I.
Era un’americana, arcimilionaria, bellissima, originalissima. Si chiamava M.rs Edith Simpson, e già da qualche anno abitava Firenze in compagnia della madre. Il marito, poichè c’era un marito, ve l’aveva accompagnata lui stesso, le aveva preso in affitto una palazzina sui Viali e una villa a Fiesole; poi, affidandola alla suocera, aveva ritraversato l’Oceano e non s’era più fatto vedere. Le scriveva però regolarmente una volta al mese, ed ella una volta al mese scriveva a lui; e le due lettere, oltre che all’espansioni conjugali, servivano l’una a rimettere, l’altra a dichiarare di aver ricevuto un chèque di mille sterline. Dodici di questi chèques all’anno formano una discreta sommetta; tuttavia l’ottimo M.r Simpson stimava opportuno di arrotondarla, e, tanto per Natale quanto per la festa di sua moglie, faceva una rimessa supplementare di altre cinquecento sterline, una bazzecola. In fin dei conti, vista la fortuna del suo sposo, M.rs Simpson avrebbe potuto esigere anche di più, ma ell’era una persona ragionevole e si contentava. Già non doveva pensare che a sè. Sua madre, benchè fosse una povera diavola al paragone (aveva circa venticinquemila franchi di rendita), contribuiva alle spese domestiche e si vestiva co’ suoi danari. M.rs, o, piuttosto, donna Mariquita Swallow, nata Serenado y Fuentes, subiva, come tutti gli altri, il fascino della figliuola, ma era un tipo affatto diverso. Intanto M.rs Simpson era, intus et in cute, un’americana del Nord, una anglosassone; la madre, originaria del Guatemala, poteva dirsi una spagnuola, e degli spagnuoli aveva il formalismo pomposo, il culto dei titoli, il fervore cattolico…. che però non le aveva impedito di sposare un protestante. Dio buono! Quando il defunto M.r George Swallow era arrivato al Guatemala con una missione diplomatica degli Stati Uniti, egli era un così bell’uomo che la señorita Serenado non aveva potuto resistergli e gli aveva concesso la sua mano, nella speranza di ricondurlo più tardi in grembo alla Chiesa. Speranza vana. Non solo M.r Swallow non aveva voluto saperne di convertirsi, ma aveva fatto protestante anche la figliuola.
Comunque sia, donna Mariquita andava orgogliosa della sua fede, della sua patria e del suo nome di ragazza, tanto più sonoro del nome di Swallow, e se non tradiva questi suoi sentimenti era un po’ per riguardo dell’Edith, un po’ per la difficoltà ch’ella provava nella conversazione. Infatti, abitando gli Stati Uniti, ell’aveva disimparato lo spagnuolo senz’apprender bene l’inglese, e abitando ora in Italia, minacciava di disimparare l’inglese senz’apprender, nè bene nè male, l’italiano. Anche in questo differente affatto dalla figlia ch’era un secondo cardinal Mezzofanti e possedeva una facilità straordinaria per tutte le lingue.
Benchè donna Mariquita avesse una vera adorazione per la sua Edith, e questa, a suo modo, volesse bene alla madre, le due signore godevano di una reciproca indipendenza. Ricevute, che ben s’intende, da per tutto, facevano qualche visita insieme, andavano insieme a qualche ritrovo elegante; ma, in complesso, la giornata dell’una non somigliava a quella dell’altra.
La madre viveva in un certo piede d’intimità con due o tre famiglie della parte più conservatrice dell’aristocrazia fiorentina, s’era ascritta a un paio d’associazioni cattoliche, frequentava con assiduità le funzioni di chiesa. Con tutto ciò non le sarebbe dispiaciuto aver dei galanti, e, poichè serbava le traccie della passata bellezza a malgrado de’ suoi quarantacinque anni, avrebbe anche potuto averne se non fosse stata noiosetta per sua natura e non avesse voluto rimanere entro i confini delle affezioni platoniche.
Spirito autoritario per eccellenza, M.rs Simpson non s’era legata con nessuna signora della cittadinanza o della colonia forestiera, e compariva nei salotti altrui solo quel tanto che basta per non romperla affatto con la società. A lei occorreva di poter comandare a bacchetta, d’aver un manipolo di vassalli che pendessero dalle sue labbra, che ubbidissero a ogni suo cenno, che seguissero ogni suo passo. Ora, quando una giovine bella, ricca, elegantissima, mostra gradire gli omaggi, si può figurarsi se le manchino gli spasimanti. Non mancarono dunque a M.rs Simpson, che appena spuntata sull’orizzonte fiorentino si vide ai piedi tutta la jeunesse dorée del paese. Senonchè, anche in questo caso fu applicabile il vecchio adagio: Molti i chiamati, pochi gli eletti. L’Edith non respingeva nessuno; erano i candidati medesimi che si ritiravano. Troppe qualità eran richieste per rimanere nella corte di M.rs Simpson, e, prima di tutte, un assoluto disinteresse, un’assoluta rinunzia a ogni aspirazione audace. La signora non era prude, non si scandalizzava delle ardenti dichiarazioni che anzi ell’accoglieva come un tributo dovutole, non s’inalberava per qualche facezia a doppio senso, non lesinava i sorrisi, le strette di mano, le dimostrazioni insomma d’una familiarità affettuosa; ma faceva ben presto capire ch’era vano sperar nulla di più. Chi non si persuadeva di ciò era messo pulitamente alla porta. E sì che parecchi avevan tentato il colpo: degli appassionati, dei romantici, dei brutali, di quelli che giuocano subito l’ultima carta e che uno schiaffo di donna non impaura. Avevano fatto fiasco tutti, avevano creato intorno a M.rs Simpson una leggenda di inespugnabilità, simile a quella che correva intorno a certe rocche medioevali. I belli spiriti fiorentini la dicevano l’immacolata.
Naturalmente, alla prospettiva sconfortante, molti adoratori si perdevano d’animo, chiedevano a sè stessi se M.rs Simpson non desse pochino a fronte di quello che domandava. Altri, pur rassegnati al grave sacrifizio, si arrestavano dinanzi ad altre difficoltà. O non erano disposti ad abbandonare ogni loro occupazione, o non avevano la fibra abbastanza elastica, l’umore abbastanza docile, il borsellino abbastanza guarnito da poter menar la vita scioperata a cui li condannava la capricciosissima Dea. Quelli che rimanevano al loro posto dopo una così laboriosa opera di selezione potevano ben dirsi a prova di bomba.
