I.

Ah, Cristo crocifisso mio! — gridò Vito Amante, in mezzo alla viuzza piena di sole, e levò ambo le braccia e le stese al Cristo che s’affacciava da un angolo. — Ah, Cristo crocifisso mio, morto in croce, ricordati di quello che ti dico oggi ch’è l’ultimo sabato di maggio! Fammi guarire, e pei dolori ch’hai patito e per quella corona di spine, io ti faccio voto di togliere una femmina dal peccato!… E così non possa io, se ti mentisco, arrivare vivo fino a quella porta!

Si volse e mosse diritto alla sua bottega, che s’apriva dietro di lui. V’era accorsa a udire e a guardar, sulla soglia, tutta la turba cachettica dei suoi garzoni tintori, le nervose braccia nude, macchiate bizzarramente di verde o di porpora fin sopra a’ cubiti, infilate in matasse di lana e di seta gocciolanti azzurrine lacrime intorno. Altre pallide teste s’affacciavano e pigliavano rilievo sul fondo nero della tintoria, altre mani verdi, gialle, sanguigne si puntavano agli stipiti, insudiciati delle continue loro impronte. Come Vito tornava, avanzando con passo fermo e sicuro, pervaso in tutta la persona, negli occhi brillanti e nel volto dalla solennità del giuramento, il più vecchio de’ suoi garzoni si volse agli altri, e disse:

— Lasciate passare.

Tutti si fecero da parte. Sulla soglia della bottega, faccia a faccia, il vecchio garzone e l’Amante si guardarono lungamente, assai commossi, in silenzio. Finalmente il vecchio mormorò:

— Bene, figlio mio.

Poi soggiunse, stendendo al Cristo della viuzza il suo lungo braccio magro e una mano che pareva inguantata di viola:

— Quella è la medicina. E non aver paura che Gesù Cristo, d’oggi innanzi, ti guarderà particolarmente.

— Così sia! — disse Vito. — Io ho fatto il voto e lo voglio mantenere. Ma lui me ne ha da concedere la forza.

Il vecchio aveva le lagrime agli occhi.

— Te la darà, figlio mio, non aver paura! Dio ci ascolta.

— Ora mi sento meglio, — sospirò l’Amante. — Ci credete voi, don Marco? Mi sento assai più sollevato. Gli è come se avessi buttata via lì, in mezzo alla strada, qualcosa che mi pesava sul petto….

Davanti a ciascuno di que’ «bassi», de’ capannelli commentavano. La gente andava e veniva, passava, e guardava nella tintoria, curiosamente, cercando con gli occhi Vito, cercando d’ancora ascoltarne qualche parola, di sorprenderne un gesto. Certo l’avvenimento era stato strano. I bambini, davanti alla bottega, s’incantavano, le piccole mani sul dosso, la bocca aperta. E tutto il vicolo s’empiva d’un susurro incessante e partecipava al gran fatto. Un gruppo di femmine scese, dal sommo della stradicciuola, al Cristo dell’angolo. Passando, tutte a un tempo si voltarono a guardar di sfuggita nella tintoria, dove il lavoro era stato ripreso. Da una tinozza un gran fumo azzurrognolo si levava, si diffondeva per la bottega. De’ brevi colpi di tosse suonavano. Un acre odore usciva fin nella via, un pessimo odore di concia, che assaliva con fortissima nausea lo stomaco. De’ tonfi sordi, a cadenza, si seguivano in fondo, nella semioscurità, ove alcune figure s’agitavano. Vito non si vedeva.

