L’aula della giustizia è al completo.
Perelà è da pochi minuti nella gabbia dei colpevoli, circondata da dodici vigili in grande uniforme.
Al suo apparire si sono intrecciate furiosamente alte grida di disprezzo, fischi, lazzi osceni.
Solo dopo alcuni minuti è stato possibile ristabilire la calma e il silenzio nell’aula.
Egli ha il suo solito aspetto, non è alterato minimamente, mostra di interessarsi poco di quello che gli avviene intorno.
Le gallerie sono riboccanti, le eleganti signore e signorine vi sono ammassate, vi si vedono uomini e donne di tutte le età.
La balaustrata è assiepata di popolo che gremisce imponentemente l’aula fino dietro alle porte.
Già dalle sette del mattino la via e le adiacenze del palazzo della giustizia erano popolatissime.
Quando è giunta la vettura con Perelà, le urla, i fischi si sono scatenati in una bufera vertiginosa.
Sono le dieci, si attende il ministro della giustizia coi giudici.
Tutti gli sguardi sono rivolti all’imputato, dalla marea del popolo, in fondo, si vedono continuamente sobbalzare teste che cercano di poter vedere l’uomo, quell’abbassarsi ed alzarsi dà la sensazione di una grande tempesta in un mare di patate.
Si sussurra si sussurra ma nessuna voce si distingue.
Si respira già quell’aria vaporosa umida, orribile ricetta di polvere di decrepiti legni, di decrepite tappezzerie, e di fresche esalazioni della giovane e vecchia umanità. Riescono talora ad infilar visi con tutta la loro ironìa alcune spire di fino Houbigant o di Coty, somigliantissime a certi maliziosi risolini femminili, così fini come lame di rasoi. Quel miscuglio che si perfeziona col miscuglio stesso della gente, proprio di certi grandi teatri popolari, aule universitarie e politiche, ma che in quelle della giustizia in giorno di grande processo raggiunge la sua perfezione assoluta.
Si fa silenzio sepolcrale, entra il ministro della giustizia. Nell’aula, che si sembra d’un tratto vuotata, si ode ora solo il fragoroso tuonare di imponentissime poltrone smosse sulle assi del pavimento.
Il ministro della giustizia si fa in piedi, volge intorno gli occhi nella assoluta cristallizzazione dell’ambiente. Solamente Perelà dondola appena appena sul suolo.
— Prima che il processo si apra, chi è il difensore dell’imputato? — Silenzio, il ministro fissa Perelà, Perelà dondola ancora impercettibilmente. — Imputato, chi è il vostro difensore? — Silenzio, la compattezza dell’ambiente incomincia a screpolarsi. — Non avete un difensore? Voi avete pure il diritto di essere difeso! — Il corpo incomincia la sua screpolatura con qualche rumore. — Ebbene, chi vuole essere il suo difensore? — Le crepe si allargano rumorosamente. — Nessuno risponde? — Alcune si fanno voragini, incominciano a crollare i primi tocchi con frastuono. — Non c’è uno che voglia difenderlo? — È un rotolamento generale di tocchi che alla loro volta rotolano e si disfanno. — E non basterebbe questa prova per firmare già la vostra condanna? — Tutto si disfà, si sgretola, si disperde, l’ambiente è in frantumi.
— Silenzio!
— Per l’ultima volta, c’è qui dentro uno che voglia parlare in difesa dell’imputato?
— Io.
— Una donna!
— Oliva!
— Oliva!
— La Marchesa Di Bellonda!
— È pazza!
— Le donne non sono ammesse! La nostra legge non lo consente.
— Fuori le donne!
— Le donne non hanno mai difeso nessuno!
Si urla, si grida, si discute, si ride, ci si soffia il naso, si sternutisce, si inveisce, al banco della giustizia si suonano alcuni campanelli, ce n’è uno squarciato, si grida silenzio, quello squarciato è proprio quello del ministro.
— Signora, la parola delle donne non ha mai avuto nessun valore sui banchi della giustizia.
— Il signor Perelà ha il diritto di essere difeso.
— Ma non da una donna.
— Siccome la generosità degli uomini non ha una sola parola per lui, sia almeno ascoltata la parola d’una povera donna.
— Questo processo prende una bruttissima piega.
— Atto di accusa!
— Silenzio!