Così, non tenendo conto della squadra volante or più, or meno numerosa, formata sempre di elementi variabilissimi, lo Stato Maggiore di M.rs Simpson si componeva di sette o otto individui, di cui cinque regolari, a ferma illimitata, e due o tre volontari, tenuti, s’intende, in una posizione subalterna dagli altri. Solo ai cinque regolari spettava l’appellativo di cavalieri dell’immacolata, dato loro da quelli stessi che avevano conferito il diploma di purità alla bella americana. Erano i nobili avanzi dei primi vagheggini; avevano resistito alle delusioni, resistito alle fatiche, abdicato alla propria personalità, mutata la loro rivalità feroce in un’alleanza intima e sospettosa. Tre avevano un titolo: il marchese Gino Ciriè, il conte Alessandro Galassi Cerda, il barone Eligio de’ Passeri; il quarto e il quinto, Federico Pescina e Ugo Lucignano, appartenevano a due ricche famiglie borghesi. A eccezione dell’ultimo, luogotenente d’artiglieria che aveva lasciato il servizio per poter dedicarsi interamente alla dama, erano giovinotti eleganti, sportsmen che si godevano la vita e non avevano mai avuto occupazione stabile. Pure, in origine, non eran stupidi. Ciriè aveva avuto una certa passione per le arti, aveva plasmato nella creta delle figurine ch’eran piaciute; Galassi era stato un buon dilettante di musica; Pescina aveva scritto una commediola recitata con plauso in un salotto; Lucignano era uscito con buoni punti dall’Accademia e godeva riputazione di valente ufficiale; de’ Passeri, in mancanza di meglio, era uno schermitore famoso. Ora s’era verificato il singolare fenomeno che M.rs Edith Simpson, donna d’ingegno pronto e vivace, aveva in breve tempo incretinito i suoi fidi seguaci. Il processo d’imbecillimento era durato dai due ai tre mesi. Gli antichi commilitoni di Lucignano assicuravano, a titolo di onore, che per lui ci fossero voluti novantanove giorni. Adesso i cinque erano ridotti allo stesso livello, e avevano finito con l’assomigliarsi nei modi e un poco anche nell’aspetto. In presenza di M.rs Simpson erano dell’umore di lei, accigliati talvolta s’ell’aveva i nervi tesi, gioviali più spesso, perch’ell’era ordinariamente gioviale. Avevano i suoi gusti, le sue opinioni, le sue simpatie e le sue antipatie; e di queste e di quelli si facevano risoluti campioni in qualunque crocchio, di fronte a qualunque contradditore. Ma per lo più evitavano con gli estranei ogni contatto non necessario. Onorati d’un incarico della dama, slanciati in giro chi di qua chi di là o per fissarle un palco a teatro, o per associarla a un giornale, o per raccomandare al gabinetto di Vieusseux di mandarle presto certi libri, o per commetter dei dolci da Doney, o per verificare se un dato cavallo avesse la coda lunga o corta, o per qualsiasi grave motivo consimile, percorrevano la città come aiutanti di campo che portano gli ordini d’un generale in un giorno di battaglia; poi si davano appuntamento in qualche posto per tornarsene in compagnia dall’Edith e riferirle l’esito dei loro uffici. Una delle caratteristiche dei cavalieri dell’immacolata era quella di tenersi d’occhio a vicenda quanto più fosse possibile. Almeno ognuno voleva saper sempre dove fossero gli altri. A nessuno era lecito di aver segreti con la corporazione, sotto pena d’esser chiamato traditore. Già, anche fuori di casa, se pur non erano tutti uniti, eran soli di rado. Li si vedeva a due, a tre, camminar concentrati, parlar sommessi con l’aria di cospiratori. Parlavano di lei, senza nominarla, che non ce n’era bisogno. — Quel vestito le sta a pennello. — La nuova tappezzeria del suo boudoir non fa l’effetto che si credeva. I drappelloni son troppo pesanti. — Delle sue ultime fotografie la meglio riuscita è quella in costume d’amazzone. — Ella ha pienamente ragione di non andar per la prima dalla contessa Spingardi. Se la contessa vuol fare la relazione, cominci lei. — Domani non abbiamo il lawn tennis perch’ella deve far visite con sua madre. — Quel contino Negretti finirà col darle noia. Che cosa spera quello scimunito?… Se non siamo riusciti noi!
Sempre intesi a sorvegliare attentamente i corteggiatori importuni di M.rs Simpson, a difendere contro le insidie quella rigida virtù femminile che non avevano, oimè, potuto far capitolare, i cavalieri dell’immacolata erigevano intorno a lei una barriera non facilmente superabile. Onde, benchè M.rs Simpson non accettasse imposizioni circa al numero e alla qualità de’ suoi conoscenti e fosse gentile con quanti le erano presentati, e li invitasse a’ suoi pranzi, alle sue cavalcate, alle sue partite di lawn tennis, la situazione dei novizi si aggravava per l’ostilità dei terribili cinque. Non erano mai scortesie manifeste, che M.rs Simpson non avrebbe tollerate e che avrebbero potuto aver conseguenze spiacevoli; erano i piccoli e sottili artifizi con cui un gruppo di persone strette in lega fra loro fa provare agli estranei un senso d’isolamento e di malessere. Talora, se si trattava di giovani di primo pelo, impressionabili, nervosi, si ricorreva ai consigli, alle ammonizioni paterne. E uno dei cinque prendeva a braccetto il povero diavolo e lo assicurava che già era inutile, che M.rs Simpson era fatta di ghiaccio e che dell’amore non voleva saperne, che forse nessuno, essendone informato in tempo, avrebbe consentito a dedicare a lei tutto sè stesso; ma che l’abitudine è una seconda natura, e chi s’era lasciato ribadir questa catena al piede non era più buono di liberarsene…. A caso vergine però bisognava pensarci su due volte. M.rs Simpson era un portento di bellezza, di grazia, di spirito, era un’amica impareggiabile…. Se però uno non si contentava dell’amicizia, e a una certa età è cosa dura il dover contentarsene, era meglio, per la propria quiete, rivolgersi altrove.
