Oh!… oh!... mie…. Angelo! — In una vestaglia bianca di lino, specie di lunga camicia, l’americana piagnucolava a scatti certi suoi singhiozzini gutturali: — Oh!… Oh!… — e diceva di tanto in tanto frasi sconnesse, con un’intonazione alta in testa, sgradevolissima. I suoi quattro capelli grigi, tirati fin sulla punta della testa peracea, e stretti fanciullescamente con un nastrino, si ritorcevano in giù a fontanina. Gli occhi bianchi, inespressivi, erano quasi completamente fuori delle orbite. Aveva in una mano un fazzoletto, nell’altra uno specchio ovale da toilette. Per la camera si espandeva palpitante la luce delle candele di due candelabri posti ai lati del letto; attorno ad esso erano, colla vecchia zittella, tre delle sue donne, mute, gelide, incapaci di un gesto, di un sorriso consolatore, attendevano pietrificate nella notte fatale.
Sopra il letto giaceva…. come una piccola foca di cioccolata acquattata sui cuscini, inerte, dall’aspetto floscio, gonfio.
L’americana continuava i suoi vaneggiamenti. — È foenita! Ah!… È foenita!… Mie angelo! Mie vita! — Passò due o tre volte il fazzoletto sopra lo specchio, e cogli occhi che sembravano definitivamente vomitati dalle orbite lo sottopose alla bocca della bestia e attese, nel freddo sepolcrale dell’istante, in una tensione folle. Il cristallo appena appena si velò, la coda irrigidita della bestia subì un’oscillazione impercettibile; l’americana emise a fila tre o quattro di quei suoi singhiozzini sospiro, poi tacque.
La porta della camera fu aperta, un’altra donna entrò ed introdusse con grande cautela un vecchio prete: egli ansava, e si sforzava di tacere il suo ansito che nel silenzio di quella stanza si sentiva troppo. La chiamata notturna dell’americana lo aveva messo tutto sottosopra, infin Drusilla, la serva, che contro le chiamate di notte nutriva un odio feroce, implacabile, quando sentì trattarsi di Miss Globe, cambiò subito tono, corse difilato a fare alzare il prete, e quel torrente di parole non seppe versare che a fiotti un monosillabo: — su…. su… su…. su…. — intanto che lo aiutava ad infilarsi le brache.
Miss Globe era stata negli ultimi tempi la sola ed ultima benefattrice della sganasciatissima parrocchia di quel povero villaggio, senza di lei parroco e serva sarebbero andati qualche volta a letto senza cena. Miss Globe aveva fornito il denaro per raccomodare il tetto della chiesa e della casa del prete quando una famosa bufera li aveva scoperchiati, lei aveva fatte riverniciare le panche ridotte in uno stato compassionevole, e quattro ne aveva donate nuove, bastava insomma ricorrere a lei per avere soccorso. Quando Don Pasquale andava per la benedizione annua della villa la vecchia zittella lasciava affondare di sua mano nella secchia dell’acqua santa un grosso pesce giallo, un pezzo d’oro da cento lire, e accompagnava il gesto con monosillabi e sorrisi di altezzosa noncuranza. Perchè poi quel bel pesciolino giallo lucente non si trovasse a disagio o si dovesse insudiciare fra gli oscuri compagni, Don Pasquale appena fuori dal cancello lo ripescava bravamente con due dita e strofinatoselo alla tonaca se lo metteva in tasca. Ecco perchè Drusilla non inveì contro i notturni disturbatori. «Ci dovete pensare prima di buio quando avete qualcuno che deve morire, non si aspetta all’ultimo momento! Ignorantoni! Il prete è troppo vecchio, eppoi non meritate nulla!» Ecco perchè Don Pasquale arrivò col fiatone, aveva fatta la salita a passo di corsa, gli sembrava d’esser diventato un bersagliere. Ora era anch’egli ai piedi di quel letto e non capiva nulla; Miss Globe non sembrava essersi accorta della sua presenza, le quattro donne fissavano il bassotto morente con occhi e lagrime vetrificati…. — Ma che cosa vogliono dunque? — Pensava il parroco — Perchè mi hanno chiamato? Chi ha bisogno di me?… — A questo punto gli balenò il sospetto — Non sarà mica…. per quello? — e i suoi occhi rimasero affondati nella schiena gonfia e lucida del cane.