— Silenzio! — I campanelli sono tutti a gambe all’aria, quello squarciato sembra una vecchia contessa femminista in battibecco con dei suoi fervidi spasimanti dai quindici ai venti anni.
— Atto di accusa.
«Imputato, siete accusato di esservi servito di male arti per ingannare la Reale opinione, l’opinione del consiglio dei ministri, l’opinione pubblica! Vi siete fatto credere, per la vostra eccezionale natura, in grado di compiere un’alta opera per il nostro paese, mentre eravate pienamente cosciente della vostra assoluta impotenza di tutta la vostra insipida nullità.
E ciò per le vostre illecite mire ormai svelate.
Voi avete fino all’ultimo momento mantenuta la missione generosamente offertavi invece di rassegnatamente dimettervi.
Siete accusato di esservi servito ancora di dette male arti per indurre un uomo al suicidio. Alloro è la vostra prima vittima, voi avreste continuata una propaganda di strage, incendiaria e omicida, facendo abbruciare uomini e cose per restare padrone terribile e assoluto del campo. Siete imputato di essere penetrato nel nostro paese al solo scopo di nuocere, servendovi del vostro illegale, losco potere. Discolpatevi».
Si fa un po’ di silenzio, c’è qua e là gente che zittisce, si vuole potere udire la difesa di Perelà. I campanelli hanno le sottane al loro posto.
Appena Perelà incomincia a muoversi, a dondolarsi un poco in attitudine di parlare, la sala ritorna nel silenzio più perfetto.
— Io sono leggero. — Queste parole egli le dice con voce ferma, tranquilla, alitate con la soavità più assoluta di tutta la sua espressione.
— Avanti, discolpatevi!
— Io sono leggero. — L’aula rumoreggia, si sentono molte voci d’indignazione.
— Ah! Voi intendete con questa sola parola gettarci l’ultimo insulto! Volete ancora una volta giuocarci colla vostra malefica colpevole ironìa, col vostro scellerato cinismo? Voi volete dire che all’uomo più leggero noi avevamo affidata l’opera più grave, non è questo che volete dire? Ma a quell’uomo noi glie l’abbiamo tolta! E gli daremo ora la pena ch’ei si merita. Il misterioso potere della vostra persona è ormai svelato, siete il figlio…. di tre streghe!
— No! No! No! Pena! Rete! Lama! guardatemi, voi lo vedete dove sono, venite fuori dalla vostra sepoltura, ditemi, ditemi che non eravate tre streghe!
Il momento drammatico indigna molte facce che si vanno raggomitolando, ma qua e là si vedono biancheggiare alcuni fazzoletti.
— Signor Perelà, per l’ultima volta, discolpatevi.
— Io sono molto leggero, si, si, leg-ge-r-o.
— Incomincereste a diventar pesante.
— Ma come deve fare a scolparsi, si sente troppo bene colpevole!
— Aspetta rassegnato la condanna!
— Silenzio!
— Non avete altro da dire? Si passi all’interrogatorio dei testimoni.
Momento di discussioni vivaci, di piccoli alterchi, saluti, gesti, sorrisi, tutti sono in movimento, solamente una donna in mezzo, poco sotto al banco della giustizia, in piedi, colla testa bassa, aspetta: la Marchesa Oliva Di Bellonda.
— Pirlottini Francesco Maria, arcivescovo.
— Aveste rapporti con l’imputato?
— Brevi ma bastanti.
— Che cosa vi sembrò?
— Un essere nocivo allo stato e alla chiesa, allo stato della chiesa, alla chiesa dello stato.
— Credete ch’egli si sia valso di male arti per ingannare la Reale opinione, l’opinione dei ministri, la pubblica opinione?
— Si valse di male teorie.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Direttamente.
— Credete ch’egli avrebbe continuato la sua propaganda omicida e incendiaria?
— Indubitatamente.
— Che cosa ne fareste?
— Guarderei se fosse possibile il taglio della testa, se no il nodo. O taglio, o nodo.
— Rodella Fortunato, banchiere.
— Aveste rapporti con l’imputato?
— Si.
— Che cosa vi sembrò?
— Una cavaliere…. d’industria.
— Credete si sia valso di male arti per ingannare, ecc…
— Certo.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Si.
— Credete ch’egli avrebbe continuato la sua propaganda, ecc.?…
— Si.
— Che cosa ne fareste?
— Un’asta pubblica.