Ora, la paternale poteva avere effetti diversi. O il galante si lasciava persuadere e batteva pacificamente in ritirata, e il trionfo dei cinque era completo; o dichiarava di volersi appagare dell’amicizia di M.rs Simpson come se ne appagavano gli altri e supplicava d’essere ammesso nella pia confraternita. In tal caso i cavalieri dell’immacolata si riunivano in conferenza segreta, e per solito deliberavano, come minor male, di far buon viso al neofita. Ed ecco la ragione per cui intorno ai cinque s’aggiravano sempre due o tre volontari. È un fatto però che, fossero troppo pesanti le fatiche, o troppo tenui i compensi, o troppo molesta la vigilanza degli anziani, nessun volontario passava all’ufficio di regolare. Dopo sei o sette mesi al più succedeva la diserzione.
C’era infine una terza e più temibile eventualità, quella cioè che il giovinotto non porgesse ascolto ai savi suggerimenti, e, per mettere in cattiva vista a M.rs Simpson i suoi cerberi, le riferisse la predica che gli si era fatta. Allora sì l’Americana sentiva salirsi la senapa al naso. Chiamava al proprio cospetto il troppo zelante cavaliere e lo strapazzava senza misericordia. O che diritto avevano, lui e i compagni, di catechizzar le persone che la frequentavano? Pretendevano forse di averla in tutela? Non sapevano ch’ella non doveva render conto dei fatti suoi a nessuno di loro, ch’era padrona, padronissima d’esser di ghiaccio o di lava ardente, padrona, padronissima di sfatar la leggenda e di pigliarsi un amante se così le piaceva? In quanto a loro, se ci trovavano a ridire, erano liberi come l’aria; ella non avrebbe mosso una paglia per trattenerli. E intanto guai a lui, guai ai suoi quattro amici se usavano uno sgarbo all’individuo che aveva la disgrazia di non incontrar i loro gusti; guai se provocavano uno scandalo!
Queste ramanzine ricorrenti che, date a uno, dovevano servire per cinque, mettevano lo scompiglio nel sodalizio. Quid agendum? Se l’Edith parlasse sul serio? Se si pigliasse realmente un amante? Ah quello sarebbe stato veramente un casus belli, perché dopo un tiro simile la dignità non avrebbe più permesso di rimanere in carica. E già si agitava l’idea e si discutevano i termini d’una dimissione in massa. Ma ognuno dei cinque guardava all’avvenire con un arcano sgomento. Che cosa avrebbe fatto della propria vita quando gli fossero state chiuse le porte della palazzina Simpson?
Tempeste in un bicchier d’acqua. M.rs Simpson non si pigliava un amante; il temerario che aveva mirato tant’alto non durava molto a disperare della vittoria e a levar l’inutile assedio.
Solo che, al chiudersi d’uno di questi incidenti, i cinque dovevano essere preparati a tribolazioni d’altra natura, perché l’Edith diventava per qualche settimana più nervosa, più capricciosa, più esigente. Non era mai una sinecura quella di cavalieri dell’immacolata; figuriamoci nei periodi di crisi! Ora veniva a Mistress Simpson la frenesia dell’equitazione. Ed eccola in sella da mattina a sera tirandosi dietro i suoi vassalli, saltando fossi e siepi e costringendo i disgraziati a fare altrettanto. Ora l’amazzone si trasformava in auriga. E salita a cassetta d’uno stage a quattro cavalli vi stipava la sua corte, e giù a precipizio pei Viali e pel Lungarno a rischio di ribaltare il legno e di arrotare i passanti che fischiavano e urlavano con tutta la forza dei loro polmoni. O, con una mattina indiavolata, s’impuntava a voler andar a piedi a colazione alla sua Villa di Fiesole, e ordinava perentoriamente al manipolo de’ suoi fidi d’accompagnarla. O lì per lì, di punto in bianco, si metteva in capo di organizzare una recita, un concerto, e non intendeva che le si parlasse di ostacoli, e non voleva saperne d’indugi. Dal momento ch’ella non dava limiti per la spesa, quali difficoltà ci potevano essere? O, in fine, ell’era assalita da una pietà subitanea pei malati, pegli indigenti, e intraprendeva un pellegrinaggio pei quartieri più miseri, ed entrava nei tuguri, e si fermava al letto degli infermi, e distribuiva coperte e biancheria ai vecchi e alle donne, balocchi e dolci ai bambini, danaro a tutti. La sua bellezza ed il suo sorriso illuminavano le povere case come un raggio di sole. Ma quelli del corteo brontolavano. — Qui si rischia di buscarsi qualche malanno. — Come se non si potessero mandare i soccorsi col servitore!
Di tratto in tratto, i cavalieri dell’immacolata, tra il serio ed il faceto, ricorrevano all’interposizione amichevole di donna Mariquita. Non aveva modo di calmar l’attività febbrile di Mistress Simpson? Non credeva anche lei che un po’ di quiete le farebbe bene?… Donna Mariquita che, per conto suo, era una persona posata, trovava ragionevoli queste rimostranze, ma ella s’era fatta una legge di non immischiarsi nelle cose della figliuola, e non intendeva uscire dalla sua neutralità. Quindi, con un sorrisetto ironico, ringraziando gli zelanti amici della loro sollecitudine, li assicurava che la salute di M.rs Simpson non aveva nulla a temere dall’eccesso delle fatiche. In America, da ragazza, ne aveva fatte ben altre. E anche a Livorno, quell’estate ai bagni, non si ricordavano? Quando aveva vinto la scommessa di nuotar per cinque ore di fila, senza mai riposarsi? Loro la seguivano in barca e s’erano risentiti, qual più qual meno, dello strapazzo. Ella invece non aveva avuto neppure un dolor di capo.
Le stesse cose, se uno dei cinque arrischiava una parola con lui, diceva il dottor Brunini, il vecchio medico arzillo che M.rs Simpson onorava della sua benevolenza e invitava sovente a desinare. — È d’acciaio. — E soggiungeva con malizia: — Moderar la sua foga? Impossibile…. Quell’esuberanza di vita, di forza, bisogna che in qualche modo s’impieghi. Le altre donne hanno altri diversivi; lei no…. Parliamoci chiaro. Il marito è in America…. Loro la rispettano….
— Pur troppo.
— Intendono che sia rispettata?
— Sfido io.