Iere stava bene. Mie…. Tony! Ah!… Deciotto anne! Signor Preore!… — Don Pasquale si riscosse, ella si accorta della sua presenza. — È foenita! Signor Preore! Ah!… Onne domeneca mie Tony…. ascoltare sua messa…. Signor Preore…. ah!… tutto el tempo engenocchiato…. Pregare…. pregare per mie…. angelo! Benedire!… Benedire!… È foenita!… — Il vecchio parroco strizzò forte le palpebre per accertarsi di essere desto. Dove era? Era proprio sicuro di non sognare? — Benedire! — Gridò l’americana volgendosi finalmente verso di lui e mirandolo coi due occhi che sembravano partire come proiettili. Le cinque donne caddero inginocchiate d’un colpo, il vecchio prete non sapendo più come cavarsela, istupidito dal caso, alzò la destra tremolante, segnò in aria una…. serpolina…. qualche cosa che potesse rassomigliare ad una croce ma che non lo fosse, per amor di Dio! Che non lo fosse!***
Don Pasquale rientrando in casa a notte tarda usò ogni cautela per non destare Drusilla, ma non vi riuscì, appena a caposcala la serva lo chiamò, lo richiamò, domandò insistè: — ssss…. — fece due o tre volte il prete, e spazientito andò difilato nella sua camera. — Che cosa doveva raccontare? Di dove doveva incominciare? Quella donna era capace di far nascere un putiferio — Non era però ancora entrato nel letto che un’ombra bianca si fece alla sua porta: Drusilla in camicia. Ce ne volle per rimandarla senza spiegazioni, e se ne andò con tale nodo di rabbia alla gola che per tutta la notte borbottò ad altissima voce.***
All’alba fu lasciato alla parrocchia un biglietto urgentissimo da parte di Miss Globe. Don Pasquale lo lesse, lo malmenò, girò su e giù per la stanza, poi risoluto uscì gesticolando. Rincasò che erano suonate le otto, e alle sette doveva dire la messa, era cupo inquieto. Drusilla, muta, sibillina, seguiva ogni passo ogni gesto con piglio di minaccia, come un Dio offeso terribile nella sua vendetta. Era la prima volta che la fede aveva un mistero per lei.
***
Alle undici la serva apparve con un nuovo biglietto. Il parroco seduto al tavolo, fisso pensava, la donna entrò come caricata, quando fu nel mezzo della stanza gettò la busta al prete con tale violenza che questa andò a battergli sul nicchio e ruzzolò dipoi sotto la tavola. Girando quindi sui tacchi, come un automa, Drusilla era per uscire.
— Drusilla! Drusilla! Gridò alla fine il prete serrandosi la testa fra le mani — Drusilla!
— Ma che c’è? Si può sapere? Che c’è, vecchio scimunito?
— Senti però, senti, se parli t’ammazzo! Drusilla, t’ammazzo! T’affogo nel pozzo!
— Ma parli giuraddio!
— Drusilla…. senti, ieri sera…. lassù….
— Sì.
— Lassù…. dall’americana…
— Sì! Sì!
— Dall’americana….
— Sì! Ho capito!
— Mi hanno chiamato….
— Lo so che l’hanno chiamato, dica!
— Sai per chi mi hanno chiamato?
— Per chi?
— Se ciarli t’affogo però….
— Uh! Mamma mia!
— M’hanno chiamato….
— Per pinco!
— Per il cane!
— Eh?… Il cane?
— Quel canaccio color tabacco, colle gambe rotte, è morto.
— La salamandra?
— E volevano che facessi con lui come coi cristiani, gli voglion fare il funerale capisci? Portarlo in chiesa.
— La salamandra?
— Sì!
— Ma lei cosa gli ha risposto?
— Che non sono matto come loro, che non lo faccio, nemmeno se mi ricuoprissero d’oro; hai capito Drusilla? E dire che l’ho mezzo benedetto! È matta! È matta!… — Il vecchio tacque sprofondato nel suo rammarico. Drusilla, che alla parola oro aveva dato uno scossone istintivo, rimase un po’ pensosa, poi andò a cercare la busta sotto la tavola, inforcò gli occhiali, e con grandi movimenti delle labbra lesse il biglietto dell’americana la quale si serviva di chiave americana per forzare la serratura. «Se fare funerale dare voi subito lire diecimila. Jennet Globe». Drusilla compitò prima la cifra poi gridò: — diecimila lire? — Alzò in aria un grugno porcino come per acclimatarsi in quell’atmosfera aurea, e siccome il prete taceva — Ohe! È sordo? Diecimila lire!