— Scopino Isidoro, poeta.
— Aveste rapporti con l’imputato?
— Si.
— Che cosa, vi sembrò?
— Pedestre…. pedestre….
— Credete si sia valso di male arti, ecc….
— Arti da strapazzo.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Autore.
— Credete avrebbe continuato la sua propaganda, ecc.?…
— In collaborazione.
— Che cosa ne fareste?
— Lo manderei in omaggio a Costantino Del Pesce, per farglielo stroncare.
— Del Pesce Costantino, critico.
— Aveste rapporti coll’imputato?
— Ne ebbi…. e non ne ebbi.
— Ne aveste o non ne aveste?
— Ne ebbi.
— Che cosa vi sembrò?
— Mi sembrò…. e non mi sembrò.
— Credete si sia valso di male arti, ecc…..
— Si valse…. e non si valse.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Lo credo…. e non lo credo.
— Che cosa ne fareste?
— Ne farei….
— E non ne farei.
— Formichini Cesare Augusto, scultore.
— Aveste rapporti coll’imputato?
— Si.
— Che cosa vi sembrò?
— Un vile.
— Ma voi gli avevate incominciato il monumento?
— Si.
— E come mai?
— Già io feci agli eroi tutti il monumento.
— E ora incominciate a farne ai vili?
— Perchè più grande rifulga al confronto lo splendore degli altri.
— Credete si sia valso di male arti, ecc….
— Diaboliche.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Satanicamente.
— Credete ch’egli avrebbe continuata la sua propaganda, ecc.?….
— Lucifero!
— Che cosa ne fareste?
— Prometeo!
— Pacchetto Crescenzio, pittore.
— Aveste rapporti coll’imputato?
— Si.
— Che cosa vi sembrò?
— Senza colore.
— Credete si sia valso di male arti, ecc.?…
— Si.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Si.
— Credete ch’egli avrebbe continuata la sua propaganda, ecc.?….
— Si.
— Che cosa ne fareste?
— Lo vernicerei e poi lo darei a cuocere.
— Pipper Agostino, medico.
— Aveste rapporti coll’imputato?
— Ebbi occasione di visitarlo.
— Che cosa vi sembrò?
— Affetto da psicopoloneuropatoschlerosofilia.
— Si attacca?
— Oh! Una forma epidemicissima!
— E ce lo dite ora?
— Purtroppo!
— Credete ch’egli si sia valso di male arti, ecc.?…
— Contagiose.
— E lo ritenete ugualmente responsabile della morte di Alloro?
— Per Dio!
— Credete ch’egli avrebbe continuata la sua propaganda, ecc.?…
— Si.
— Che cosa ne fareste?
— Lo metterei sotto la calce viva.
— Pila Angiolino, detto Pilone filosofo.
— Aveste rapporti con l’imputato?
— Si.
— Che cosa vi sembrò?
— Un imbecille.
— Credete si sia valso di male arti, ecc….
— Per ingannare gl’imbecilli.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Erano due imbecilli.
— Credete ch’egli avrebbe continuata la sua propaganda, ecc.?…
— Sì, ma cogli imbecilli, che non sono pochi.
— Che cosa ne fareste?
— Imbecille più, imbecille meno….
— Anche te, anche te, filosofo vigliacco, che stai sulla terra per mostrarne i bubboni solamente, liberaci almeno dal tuo ch’è il più sozzo!
— Signora Marchesa, non è il vostro momento.
— Fatela tacere!
— Fatela tacere!
— Questo processo mi sembra una pochade!
— È una farsa, una farsa!
— Bolo Filzo Zoe.
— Aveste rapporti coll’imputato?
— Mi pare.
— Che cosa vi sembrò?
— Un mostro.
— Credete si sia valso di mali arti, ecc.?…
— Mostruose.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Si.
— Credete ch’egli avrebbe continuata la sua propaganda ecc.?…
— Non v’ha dubbio.
— Che cosa ne fareste?
— Lo chiuderei nelle urne delle mummie.
— Di Cartella Maria Gioconda.
— Aveste rapporti coll’imputato?
— Si.
— Che cosa vi sembrò.
— Impotente nel bene potentissimo nel male.
— Credete si sia valso di male arti, ecc.?…
— Le peggiori.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Sicuramente.
— Credete ch’egli avrebbe continuata la sua propaganda, ecc.?….