— Già…. Del resto, se una donna vuole, non bastano gli occhi d’Argo a custodirla…. Ma è proprio lei che non vuole…. Bizzarrie umane…. Sic rebus stantibus, — conchiudeva il dottore, — credano a me, il meglio è di lasciarle far la ginnastica.
II.
Non era passato molto tempo dacchè il dottor Brunini aveva tenuto uno di questi discorsetti agrodolci quando un dopo pranzo, presenti donna Mariquita, i cinque cavalieri, due volontari e tre o quattro persone di minor conto, l’Edith slanciò con l’aria più naturale del mondo una notizia sbalorditiva. — Fra otto o dieci giorni sarà qui mio marito.
Era il crepuscolo e non si poteva vedere il gioco delle fisonomie. L’emozione dei cinque fu rivelata soltanto da un leggero acciottolìo delle chicchere da cui i valorosi giovinotti stavano sorseggiando il caffè. Successero degli oh e degli ah di sorpresa.
— Sì, — ripigliò M.rs Simpson, — sbarcherà domani a Liverpool.
Dopo un breve silenzio, qualcheduno insinuò timidamente:
— M.r Simpson si tratterrà certo un pezzo a Firenze?
— Non credo, — rispose la bella Americana. — Qui non ha affari…. In Europa starà sei mesi.
Quella sera i cinque si ritirarono più presto del solito, ma fin quasi al mattino (per fortuna era una limpida notte d’aprile) non fecero che girar su e giù per la città accompagnandosi a casa a vicenda e senza trovar mai la forza di staccarsi. Erano esterrefatti. Il marito! Sicuro, ]si sapeva che c’era, che aveva nome Morris, che si scambiava dodici o tredici lettere all’anno con la moglie; ma poichè accompagnandola la prima volta a Firenze era stato forse tre giorni e nessuno l’aveva conosciuto, poich’ella non ne parlava che a lunghi intervalli, per incidenza, nel modo in cui si parla d’un amico e nulla più, poichè effettivamente i due coniugi non si vedevano da tanto tempo, era permesso supporre che fosse avvenuta tra loro una di quelle tacite separazioni, che la ricchezza facilita, e che, pur salvando le apparenze e non disturbando i tribunali, lasciano la reciproca libertà. Non c’è dubbio, fino a un certo punto la visita di M.r Simpson era conciliabile con quest’ipotesi. Un amico può visitare un’amica. Se però egli aveva altre mire? Se, forte de’ suoi diritti, voleva tentare un ravvicinamento? Se riusciva?… La situazione di cavalieri dell’immacolata, che anche nello stato presente delle cose eccitava la vena satirica dei maligni, minacciava di diventare intollerabile con un marito nell’esercizio delle sue funzioni…. E non c’era mica niente da fare…. Al padrone di casa, al legittimo consorte non si poteva mica usar degli sgarbi, dar dei suggerimenti di prudenza e di astinenza…. Oh Dio, se l’Edith stessa avesse invocato il soccorso de’ suoi campioni non sarebbe stato lecito esitare…. quantunque, via, si rischiasse di mettersi in un bell’imbroglio.
M.rs Simpson non aveva la più remota idea di chieder soccorso. Invece, nella settimana, ella si servì ripetutamente de’ suoi fidi per iscopi pacifici, facendosi aiutar da loro nel mettere in assetto le tre stanze della palazzina ch’ella destinava a Morris. Lo chiamava Morris tout court. I cinque, assistiti dai volontari, mostravano la solita docilità. Sorvegliavano l’opera dei tappezzieri, seguivano l’Edith nei negozi di Firenze, la consigliavano negli acquisti…. Ciriè, specialmente, col suo buon gusto artistico, era un ausiliario prezioso, e l’Edith non gli lesinava gli elogi.
Egli, d’indole ottimista, consolava gli amici ch’erano sempre molto abbattuti. Se M.rs Simpson avesse voluto accogliere suo marito…. come un marito, gli avrebbe fatto allestire le stanze vicine alle sue; non lo avrebbe collocato all’angolo opposto dell’appartamento…. Vedrete che non accadranno guai.
Gli altri tentennavano la testa. Sarà…. Ma come persuaderne la gente?
Uno dei volontari non resistette alla paura del ridicolo e con un pretesto abbandonò il campo.
Il giorno dell’arrivo di M.r Simpson, l’Edith dispensò il suo seguito dall’accompagnarla alla stazione. Invitava però tutti quanti la sera a bevere il tè da lei.
E quella sera la palazzina era inusatamente affollata. C’era il console degli Stati Uniti con la sua signora e un paio di famiglie americane dimoranti a Firenze; c’erano due compagni di viaggio di M.r Simpson, americani pur essi. In quanto a lui, a M.r Simpson, era un uomo sui trentacinqu’anni, alto, tarchiato, di fisonomia volgaruccia, colorito in viso, senza baffi, col pizzo e i capelli rossicci. Un yankee puro sangue. E da yankee genuino non parlava e non capiva che la sua lingua, convinto che con essa si poteva girare il mondo. Ora, dei cinque, il solo Federico Pescina aveva studiato l’inglese, ma da quando s’era messo agli ordini dell’Edith lo aveva disimparato, perch’ella discorreva sempre italiano e perchè non lasciava ai suoi cavalieri nemmeno il tempo di leggere un libro. Comunque sia, toccò a lui il compito di rappresentare la corporazione dinanzi a M.r Simpson, ed egli non durò piccola fatica a intendere e a farsi intendere. M.r Simpson trattò con grande cordialità Pescina e i colleghi, strinse a tutti ripetutamente e vigorosamente la mano, accompagnando l’atto con parole gentili e con risatine franche e spontanee. Dopo i convenevoli, i cinque si tirarono in disparte. Pescina fu assalito di domande.
— Che cosa ha detto?
— Oh sì…. Fin che non si fa l’orecchio….
— Non hai capito nulla?
— Sì, ho capito che ci ringrazia dell’amicizia dimostrata a sua moglie.
— E tu?
— Io ho tentato di rispondere che per noi è un onore….
— Già, già…. E poi?…
— E poi non so…. Ha una pronuncia….
— Ma perchè ride?
— Oh bella…. Perchè è di buon umore.
— Non ha educazione…. Guarda com’è vestito…. Valeva la pena che indossassimo il frac.
— Zitto…. È qui M.rs Simpson.