Quel gruppetto di femmine tirò avanti, deluso; si fermò al Cristo gigantesco e ognuna di quelle levò in su gli occhi a contemplarselo. La croce s’ergeva lì, dal tempo dell’ultimo colera, sopra una base a dado rivestita di mattoncelli azzurri e gialli. Una cupola di latta proteggeva il Cristo dalla pioggia, e il fondo della cupola era un campo d’azzurro consparso di piccole stelle d’oro. Il corpo di Cristo pendeva, la testa bendata ricadeva sulla spalla destra, e per le forate palme delle mani, dal chiodo rosseggiante, un sottil filo di sangue scendeva lungo le braccia. Ancora alcune gocce di sangue nerastro tingevano quel pallido corpo, al sommo del petto; e più sotto, da un’altra ferita di lancia spicciava pur il sangue sulla bianca fascia che cingeva la vita. I due fanali della cupoletta erano accesi e, a volte, nel vivissimo chiarore del sole, le fiammelle loro vagavano incertamente. In giù, sulla base di mattoncelli, presso allo scoglio della croce, due piante di camelie si levavano da piccoli vasi dipinti di rosso, e inaridivano. Più forte e tenace, più verde, sotto un lieve pulviscolo lucente al sole, un’edera saliva e conquistava quel legno.

 

II.

Alcune di quelle femmine si misero a pregare sottovoce, gli occhi lacrimosi sul Cristo. E due altre, giovani, che s’eran piantate lì davanti, a braccetto, lo contemplavano, mute. Una di queste sbadigliò e mise un lungo sospiro, seccata. Come le altre, pispiglianti giaculatorie, si voltavano:

— Be’, — osservò, confusa, per dir qualcosa, — ha fatto il voto e non gli porta nemmeno un cero….

— È vero, — disse la più vecchia. — L’uso è questo. Glie lo voglio dire, io che l’ho visto nascere.

E se ne tornarono. Per via la vecchia lo andò prima dicendo a tutti. Ancora si parlava del voto, da per tutto. I passanti si fermavano e interrogavano la gente del vicolo.

— È stato un giovine che ha fatto un voto al Crocifisso.

— Dei ceri s’è scordato, — interrompeva la vecchia. — E ora ci vado io….

Entrò nella tintoria e si mise a dire:

— Neh, don Vi’, avete fatto il voto e vi siete scordato dei ceri!

— Ah, Gesù buono! — esclamò l’Amante, venendole incontro dal retrobottega. — Avete ragione! E quanti ce ne vorranno, Nunziata?

— Dodici, questo è l’uso. E alle tre messe ci avete pensato? Fate le cose a modo, figlio! Non gli date collera al Crocifisso nostro!…

— Avete ragione, avete ragione. Mi lavo le mani e vado pe’ ceri…

La vecchia scendeva pian piano i due gradini della soglia, appoggiandosi allo stipite con una mano e dicendo:

— Non è niente…. non è niente…. Il Signore vi darà la salute….

L’Amante si lavò le mani e uscì. Lungo la strada egli non osava levar gli occhi, assalito come da un certo senso di vergogna per quel che aveva fatto. Si sentiva addosso gli sguardi di tutti, quegli sguardi lunghi, insistenti, che vi seguono fino a quando voi non siete scomparso, che vi impicciano i liberi e inconsci movimenti del corpo e che tolgono a’ vostri passi il loro moto regolare. Sul suo cammino la gente si aggruppava, si parlava a bassa voce, perfino gli parlava. Una voce nasale, lenta, trascinante gli fece:

— Don Vi’, coll’aiuto di Dio, statevene sicuro. La Madonna v’accompagni!

Era la cieca Marianna che stendeva la mano gialla ai passanti fin da quando egli era bambino e scendeva col padre alla tintoria. Qualcuno le aveva detto:

— Ecco Vito il tintore che passa.