— Senza tregua.
— Che cosa ne fareste?
— Lo impiccherei dopo di averlo unto.
— Pizzardini Ba Cloe.
— Aveste rapporti coll’imputato?
— Qualche cosa.
— Che cosa vi sembrò?
— Un buono a nulla.
— Credete si sia valso di male arti, ecc.?…
— Si.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Si.
— Credete ch’egli avrebbe continuata la sua propaganda, ecc.?…
— Si.
— Che cosa ne fareste?
— Uhm…. nulla.
— Giunchi del Bacchetto Nadina.
— Aveste rapporti coll’imputato?
— No.
— Allora mia cara signora è inutile continuare l’interrogatorio.
— Voi potete però chiedermi che ne vorrei fare.
— Che cosa ne fareste?
— Lo caccerei negli occhi di tutte le mie buone amiche.
— Sguaiata!
— Si è voluta distinguere anche in pieno processo!
— Con tutta quella gente laggiù.
— Se ci pigliano di mira stiamo fresche!
— Delfino Bicco delle Catene Bianca.
— Aveste rapporti con l’imputato?
— Si.
— Che cosa vi sembrò?
— Un morto dissepolto.
— Credete si sia valso di male arti, ecc.?..
— Arti di morte.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Si.
— Credete ch’egli avrebbe continuata la sua propaganda, ecc.?…
— Fino alla morte.
— Che cosa ne fareste?
— Lo seppellirei così.
— Copertino Enos. Si avverte il pubblico che pure portando un nome mascolino il teste rimane di sesso femminile.
— Voilà la lésbienne!
— Avec sa jupe-culotte!
— Aveste rapporti coll’imputato?
— Bien peu monsieur.
— Che cosa vi sembrò.
— Une tapètte quelconque.
— Mon Dieu quelle honte!
— C’est le dernier outrage.
— Tapètte aussi!
— Credete si sia valso di male arti, ecc.?…
— Certainement.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Il était son tipe!
— Ah! La vieille tante!
— Quelle orrible créature.
— Il me degoute.
— Che cosa ne fareste?
— Je m’en fiche.
— Ilario Denza Carmen.
— Aveste rapporti coll’imputato?
— Si.
— Che cosa vi sembrò?
— Uno sfruttatore di femmine.
— Credete si sia valso di male arti, ecc.?…— Arti da lenone.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?…
— Assassino.
— Credete ch’egli avrebbe continuata la sua propaganda, ecc.?…
— Impunemente.
— Che cosa ne fareste?
— Gli preparerei il rogo colle mie stesse mani.
— Ramino Liccio Rosa.
— Aveste rapporti con l’imputato?
— Si.
— Che cosa vi sembrò.
— Un uomo senza pudore.
— Credete si sia valso di male arti, ecc.?…
— Arti da spudorato.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Si.
— Credete ch’egli avrebbe continuata la sua propaganda, ecc.?…
— Spudoratamente.
— Che cosa ne fareste?
— Lo spoglierei sulla pubblica piazza e lo farei frustare.
— Del Prato Solìes Gelasia.
— Aveste rapporti coll’imputato?
— Si.
Che cosa vi sembrò?
— Un corruttore di minorenni.
— Credete si sia valso di male arti, ecc.?….
— Arti corrotte.
— Lo credete responsabile della morte di Alloro?
— Corruttore.
— Credete ch’egli avrebbe continuato la sua propaganda, ecc.?…
— Ci avrebbe corrotti tutti.
— Che cosa ne fareste?
— Lo impalerei in un campo di canape.
— Il teste Barbero Di Ca’ Mucchio Giacomina, impossibilitato a rispondere ci fa pervenire il certificato medico.
— È vero non me ne ero accorta!
— Donna Giacomina!
— «Barbero Di Ca’ Mucchio Giacomina — silenzio! — da me visitata, trovasi affetta da contusioni gravi ed escoriazioni multiple della vagina, con conseguente infiammagione. Per questo nell’assoluta impossibilità di muoversi e camminare onde rispondere all’appello quale teste in causa penale. In fede di quanto sopra firmato: Pipper».
— Carlomignolo!
— L’ha rovinata!
— Ch’egli segua sì in ritardo il proprio sviluppo naturale?
— Ella avrà piuttosto fatto un tentativo con qualche Carlo…. pollice.