— E che vuol dire?
— Diecimila lire: — ripetè la serva ninnolando le sillabe come fossero monete — Se glie ne chiedessimo ventimila — pensava….
— Ma Drusilla! — Gridò il vecchio, non comprendendo il suo giro d’idee — Drusilla?… Che pensi?… Drusilla! Un cane!
— Diecimila lire? — Ripeteva la donna ancora così estranea a quel suolo.
— Un cane! — gridò il parroco.
— Un cane! — Gridò la serva.
— Ma se si scopre?
— Avremo diecimila lire, ce le faremo dare avanti.
— Ma il vescovo!
— Per diecimila lire lo porterebbe anche il vescovo!
— Zitta! Zitta! È il demonio questo!
— È la provvidenza divina! Ma non lo vede vecchio balordo che si muore di fame? Non s’ha olio nè per il sacro nè pel profano, se ci guastiamo con quest’americana siamo belli e buggerati! Ci lascian crepare di fame, e ci ridon dietro! Non ne vuol più sapere nessuno del prete, non l’ha capita lei? E questa matta ci può far ricchi — chiediamogliene ventimila — pensava, ma non osò. — Vado io dall’americana!
— Drusilla t’ammazzo!
— Questo cane è la provvidenza! È il cielo che ce lo manda, è il nostro Signore che viene a sollevarci da questa po’ po’ di miseria! E lei lo vuol calciare? Povero baggiano starà fresco! — La serva ora quasi piangeva pel dolore di non poter convincere.
— Ma Drusilla, Drusilla, diceva il prete dolcemente per pacificarla, Drusilla tu mi fai paura, pensa, un cane….
— Nossignore non è un cane non può essere.
— Ma ti pare che ci possa entrare il cielo con un cane? Tu sei ispirata dal demonio in questo momento.
— Io non mi meraviglierei che venisse in forma di scarpione!
— Ma si scopre capisci, si scopre, sono sicuro, e ci capiterà di peggio, ci manderanno via come cani rognosi.
— Ma avremo diecimila lire! Eppoi…. eppoi l’americana ch’ha fatta far la buggerata, lei ci penserà! Quella matta ci può far ricchi, legheremo il collare al fico! Vado io dall’americana!
— Fermati sai, brutta stregaccia!
— E allora vada lei, tincone!
— Senti Drusilla…. senti, dice che quella bestiola veniva alla mia messa tutte le domeniche….
— Sicuro, ce l’ho vista le mille volte.
— Sì…. senti…. e dice che stava tutto il tempo della messa…. inginocchiato.
— Ha capito? Ha capito? Vada! Vada, giuraddio, vada!
***
All’Ave Maria, quella sera, suonarono lungamente le campane a morto — Un angelo! Un angelo! — correva su tutte le bocche — Un bimbo venuto dall’America morto ad un tratto nella villa di Miss Globe — I funerali, indetti per la sera dopo, sarebbero stati magnifici, come si conveniva a un gran signore di quella specie. Cose mai viste. In poco il villaggio fu pieno di questa notizia. Nella circostanza l’americana gettava oro a palate, come il granoturco, tutti dovevano beccare. Le regalìe furono stabilite in un’interminabile seduta che Miss Globe ebbe con Don Pasquale.
Lire 500 alla banda paesana per il suo concorso, Lire 100 a ciascun parroco che dai paesi vicini fosse intervenuto. Lire 100 a ciascuna delle quattro fanciulle che a spalla avrebbero portata la baricella coll’angelo. Lire 50 al crocifero e 25 ciascuno ai due portalanterna. (Impubblicata rimase sempre la ricompensa per Don Pasquale). Ai fanciulli sotto i sette anni che fossero intervenuti vestiti da angelo Lire 10, Lire 5 finalmente a chiunque altro avesse seguito il funerale.
