non va, chi sa come ti avrà giudicato severamente quel bravo giovinotto!

— Ma già, già, sì proprio, voleva la sua borsa.

— Il borsaiolo ora sei te, meno male che non ti ha denunziato, l’hai scampata bella, lo puoi ringraziare.

— Precisamente, certo, e come potevo fare? Ecco perchè prese il mio denaro senza alcuno entusiasmo, voleva il suo, la sua borsa, quello che ci doveva essere lì, anche se era meno di quello, lo avvinceva, non le mie cento lire.

— Gli hai tolto tutto il gusto della sua professione.

— Ecco, bravo.

— Ma potevi pur sempre rintracciarlo, certi personaggi si sa presso a poco dove capitano.

— Ma no, ma no.

— È vero, non si sarebbe fidato.

— Non c’era più ragione oramai. L’ho rivisto tante volte dopo, e sempre in luoghi e in attitudine sospetti, fermo alle stazioni dei tranvai, fuori alle uscite dei teatri dei caffè, per due o tre anni ho continuato a rivederlo.

— Vi siete salutati?

— No, non ne ho mai avuto il coraggio, e il suo incontro mi ha sempre turbato, mentre lui mi guardava sempre con la più grande naturalezza e sicurtà, e bonomia.

— Non ti ha serbato rancore.

— E sulla sua fronte io leggevo bene: «rubo».

— Un bravo giovanotto in fondo, tu non gli hai mai restituita la visita nè la borsa che aveva lasciata in casa tua.

— Poi non lo rividi più, non l’ho più incontrato da anni, chi sa dove è andato a finire, soldato….

— In galera.

— Probabilmente, o sarà emigrato….

— In America.

— Forse.

— Ne senti un po’ di nostalgia, di’ la verità.

— No, ma conservo sempre questa borsa tale e quale, e qualche volta mi accade di pensare a lui, alla nostra avventura.