— Si cospira? — ella disse scherzosa.
Le cupe fisonomie dei cavalieri si rischiararono, il crocchio si aperse per accoglierla.
L’Edith sorrise. — Non posso. — E soggiunse in francese: — J’ai charge d’âmes, ce soir.
Con un leggero inchino s’allontanò, seguìta da un coro di esclamazioni ammirative.
— È adorabile.
— È un angelo.
— È una Dea.
— Non c’è un uomo che la meriti.
— Come ha potuto prendersi quel marito?
Gino Ciriè ebbe di nuovo uno slancio di roseo ottimismo. — Giurerei che fra loro non c’è stato niente, non c’è niente e non ci sarà mai niente.
— Uhm! — fece Galassi Gerda.
— Non giurare, — ammonì prudentemente Lucignano.
Ciriè insisteva. — Via, che quello non è il contegno di due sposi giovani che si rivedono dopo cinque o sei anni.
Quest’era vero. Tra M.r e M.rs Simpson nessuna smorfia, nessuno sguardo furtivo, nessuna parolina segreta. E in lei non si scorgeva ombra d’emozione, di turbamento, d’inquietudine. Tranquilla e sicura ella passava fra gl’invitati girando intorno i grandi occhi sereni, aprendo spesso alla celia la bella bocca ridente, scotendo ogni tanto con una leggiadra mossa del capo i riccioli d’oro che le ombravano la fronte purissima. La madre faceva con lei un singolare contrasto. Seduta un po’ sdegnosa in un angolo, donna Mariquita pareva offesa ne’ suoi nervi delicati dall’aspetto volgare, dal vestire inelegante, dalle risate sonore del genero; pareva trovarsi a disagio fra quelle Americane ch’ella aveva trascurate per frequentare i crocchi aristocratici fiorentini, e pensava con desiderio alle contesse e marchese che l’accoglievano nei loro storici palazzoni, che la iniziavano ai loro sodalizi, e il cui zelo cattolico infiammava di simpatia il suo vecchio sangue spagnuolo. In mancanza di meglio, ella si sentiva attratta più del solito verso gli adoratori della sua figliola, che almeno erano gentiluomini, e avevano le mani bianche e sottili di chi non lavora e i modi raffinati della società. Non erano mai stati eccessivamente compiti con lei, non l’avevano tenuta nel conto ch’ella meritava; ma donna Mariquita era la prima a riconoscere che chi avvicinava l’Edith doveva perder la testa. Perciò mostrandosi quella sera disposta a perdonare i peccatucci dei cinque, ella li incoraggiava a sedersele accanto e discorreva loro con inusata affabilità. Essi sorbivano con pazienza le sue tiritere, nella speranza di scavar terreno poi, d’esser illuminati sui veri rapporti dei due coniugi, sulla durata probabile del soggiorno di M.r Simpson, eccetera, eccetera. Donna Mariquita però era molto riservata e discreta, e tutto quello che i suoi interlocutori poterono sapere si fu che M.r Simpson sarebbe rimasto intanto a Firenze una sola settimana, salvo a ritornarvi più tardi, dopo un giro sul continente.
— Un giro d’affari?
— Credo, — rispose a bocca stretta la Spagnuola che non parlava volentieri degli affari di suo genero e preferiva rammentare il suo viaggio di nozze in Europa col defunto M.r Swallow, incaricato, affermava lei, d’una missione confidenziale dal Presidente della Repubblica. Nientemeno.
La riunione si sciolse a mezzanotte e i cavalieri dell’immacolata dovettero naturalmente accommiatarsi anch’essi. L’Edith disse loro che li aspettava il domani a colazione, e M.r Simpson, presa l’imbeccata dalla moglie, confermò l’invito. — O yes, — egli ripeteva, — very glad…. very glad indeed. — E giù strette di mano da slogare un braccio.
Per un’ora e più i nostri cinque campioni si aggirarono con occhi intenti, con orecchie tese nei pressi della palazzina. Ma dalla palazzina avvolta nel silenzio e nelle tenebre non partiva nessun segno rivelatore.
E nulla si scoperse il domani, e nulla nei giorni seguenti. L’Edith faceva gli onori di casa a suo marito come ogni signora bene educata deve farli ad un ospite; verso i suoi cavalieri non aveva mutato modi e contegno.
— Tu però, — dicevano i colleghi a Federico Pescina, — tu che sai l’inglese, dovresti capire in quali acque si navighi.
— Ma che capire!… Intanto son fuori di esercizio…. E poi è una benedetta lingua in cui tutti quanti si danno del voi.
— Curioso.
— Sicuro. You, sempre you, anche nell’espansioni della luna di miele.
— Lei lo chiama Morris?
— Sì, e lui la chiama Edith.
— Se non avete altre prove! — saltava su, infastidito, Gino Ciriè.
Invece de’ Passeri, d’ordinario taciturno, esprimeva i dubbi più dolorosi. — Gli ha sorriso. — Gli ha posato una mano sulla spalla. — Gli ha parlato piano. — È preoccupata. — È distratta….
— Oh finiscila, corvo dalle male nuove!
Del resto, benchè si sforzassero a dissimulare, la presenza di M.r Simpson era come un incubo per tutti i cinque cavalieri dell’immacolata. Alla fine della settimana egli partì, e…. l’incubo rimase. Il marito lontano continuava a proiettare la sua ombra sull’allegra palazzina. Già si sapeva ch’egli sarebbe tornato; non era toccato un mobile, non era rimosso un ninnolo dalle sue tre stanze gaie, eleganti, civettuole…. che parevano aspettarlo. E anch’ella, anche l’Edith, lo aspettava. All’arrivo di Morris si doveva fare, in gran compagnia, una gita a Vallombrosa.
A poco a poco nell’animo mite e mansueto dei cinque si sviluppava il mal germe dell’odio contro l’impudente che poteva vantare e forse esercitare dei diritti sulla bellissima donna. In principio s’erano limitati a giudicarlo volgare; ora, almanaccandoci su, credevano scoprire in lui ogni nefanda bruttura. Doveva essere violento, ipocrita, ignorante, venale; doveva essersi arricchito con la frode e con l’inganno.
— Come lo provocherei volentieri — borbottava de’ Passeri — se non temessi d’insudiciar la mia lama nella trippa di quel negoziante di porci!