Avanti l’alba del gran giorno Don Pasquale partì, con una diligenza, per la città, fece acquisti di parati, di torce torcetti candele candelieri, infine una campana che nel campanile da più di dieci anni mancava per fare il doppio. Miss Globe pagava. Drusilla era per le furie. Come dovevano essere le ali degli angioli, come dovevano andar vestite le vecchie, le spose, le giovani…. ma sopratutto le ali degli angioli — Sotto i sette anni! — Gridava la serva con l’indice in aria quasi fosse un articolo della legge — Sotto i sette anni! — Le ali, le ali, domandavano tutti: — Figli di cani quanti ce n’avete di questi angioli?
***
Bdbun…. Bdbun…. Bdbun bun bun…. Bdbun…. Bdbun…. Bdbun bun bun….
Dopo la banda paesana, a quattro o cinque passi di distanza incominciava il funerale. Don Pasquale, primo, camminava un po’ a stento, il vecchio parroco era forse stanco dalle tante fatiche della giornata. Dietro di lui salmodiavano sei preti venuti dai paesi vicini. (Relativamente vicini perchè uno di essi aveva fatto a piedi trenta chilometri di scorciatoie per intervenire). Poi la piccola bara dorata dove in un prezioso cofano d’argento era stato deposto l’angelo, veniva portata a spalla da quattro fanciulle vestite e velate di bianco, e dietro uno sciame d’angeli di tutte le qualità, di tutte le misure, di tutti i colori, in velo celeste, bianco, rosso, con cintura ali e corona di carta dorata come piccoli diavoli e diavolesse, in giallo, in verde, con un semplice grembiale, alla marinara, ma sempre angioli colle ali, angioletti angiolini…. angioloni. Se ne vedevano di quindici o sedici anni con due alette dietro e via. Cacione, un brindellone di venticinque anni arrancava dietro idiotescamente con due alucce di foglio, una in forma di cuore, l’altra di pera. Madri che portavano l’angelo in collo, e lo tenevano voltato dalla parte delle ali, ad uno appena nato le ali erano state messe davanti e gli ciondolavano dal collo. Seguivano i fanciulli e le fanciulle della prima comunione, quei pochi che non erano stati inclusi nella categoria angeli. Le figlie di Maria cantavano…. stonavano per conto loro. Poi le spose, le vecchie, e ultimi gli uomini. C’erano dei ciechi menati per la mano, e due donne che portavano sopra una sedia un vecchio paralitico. In ultimo, due grandi vetture nere a due cavalli: nella prima Miss Globe sola, estatica nel suo dolore, nella seconda le sue quattro donne.
E questo funerale percorreva la via deserta del villaggio, non uno era sulla strada a vederlo passare, tutto quel popolo era diventato funerale. Chiuse le botteghe le case le finestre, non uno era rimasto; una sola persona non si era mossa: Drusilla. Vegliava sugli eventi, ferma al suo posto, pronta a tutto, a chiunque si fosse presentato, preparava frasi per averle sulla punta della lingua al momento del bisogno, e girando su e giù per l’andito fra la chiesa e la sagrestia, borbottava, gestiva, si fermava, si puntava, si lanciava. — Quel buon uomo è stato ingannato! È un povero baggiano, non ha colpa! Quell’americana è matta da legare! L’hanno gabbato, siamo innocenti! — Eppoi cambiando tono — Meglio un cane cristiano che un cristiano cane! Porci! Porci! — Ma mentre per la bianca via provinciale si dilungava nel bel tramonto d’autunno l’allegro funerale, la serva in fondo in fondo carezzava un vecchio sogno. Le diecimila lire dell’americana sarebbero bastate al suo progetto nel peggiore dei casi. E si vedeva già in una piccola fiaschetteria della città, fra persone civili, i soliti frequentatori…. essere chiamata…. padrona…. signora…. fare un po’ di buona cucina, come la sapeva far lei quando non le mancava il necessario, guadagnare, vivere agiatamente…. essere ritenuta donna piena di quattrini…. E vedeva già il vecchio, non più prete, tutto il giorno a fare la sua partita nel retrobottega coi migliori assidui…. oh! egli non doveva pensare ad altro, lei avrebbe saputo da sola far prosperare l’esercizio….
De profundis clamavi, ad te, Domine: Domine, exaudi vocem meam.
Requiem aeternam dona ei, Domine.
Et lux perpetua luceat ei.