Egli non pensò nemmeno a metterle in mano qualche soldo. Anche la cieca sapeva del voto, lo sapevano tutti. Gli parve, appena sbucò nella piazzetta di Santa Caterina Spina Corona, che lo sapessero pur tutti quei giovanotti commessi di mercanti, garzoni d’argentieri, lavoratori di sughero o di avorio, che si godevano il sole sulla soglia delle botteghe e lo guardavano. Allora, tornando alla tintoria col pacchetto dei ceri sotto al braccio, prese pel vicolo Astuti, risalì, girando pel vico Sempreviva e, a un tratto, per queste vie salvatrici, si trovò di faccia al Cristo un’altra volta. La sua tintoria era di là, a pochi passi e quindi il vicolo s’allungava, risaliva, svoltava. Nessuno gli badò, poichè egli veniva dalle strade di sotto e scivolava lungo un muro cieco. Ma, a un tratto, qualcosa gli sfiorò lievemente la faccia, gli battè sulla spalla e gli cadde appiedi di rimbalzo. Egli guardò a terra. Era una rosa di maggio. Guardò in su. Non c’erano, sul muro grigio, se non che le piccole  finestre d’una mala casa, chiuse da verdi persiane. Per le stecche delle persiane ancor due foglie di rosa caddero, dolcemente, nella via. Poi non vi fu più nulla. Vito Amante rimase lì sotto immobile, pensoso. Si guardò intorno. Ciascuno attendeva alle cose sue. Un silenzio di pace s’era fatto e conquistava tutta la via, da un capo all’altro. Il Cristo enorme era in una gloria di sole.

Vito Amante, senza levare il capo, guardò ancora, per un secondo, alle mute finestre. Poi si chinò, raccattò la rosa per lo stelo, la celò come poteva tra il braccio e il pacchetto e scomparve nella tintoria.

 

III.

Al giovedì seguente, come Vito Amante, dopo aver chiusa la bottega, rincasava, la moglie d’Annetiello il cocchiere, la quale se ne stava a guardar nel vicolo, impiedi, col gomito sul canterano, gli fece un segno, sorridendo.

— Don Vi’! Entrate un momento perchè vi devo parlare.

L’Amante, col mazzo delle chiavi in mano, si era fermato sulla soglia del «basso».

— Entrate, — disse la donna, — qui dentro non piove.

— Quali comandi? — disse Vito.

— Preghiere. Prima di tutto, voi come state?

— Meglio assai. Per voi non c’è da far domanda perchè mi sembrate Pasqua rosata. Be’?

— Non vi volete sedere?

— Donna Amalia mia, non ho mangiato ancora…. Ho…. scusate, ho appetito….

— Buon segno. Così vi voglio. Segno di salute. Dunque, sentite, don Vi’….

Ma tacque, irresoluta, grattandosi il mento con la punta dell’indice e guardando un po’ Vito un po’ il San Giorgio che aveva sul canterano, sotto una campana di vetro.

— Io non so come ve lo devo dire…. — mormorò, dopo un momento. — Non trovo le parole….

Subitamente, vincendo ogni indugio:

— È vero — domandò — che vi siete messo a far all’amore con Cristina la capuana?

Vito diventò pallido e balbettò:

— Io?… E chi ve l’ha detto questo?…

— È vero o no?

Allora Vito la guardò fiso. Ella aveva tutta la faccia illuminata dalla lampada del San Giorgio.

— Mettiamo che fosse…. — articolò, lentamente. — E a voi che ve ne importa?

— A me?! — esclamò la moglie del cocchiere, battendosi in petto. — E cosa volete che me ne importi? Questa è bella!

— E allora perchè me l’avete dimandato?

— Come dite?

— Dico perchè me l’avete dimandato?

— Per curiosità.

— Vi fa piacere di saperlo?

— Mi fa piacere.

— Be’, allora, giacchè vi fa piacere, io vi dico sissignore, faccio all’amore con Cristinella la capuana.

La moglie del cocchiere taceva. Lui faceva ballar nelle mani il mazzo delle chiavi.

Dopo un silenzio di due o tre secondi Vito Amante mormorò:

— E buona nottata.

— Sentite, Vito!

Egli era già nella via. Ritornò lentamente.

— Altri comandi?

— Sentite. — disse la moglie del cocchiere, io ve lo voglio dire come una sorella….

E la voce le tremava e le mani tormentavano il grembiale.