Poichè, cerca di qua, cerca di là, de’ Passeri aveva avuto informazioni sicure. Una parte della immensa fortuna di M.r Simpson era investita in uno dei grandi ammazzatoi di Chicago.
Trascorse un mese durante il quale non accadde niente di notevole. L’Edith conduceva su per giù la solita vita, disponeva secondo il solito del tempo e dell’opera de’ suoi vassalli. E pur non era più la medesima cosa. Ella comandava senza energia; essi ubbidivano senza slancio. I cavalieri si ostinavano a trovar cambiata la dama; la dama trovava cambiati i cavalieri.
— Che cere da funerale! — ella esclamava talvolta impazientita.
Un giorno s’ebbero due sintomi gravi. Galassi Cerda e Lucignano, arrivando alla palazzina verso le undici per riferire intorno a un incarico avuto la sera prima, s’imbatterono nel dottor Brunini che ne usciva e chiamava il suo legno, fermo all’ombra dall’altra parte del viale. Ora, il dottor Brunini veniva spesso a pranzo da M.rs Simpson, veniva spesso la sera a prendere il tè, ma nel corso della giornata non veniva mai per la ragione semplicissima che la sua cliente non aveva mai bisogno di lui. Onde fu scusabile l’emozione dei due giovinotti. — Dottore, lei qui?… Forse che M.rs Simpson è incomodata?
— Perchè dovrebb’essere incomodata? — replicò Brunini. — Non lo sanno che in questa casa io son medico onorario?… Passavo pel viale, e mi son trattenuto cinque minuti.
Salì nella carrozza che si era avvicinata, e soggiunse con l’aria paterna e scherzevole a cui gli dava diritto l’età: — Quanti conti bisogna rendere a questi ragazzi!
Le spiegazioni del dottore tranquillarono pel momento Lucignano e Galassi Cerda; ma quando nell’assistere alla colazione dell’Edith la videro contentarsi di una tazza di consommé e di un’ala di pollo, lei che aveva così buon appetito, furono ripresi da un’acuta inquietudine che non tardarono a comunicare ai compagni.
Da allora in poi l’Edith fu scrutata attentamente, ansiosamente. E si giungeva a conclusioni non liete.
— Brunini può dir quello che vuole… Ella non istà bene.
— È pallida.
— Si stanca presto.
— Ha sospeso le passeggiate a cavallo.
— Ci nasconde qualche cosa.
Nessuno osava manifestar tutto il suo pensiero, nessuno osava alludere esplicitamente alla catastrofe temuta. Solo de’ Passeri emise una volta un grido tragico che fece correre un brivido nelle vene de’ suoi uditori. — Siamo traditi!
E col bastoncino che aveva in mano tirò un colpo a fondo contro un nemico invisibile.
E non c’era mica modo di chiarire la verità. Chi avesse interrogato l’Edith sulla sua salute avrebbe corso il rischio d’esser conciato pel dì delle feste; donna Mariquita, dopo la partenza del genero, aveva più da fare che mai con le sue contesse e marchese dell’aristocrazia clericale e non si mostrava che alla sfuggita; la cameriera di M.rs Simpson era inglese ed era muta come una tomba; al dottor Brunini non valeva la pena di rivolgersi, perchè quello poteva sempre trincerarsi dietro il segreto professionale.
Insomma quei poveri cavalieri dell’immacolata menavano una vita impossibile. Eligio de’ Passeri, il più bilioso, dichiarò di aver perduto sei chilogrammi di peso. Ciò indusse anche gli altri a consultar la bilancia, e, fosse combinazione o no, tutti notarono, in maggiori o minori proporzioni, lo stesso fenomeno.
III.
Ed ecco che a crescer le loro amarezze ricompariva M.r Simpson. Lo trovarono una sera sdraiato su una poltrona del salotto di sua moglie, con le due lunghe gambe gettate, una di qua una di là, sui braccioli. Si ricompose, si alzò, strinse la destra ai carissimi amici. — How do you do?… Very glad to see you…. Very glad indeed.
L’Edith spiegò che suo marito era giunto col diretto dell’Alta Italia senza farsi precedere nè da lettere nè da telegrammi. Ella lo credeva ancora a Parigi. M.r Simpson pareva compiacersi seco medesimo dell’aver avuto l’idea di questa improvvisata; rideva, si fregava le mani, dava mille segni di contentezza. Se la sua giovialità romorosa aveva sin dalla prima volta dato ai nervi degli adoratori dell’Edith, figuriamoci adesso!
Peggio poi quando l’indomani si seppe che M.r Simpson era venuto a prender sua moglie per condurla a Aix-les-Bains, ov’egli doveva fare una cura ordinatagli dai medici di Londra per guarire da certi disturbi di stomaco. O che ghiribizzo gli saltava in capo? Non poteva farla da sè la sua cura? Era una sconvenienza il portar via, sia pur per poche settimane, da Firenze l’Edith che vi si era acclimatata benissimo, che non se n’era mossa in cinqu’anni se non per andar parte dell’estate a Livorno e parte dell’autunno a Fiesole, che aveva bisogno della sua indipendenza e sarebbe morta di noia in uno di quei grandi stabilimenti ove regnano sovrani il sussiego e il pettegolezzo.
Senonchè, de’ Passeri, guidato dal suo temperamento pessimista, non credeva ai disturbi di stomaco di M.r Simpson. — M.r Simpson sta meglio di noi, — egli diceva. — I suoi disturbi di stomaco sono un pretesto…. I medici di Londra non gli hanno consigliato nessuna cura…. Quest’affare di Aix-les-Bains è un affare losco… Io ci vedo lo zampino di quel caro dottor Brunini che, del resto, è stato anche ieri a visitarla. È lui che la manda laggiù, e s’ella ci va, vuol dire che ha le sue ragioni…. Noi siamo la gran buona gente a lasciarci abbindolare così.
Scosso nella sua fede, ma più calmo degli altri, Gino Ciriè cercava di risollevare il morale dei confratelli. — Non giudichiamo prematuramente…. Forse sono apprensioni vane…. A ogni modo in certe faccende i sotterfugi durano poco…. Quand’ella tornerà da Aix-les-Bains avremo i dati necessari per formarci un criterio esatto della situazione.
— E intanto — ruggiva de’ Passeri — quel tanghero, quell’animale se la terrà per un mese con sè!