Pater noster.
Don Pasquale sudava, sudava…. gli scendevano giù dei goccioloni freddi, e sentiva un liquido gelido colargli nella midolla spinale; le spalle gli pesavano come se piedi giganteschi vi premessero per acquattarlo e schiacciarlo al suolo nell’ora suprema del sacrilegio.
Dies illa, dies irae….
Aveva fatto il lungo percorso senza capire, senza vedere, ora nella chiesa, dinanzi al suo altare diceva senza udirsi più. Al letto del moribondo aveva segnato una croce che non era una croce, ma ora diceva, doveva realmente dire le parole dei salmi, era in faccia a tutto il suo popolo.
Requiem aeternam dona ei, Domine.
Et lux perpetua luceat ei.
A porta inferi
Erue, domine, animam ejus.
Requiescat in pace.
Amen.
Domine exaudi orationem meam.
Et clamor meus ad te veniat.
Affranto, con mano tremante, senza vedere più, senza sentire più, incensò benedisse. Le centinaia di lumi che irradiavano così insolitamente in quell’ora la piccola e povera chiesa balzavano nella nebbia come le lingue del rogo infernale sul quale si era gettato.
***
Miss Globe comprò dal Municipio, tutto per sè, mezzo camposanto, e per l’anniversario della morte del suo Tony vi fu inaugurato il monumento opera di un illustre scultore fiorentino. Sopra una splendida base marmorea, con quattro faci di bronzo agli angoli, un immane cane bassotto, pure in bronzo, venti volte almeno il naturale, con due immense ali d’aquila spiegate verso il cielo. In basso, alla base, scritto: Tony and Jennet Globe. Fu creduto dai buoni paesani un drago americano, anche uno stemma, quello dei Globe, altri disse che quello era il leone di Venezia, ma nessuno seppe mai precisamente. Il funerale rimase negli annali di quel popolo il fatto più celebre. Vi furono famiglie che riscossero pel loro intervento settanta e ottanta lire. Drusilla lo considerò sempre il colpo della provvidenza scesa in soccorso del povero parroco; ella custodiva intatte le diecimila lire nascoste dentro la materassa del suo letto — dovranno passare sopra il mio corpo! — Aveva anche un gruzzoletto di certe astute economie fatte il gran giorno dell’aurea grandinata, lei aveva pagato tutti e aveva imposta qua e là qualche tara, specie di tacci, specialmente a quei famosi angeli.
Don Pasquale rimase per molto tempo indisposto, taciturno, pauroso, ogni rumore lo riscuoteva, non mangiava quasi più, quando officiava si sentiva male, due o tre volte si abbasì durante la messa, nella chiesa specialmente si sentiva triste…. Poi, poco alla volta si riebbe, ricominciò a mangiare, Drusilla gli preparava tutte le sue passioncelle con gran cura e senza economia.
Miss Globe divenne definitivamente l’amica della chiesa, ogni settimana mandava doni, e forse almanaccava già pel suo immenso funerale.
Fu accomodato l’organo e questo servì a richiamare in chiesa qualcuno di più, e Don Pasquale incominciò a riaversi, e andava ripetendosi che non aveva officiato coll’anima quella volta, che infin dei conti quel funerale non aveva nessun valore. E si ritranquillò, riprese, si riebbe, tornò a sorridere, e la sua coscienza entrò pian piano in una nuova fase: cominciò a pensare che quella bestiola fosse andata davvero in paradiso, e nelle allucinazioni del suo benessere se ne era fatto una convinzione. Il cagnolino non era stato proprio accolto in paradiso, per le vie celesti fra i cori degli angeli, ma San Pietro lo aveva trattenuto nella sua… specie di portineria, e se lo teneva, gli s’era affezionato, gli faceva compagnia…. e gli faceva comodo, gli serviva da guardia. Anzi, si domandava Don Pasquale, come mai nessuno prima di lui avesse pensato a mandargliene uno, ad un posto come quello ci voleva, era indispensabile. E la bestiola correva quando qualcuno bussava alla porta, annusava, abbaiava qualche volta…. forse quando avrebbe bussato lui chi sa che non lo avesse riconosciuto…. e gli fosse saltato addosso a fargli festa… non era sempre andato alle sue messe? E non era stato per tutto il tempo engenocchiato?