— …. Voi siete sulla mala strada, Vito. Pensateci bene a quello che volete fare…. È per scrupolo di coscienza, non mica per altro che ve lo dico. Sentite, vi pare a voi, che siete un giovane onorato, vi pare a voi che una di queste femmine possa starvi a fianco? Voi volete far ridere la gente sul vostro cammino, voi volete dare un gran dolore a mamma vostra e a quel sant’uomo ch’è vostro padre. E un gran dolore lo avrete anche voi, Vito, non vi fate belle speranze. Chi nasce quadro non può morir tondo….

Vito la interruppe.

— Avete finito? Posso parlare io?

— Voglio dirvi ancora una parola. Che femmina è questa Cristina? Ha i denti scritti, ha la faccia lentigginosa, ha la salute d’una caraffa di vetro. Almeno, se volete fare la sciocchezza, pigliatevi una che abbia il colore in faccia! Ma voi non ve la sposerete Cristina, metterei la mano sul fuoco! No, che non la sposerete, Vito! E se volete scommettere, tant’è vero, io ci scommetto. Una scampagnata al Vomero, e vi ci conduco io nella carrozza d’Annetiello!…

Rideva, ma rideva falso. Il suo sguardo palpitante non cessava d’interrogare il tintore.

— Ora che avete finito, — disse questi, serio serio, — due parole anch’io. Due settimane fa stavo male, e voi la sapete la mia malattia. Verso mezzodì, mentre stingevo uno scialle nel rosso ci ho sputato su, rosso, anch’io. Capite? E non mica una volta sola. M’è parso che la concia per lo scialle mi volesse uscire dal petto, donn’Amà, e vi giuro sull’anima mia che è stato un brutto momento….

La donna mormorava:

— Oh, Dio! Dio!… Non lo dite…. Non me lo dite!…

— Be’, allora, io non so…. voltandomi dalla parte della strada ho visto il Crocifisso…. Ha tanto patito pure lui!… Una voce, qui dentro, mi diceva: Va e buttategli ai piedi! Così è stato che ho fatto il voto.

Seguì un silenzio. Vito ansimava lievemente e aspettò un poco per ripigliar fiato. L’Amalia non lasciava di contemplarlo, il gomito sul canterano, la guancia nella mano.

— Come è stato che ho conosciuta Cristina? Ora ve lo dico. È stato nello stesso giorno. Io passavo sotto la casa sua e lei m’ha gettato una rosa dalla finestra. Ho mandato, con una scusa, un garzone mio a dimandare lassù. Lui è pratico. A sera è venuta Cristina alla tintoria….

Si fermò ancora un pezzetto. Sorrideva, come a un dolce e onesto ricordo.

— Eravamo soli. Lei m’ha raccontata la sua storia e m’ha pur detto che mi conosceva di vista, che sapeva della disgrazia mia da quando era venuta a Napoli. Ella è di Capua, perciò la chiamano la capuana.

La moglie del cocchiere lo interruppe:

— E…. le avete promesso?…

Il tintore rispose brevemente:

— Che l’avrei sposata.

— No! — fece l’Amalia, a mani giunte. — Non lo dite più! Questa non è parola che dovete profferire!

Lui, tranquillamente, soggiunse:

— Io ho fatto il voto a Cristo crocifisso, davanti al popolo, donn’Amà! Al voto non si manca; è sacrilegio. E poi….

Stese la mano e disse:

— Via, buonasera….

— E poi? — chiese la moglie d’Annetiello.

— Niente. Buonasera.

E stendeva la mano. Ma lei non moveva la sua e insisteva ansiosamente:

— Ma dite!… Volevate dir qualche cosa…. Dite! E poi che?…

Lui rispose, traendosi lentamente addietro:

— E poi le voglio bene, ecco.

— Sì?… — fece donn’Amalia, con voce soffocata.

— Sì. Buonasera.

Ella potette appena balbettare:

— Buonasera….

E si buttò prona sulla sponda del letto, le braccia stese, singhiozzando, addentando le coltri.

 

IV.