Senza dubbio quest’era una cosa orribile, ma come impedirla?
Il giorno della partenza un seguito numeroso accompagnò i coniugi Simpson fino alla stazione. I cavalieri dell’immacolata si distinguevano subito per l’aria lugubre e solenne con cui invigilavano alla consegna del bagaglio, accomodavano con le loro mani sulla reticella del coupé riservato le borse e gli scialli della dama, esaminavano i serramenti degli sportelli. L’Edith, splendida di bellezza nella sua toilette da viaggio, era cortese con tutti, espansiva coi suoi fidi. Raccomandava a de’ Passeri e a Lucignano di tenere in esercizio i suoi due cavalli da sella; a Pescina di riportar al Gabinetto Vieusseux alcuni libri e di fargliene spedire degli altri a Aix-les-Bains; a Ciriè di sollecitare l’esecuzione d’una copia da Andrea del Sarto da lei ordinata a un pittore; a Galassi Cerda di commetter per suo conto le ultime composizioni musicali di Sgambati; a un volontario di recluta recente, che s’occupava di floricoltura, dava l’incarico di sorvegliare le rose della sua villa di Fiesole. Circa allo scrivere, non assumeva nessun impegno; in quanto a lei sarebbe stata ben contenta di vedere i caratteri degli amici i quali avrebbero avuto sue notizie per mezzo di sua madre che rimaneva a Firenze. Già per la fine di luglio o pei primi d’agosto anch’ella si proponeva d’esser in Toscana per la solita bagnatura a Livorno.
— Per la linea di Bologna si parte — gridava il capo-conduttore.
M.r Simpson si staccò dal Console degli Stati Uniti e da un gruppo di compatrioti con cui conversava e venne a stringer la mano agli spasimanti di sua moglie: — Good by, good by and many thanks.
L’Edith, ormai salita in vettura, porse ancora una volta la destra da baciare ai membri della corporazione e ripetè: — Arrivederci, arrivederci; — poi scambiò un nuovo good by con la madre.
Proprio all’ultimo momento, da una delle sale d’aspetto, sbucò un fattorino, portando a M.rs Simpson un magnifico mazzo di fiori offertole dai cinque cavalieri e dal volontario. Era così grande che per introdurlo nel coupé bisognò riaprir lo sportello nonostante le rimostranze del capo-stazione che aveva dato il segnale della partenza.
I Simpson ebbero appena il tempo di ringraziare; il treno si mosse e scomparve. Ritti sotto la tettoia e come trasognati, gli adoratori dell’Edith seguitarono a sventolare il fazzoletto sinchè donna Mariquita Serenado y Fuentes, accostandosi al più titolato di loro, il conte Galassi Cerda, gli chiese di accompagnarla alla sua carrozza.
— Ecco quello che ci resta, — borbottarono i compagni.
Lanzini, il volontario, un giovinetto di primo pelo, pianse; i veterani, se pur non piangevano, erano in peggior stato di lui. Per loro M.rs Simpson non era soltanto l’oggetto d’un culto fervente e devoto; era anche un’abitudine della vita, e le abitudini, ohimè! sono più difficili a sradicarsi delle passioni. Essere avvezzi ad andar tre, quattro volte al giorno alla palazzina sui Viali, e non poterci andare che di tanto in tanto a cercarvi donna Mariquita che per solito non era in casa; essere avvezzi a seguir da per tutto l’Edith, a contemplarla estatici, a pender dalle sue labbra, a mendicare i suoi ordini, e non vederla più e non udir più la sua voce, e avere il vago presentimento che quando pur ella tornasse le cose non tornerebbero come prima, era tale supplizio da render degni di commiserazione quelli che v’erano condannati. Ci sono ben altri dolori nel mondo, si sa; c’è la lotta per l’esistenza, c’è la miseria, c’è la fame, c’è il freddo; e questi guai non toccavano i cavalieri dell’immacolata; ma, alla fin dei conti, la misura del dolore è data da ciò che si soffre.
In principio fu meno male. Avevano tutti da eseguire una commissione per M.rs Simpson e si può immaginarsi quanto zelo mettessero nell’adempimento del loro ufficio e con che minuziosa esattezza ne rendessero conto per iscritto alla dama. E poichè la lontananza infonde coraggio, tutti versarono nelle loro lettere la piena dell’animo esulcerato. Dissero delle loro giornate senza scopo, delle loro notti insonni, del loro pensiero sempre rivolto ad un punto, dipinsero con vivi colori la loro trepida attesa, ripeterono infine le ardenti dichiarazioni che sugl’inizi della loro carriera avevano infruttuosamente deposto ai piedi dell’Edith. Ella non se n’era offesa allora e non se ne offenderebbe adesso…. e suo marito non sapeva l’italiano.
Però i cavalieri dell’immacolata si guardarono bene dal comunicarsi a vicenda il contenuto delle loro epistole, e questo riserbo turbò la loro intimità. Ognuno, memore di quello che aveva scritto, andò almanaccando su quello che potevano aver scritto i colleghi; ognuno, sperando che l’Edith rispondesse di preferenza a lui, si rodeva all’idea che il privilegiato potess’essere un altro.
L’Edith non rispose a nessuno, e si limitò a incaricar sua madre di dire agli amici che aveva ricevuto le loro lettere e che li ringraziava. Donna Mariquita era parca di notizie. La sua figliuola godeva ottima salute; Morris ritraeva molto giovamento dalla sua cura; Aix-les-Bains era animatissima e c’erano parecchie famiglie inglesi e americane con cui i Simpson avevano fatto relazione. Del ritorno non si parlava.
Il silenzio serbato sopra un argomento così capitale suggerì ai cinque un disegno temerario che fu gravemente discusso in uno dei loro conciliaboli.
— Se uno di noi andasse a Aix-les-Bains?
— Uno?… E chi?…
— Si potrebbe sorteggiare il nome….
— No, no. Piuttosto andar tutti.
— In cinque?
— A Aix-les-Bains c’è posto.
— E se siamo accolti male?
— Pazienza. Bisogna uscire dall’incertezza.
Nondimeno si deliberò di soprassedere per pochi giorni. Ella non era assente che da tre settimane, ed era meglio aspettar che si compisse il mese.
La discussione venne ripresa a suo tempo.
Si va? — Non si va? — Quando si va?