A’ 30 dell’agosto, nel giorno di Santa Rosa, patrona dei tintori della lana, i garzoni di Vito Amante smessero di lavorare al tocco e se n’andarono in campagna. Ma la tintoria rimase aperta e Vito Amante, seduto tra un monte di stoffe multicolori, già asciutte, si mise a pensare, tutto solo, e a fumare. Intorno a lui era, tra la semioscurità del luogo, una strana festa di colori, riganti confusamente le mura, cacciati negli angoli, pioventi come stalattiti rosse, azzurre, aranciate, verdine, dall’affumicata travatura del soffitto. E per terra, qua e là, mucchi di stoffe si levavano, ancora sprigionanti i lievissimi vapori della concia e goccianti l’anilina, mentre lungo tutto un muro, da brevi e grossi bastoni confittivi, pendevano le matasse della seta e del cotone, note di verde sfacciato, strillanti nella concordia di tutta quella bassa tonalità di tinte. Un telaio era poggiato ad un altro muro, e sul telaio si stendeva, si stirava, fermata intorno, a via di chiodetti, la tela marrone di cui si servono i cappellai per le fodere al feltro.

In fondo era buio pesto. Un lumicino rosseggiava in alto, certo davanti a una immagine, ma questa non appariva, e la piccola fiamma lottava, invano, con l’oscurità, riuscendo appena a stampare un riflesso sul lembo inferiore della cornicetta d’oro. Da misteriosi angoli neri le fontanine delle vasche mormoravano, e come nelle vasche codesti tintori serbano le anguille pel Natale, di tanto in tanto, nel silenzio, s’udivano un fruscio d’acqua scompigliata, un piccolo tonfo sordo, de’ brevi gorgoglii.

Di faccia a Vito, in alto, nel muro assai spesso, un finestrino si apriva e di là era un giardino tutto conquistato dal sole. L’Amante, rovesciato leggermente in dietro sulla seggiola, le gambe stese, una mano in saccoccia, l’altra col sigaro spento, abbandonata, era in contemplazione di quello spiraglio d’oro. Sopra un fondo giallo, tutto giallo e luminoso, un gruppo di foglie nereggiava, palpitava al lievissimo alito del mattino, e ancora più neri, più nettamente, si disegnavano i bastoni della inferriata. A un momento il sole si fece strada tra quelle foglie e penetrò nella tintoria. Un nastro d’oro lambì tremante le ginocchia dell’Amante, gli salì su pel petto, gli pervenne alla faccia, lo abbagliò….

— Vito! Vito!…

La capuana era accosto a lui, gli posava la mano sulla spalla, si chinava per guardare, la testa quasi poggiata alla testa di lui, ov’egli guardasse. Subito la striscia di sole s’avventò pur su di lei, la raggiunse in petto, sotto alla gola, tra i capelli biondi, che s’accesero. Elia era una piccola bionda, un po’ smagrita, un po’ malaticcia, e avea la faccia d’avorio tutta sparsa da minutissime lentiggini. Intorno alle tempie le si spandeva una fine nebbiola di capelli tra’ quali il lobo nudo e roseo d’un piccolissimo e gentile orecchio spuntava.

— Che fai? — domandò.

— Nulla, — rispose l’Amante. — Guardavo il sole.

— Come stai?

— Bene. E tu?

— Io sto bene.

Girò intorno gli occhi, cercando una seggiola.

— Sai, — gli fece, perduta nella oscurità del retrobottega, — ho avuto le carte.

Vito sospirò. Non rispose.

Ella tornava, trascinando una panca.

Ripetette:

— Ho avuto le carte. L’ispettore ha voluto sapere come ti chiami. Vito Amante. È vero? Amante?

Lui si voltò, sorpreso:

— L’ispettore? E come c’entra lui?

— Come!

Poi arrossì, chinò la testa.

— Così è l’uso…. — mormorava. — È da lui che si deve passare.

Nel lungo silenzio che seguì, Cristina, a un tratto, volse gli occhi a guardarlo. L’Amante aveva poggiato i gomiti sulle ginocchia e nascondeva la faccia nelle mani.

— Che hai? — gli chiese. — Ti senti male?