Fu deciso d’andare, avvisando prima donna Mariquita, ma senza fiatar con Lanzini, il volontario.
— A proposito, — chiese Pescina, — chi di voi l’ha visto ieri, Lanzini?
— Io no, — risposero in coro gl’interrogati.
Lanzini era scomparso.
Quando i cavalieri si recarono da donna Mariquita a esporle il loro divisamento, ella li ascoltò con un sorrisetto enigmatico; poi disse: — Cari amici, ho piacere di poter risparmiare almeno a voi la spesa del viaggio.
— Come?
— Sì…. I Simpson sono partiti l’altra sera per la Scozia. Ho ricevuto or ora una lettera dall’Edith che vi nomina tutti quanti e v’invia mille saluti.
— Possibile?
— È stata una risoluzione presa lì per lì.
— Ma…. non torna?
— Oh tornerà…. tornerà…. più tardi…. Mi duole di quel povero Lanzini…. Non lo sapevate?.. Voleva anch’egli fare una improvvisata alla mia figliuola e dev’essersi messo in ferrovia ieri mattina all’alba…. Forse sarà già a Aix-les-Bains…. Ma loro ormai avranno passato la Manica…. Basta, informerò l’Edith delle vostre buone intenzioni. Ella ve ne sarà riconoscentissima.
Fu un colpo di fulmine pei cavalieri dell’immacolata. Partita per la Scozia? In quel modo? Senza mandare una riga?… Dopo la devozione ch’essi le avevano dimostrata? Dopo il disinteresse con cui l’avevano servita?… Restava bensì il dubbio che l’Edith subisse una specie di coercizione da suo marito, ma chi la conosceva stentava a credere ch’ella fosse una vittima.
I cavalieri erano poi furibondi contro Lanzini, il volontario. Cercare così alla chetichella di raggiunger per suo conto M.rs Simpson! Cercar di soppiantare quelli che avevano tanti più diritti di lui!… Era una petulanza che meritava una lezione coi fiocchi.
— La lezione gliel’amministrerò io! — gridava de’ Passeri.
— Oh per quel paino non c’è bisogno d’una delle prime lame di Firenze…. Chiunque di noi è buono.
— Pur che non le sia corso dietro fino in Iscozia….
— Dove li ha i quattrini?… È figlio di famiglia.
E invero s’ebbe prestissimo la notizia che Lanzini era reduce dalla sua disgraziata spedizione, ch’era a letto con una febbre reumatica presa in viaggio, e che ne avrebbe avuto per un mese. Constatati debitamente il ritorno e la malattia, e assodato che il giovinotto non aveva vista M.rs Simpson, i cinque abbandonarono pel momento i loro propositi vendicativi. Avrebbero invigilato la condotta di quel signorino, ecco tutto. E lo visitarono con tenera sollecitudine. — Che informazioni aveva assunte ad Aix-les-Bains? — Che cosa aveva sentito dire circa ai rapporti dei coniugi Simpson?
— Ma!… Pare che fossero rapporti ottimi.
I cavalieri fremevano. De’ Passeri ripetè con voce cupa il suo grido fatidico: — Siamo traditi.
L’Edith aveva lasciato Firenze ai primi di giugno. In settembre donna Mariquita annunziò che andava a raggiungere i Simpson in Iscozia; forse suo genero sarebbe partito per Nuova York; ella contava d’essere in Toscana con la figliuola per la fine di ottobre.
Successe un nuovo periodo d’aspettativa affannosa. Verrà? Quando? In che condizioni fisiche e morali? Che contegno si dovrà tenere verso di lei dopo questi mesi ch’ell’ha passati col marito? Sarà possibile di mostrarle la stessa deferenza, d’aver la stessa abnegazione? Come rassegnarsi a esser cavalieri d’una immacolata che forse non era più immacolata?
I nostri valorosi campioni si logoravano il cervello nello studio di questi gravi problemi quando una mattina capitò a ciascuno di loro una lettera da Londra, con la soprascritta di calligrafia di M.rs Simpson.
Erano poche righe con cui l’Edith annunziava che aveva risoluto di andar per qualche tempo in America, e che stava per imbarcarsi in compagnia di suo marito e di sua madre. Ella si sarebbe ricordata sempre degli amici, sperava che gli amici si sarebbero ricordati di lei. Si riprometteva di rivederli fra non molto, giacchè era suo proponimento di tornare entro l’anno venturo in Italia, e perciò non dava la disdetta nè alla sua casa di Firenze nè alla sua villa di Fiesole. Inviava coi suoi saluti quelli di Morris e di donna Mariquita.
I cinque corsero subito in traccia gli uni degli altri, con gli occhi fuori dell’orbita, con la lettera in mano.
— Tant’era che spedisse una circolare a stampa! — essi esclamarono in coro dopo aver notato che le cinque epistole erano uguali in tutto, persino nelle virgole.
Eppure questa identità di trattamento contribuì a tenere unita anche in quello scorcio d’autunno, anche nella prima parte dell’inverno, la benemerita corporazione. Triste autunno e triste inverno. In società, a teatro, al passeggio, ovunque i cavalieri dell’immacolata si sforzassero di cercare una distrazione, essi erravano in mezzo alla folla taciturni, meditabondi, e non avevano pace fin che non si trovavano insieme a sfogare il comune dolore, a lagnarsi dell’offesa comune.
Non li si canzonava apertamente, perchè li si sapeva sospettosi, irritabili, dispostissimi a mandare i padrini a chiunque li punzecchiasse; si rideva alle loro spalle. In un salotto qualcheduno li chiamò i vedovi, e l’epiteto fece fortuna e corse su tutte le bocche. Un altro li rassomigliò agli azionisti d’una società anonima fallita.
— Diciamo in moratoria, — insinuò uno spirito conciliante.
— Sia pure. È l’anticamera del fallimento.
Il fallimento fu dichiarato agli ultimi di gennaio allorchè la posta recò ai cavalieri dell’immacolata, entro una busta col bollo di Nuova York, un lucido ed elegante cartoncino con queste semplici parole litografate in inglese: M.r e M.rs Simpson hanno l’onore di partecipare la nascita del loro figlio Percy. — 10 Gennaio 189….
I cinque ebbero ancora la forza di numerare i mesi sulla punta delle dita. Il conto tornava. M.r Simpson era arrivato a Firenze nell’aprile.