Lui, col capo, fece cenno di no. Dopo un momento disse, seccamente:

— Voglio chiudere la bottega. Me ne vado a casa….

Lei si levò per la prima, di scatto. Raccolse lo scialle e se lo buttò sul braccio.

— Che fai? — disse Vito.

— Me ne vado. Tu vuoi chiudere la bottega…. Me ne vado.

S’appoggiò con le spalle allo stipite, lo scialle sul braccio, le mani unite, in grembo. Egli cercava attorno qualcosa e s’indugiava.

Sotto la porta Cristina si mise a canticchiare:

Vurria sapere si certo m’amate

o pure pe cupierchio mme tenite….

calice d’oro mio!…

Dal fondo della tintoria la voce di Vito domandò:

— Eh?

— Niente…. — disse lei. — Canto. Mi ricordo del paese mio.

— Bella cosa! Capua! — fece lui, spuntando dal buio.

— Già! — rispose, voltandosi, le gote accese. — Meglio Napoli! Così non ci fossi venuta!

— E perchè ci sei venuta?

Cristina si torse le mani.

— È stato il destino…. — mormorò.

Come Vito chiudeva la bottega e passava i catenacci, Cristina s’addossò al muro della via e ricominciò:

Comme volimmo fare e nuie facimmo

ca mammeta nun vo’ ca ce pigliammo….

La chiave strideva nella toppa. Ella si girò un poco per guardare e seguitò:

e ghiammoncenne…. Ah!…

E la distesa fu un grido.

Vito esclamò:

— Cristina!

La gente li guardava, meravigliata. Ella si buttò addosso lo scialle e fuggì come una pazza.

 

V.

Nella notte serena il gran Crocifisso impallidiva sopra un fondo rossastro. Della cupola si disegnavano i margini merlettati e tutta la cupola era come una nuvola nera che sovrastava alla croce.

La testa del Cristo, la superiore metà del suo petto si perdevano nell’ombra e un’altra ombra bizzarra, quella d’un dei fanali, s’agitava continuamente, allato, sul muro, da cui pendevano due grucce di un voto. Dal sommo del petto fino alle bende de’ fianchi il corpo s’illuminava, e le piaghe rosseggianti parevano più vive. Ma tutto, la croce, la cupola, la base, della quale i mattoncelli lucevano, tutto era una strana macchia scura, dietro alla quale si stendeva la bianca facciata d’una chiesa, tagliata, in su, nettamente, sul cielo azzurro.

La capuana, sbucando dal vico Astuti, andò diritta al Crocifisso e gli si buttò in ginocchio davanti. L’avevano cacciata dalla casa di Vito, e la madre dell’Amante aveva scopata la soglia, urlando:

— Fuori! Fuori, trista femmina! Fuori di casa mia! Qui si mangia onore e pane!

Onore e pane! E la moglie d’Annetiello era lì, e tutti lo sapevano che Vito s’era perso ancora una volta per la moglie d’Annetiello! E la moglie d’Annetiello, anche lei, gridava:

— Fuori! Fuori! Vattene a Capua!

E le carte? E tre mesi di privazioni, di vita solitaria, di umiliazioni? E il voto? Il voto ch’egli aveva fatto? Oh, Dio! Dio! Dio!

— Tu lo sai! — gridò al Cristo, con le mani afferrate alla balaustra che cingeva il Crocifisso. — Tu lo sai che cosa ho sofferto! La mia vita la sai, Cristo in croce! E sei tu che mi ci fai tornare, pei peccati miei. Io mi volevo salvare. Ho fatto tutto, ho sofferto tutto, per salvarmi! Non hai voluto…. E così sia! Così sia!… Così sia!

Si levò, gettò indietro i capelli e si strinse nello scialle. Poi fece ancora, risolutamente, quattro o cinque passi, raccattò una pietra e picchiò con quella al portoncino della mala casa.

Una finestra si schiuse. Una voce di vecchia chiese:

— Chi è?

Cristina rispose, liberando la testa dallo scialle e guardando in su:

— Sono io. La capuana.