— Marchesa Oliva di Bellonda, che cosa avete da dire?
— Una sola parola, dopo la deposizione dei testimoni io non posso più dire che una parola: io sono leggera…. sì, leggera….
Leva in alto le braccia agitando i veli grigi che l’avvolgono, in atto di volare.
Urla e fischi si scatenano da ogni parte, si sentono rumori osceni fatti colla bocca, si sente anche il suono di una piccola tromba. La Marchesa Oliva Di Bellonda ferma, attende.
— Serrate anche lei nella gabbia!
— Con quel vigliacco del suo amante!
— Legateli insieme!
— Pazza!
— Svergognata!
— Sculacciatela sulla piazza con quel porco di Perelà.
La marchesa solleva un braccio pure tenendo la testa bassa, si fa un relativo silenzio.
— Sì, insultate…. bestemmiate…. è bene…. è bene, perchè voi non imprecate che contro le cose grandi! — Urla, fischi. — Voi, non vi potreste meglio tradire, o meschini!
Uomini generati nei viscidi uteri sanguigni, usciti come rettili dalle contorsioni dei muscoli nel delirio della lacerazione della carne, egli è sopra a tutte le stirpi, sopra a tutto il sangue!
È il figlio della fertile vecchiezza di tre vergini che lo nutrirono non col nauseante umore del loro seno, ma coll’incanto della loro voce, col calore della fiamma delle belle querci e degli abeti. Voi benediceste ciecamente un giorno la sorte che ve lo aveva mandato, e colla stessa cecità ora la condannate.
Uomini vili! che non sapete servirvi che dell’insulto o della menzogna! — Urla, fischi, rumori osceni. — Voi preparate a quest’uomo la stessa pena che date ai ladri e agli omicidi, ma egli è stato nuovo con voi, riuscite almeno ad essere nuovi con lui! — Urla, fischi, trombette, rumori di ogni genere, la Marchesa grida a perdifiato, ma solamente i più vicini la possono udire.
— La fine di Alloro non è la prova più grande del suo potere? E quando anche egli avesse fatto tutto e tutti abbruciare col suo incanto non sarebbe egli il più grande, il più infinitamente grande di tutti gli uomini?
— È pazza!
— Fatela tacere!
— È una donna!
— È innamorata!
— Stupida!
I rumori crescono, si raccolgono qua e là alcune invettive, alcuni insulti, al banco del ministro grande can can dei campanelli.
— Silenzio!
— Uomini dai visi arcigni, verdi per il tossico della vostra invettiva, guardatelo! Egli è là sereno, immutabile, tranquillo! Che cosa ha egli detto per discolparsi? «Io sono leggero». E io pure da questo momento mi sento leggera, come lui, e sfido, sfido le ire di tutti, tutti vi sfido, che siete tutti contro me sola!
Ella leva ancora in alto le braccia agitando i veli grigi intorno al corpo in atto di volare.
— Fatela tacere!
— È una donna!
— È innamorata!
— Guardatemi, guardatemi in volto! I miei occhi brillano, e le mie labbra sorridono! Io sono felice in mezzo a voi perchè mi avete lasciata sola con lui!
— Basta!
— Basta!
— Siete donna!
— Siete innamorata!
— È la vostra difesa!
— È la vostra condanna!
— In mezzo a loro, io mi sento sola con te, come fossimo nel mezzo del deserto soli! Amore! Sì! E posso dirti finalmente: io t’amo!
— Puttana!
— Basta per Dio! Silenzio!
— Si sapeva come doveva finire la difesa di una donna!
— Che scandalo!
— Io me ne vado ho paura.
— No no, rimani per carità.
— Ci ha danneggiate tutte!
— Voi ci avete tutte pregiudicate!
— Silenzio!
— Non potremo mai più ritentare l’aula.
— Silenzio!
— La pena!
— La pena!
— Il gabbione!
— Fra le mummie!
— Nella cella di Iba!
— Sì!
— Sì!
— Con Iba!
— La Catulva!
— La Catulva!
— La celebre Catulva!
— E venuta al processo!
— Chiedete a lei!
— Ella conosce tutti i drammi umani!
— Signorina dite, parlate.
— Parlate!
— Dite una parola di accusa o di difesa!
— Sì.
— Ha detto di sì.
— Ha detto di sì.
— Sì che?
— Continuate!
— È colpevole?
— È innocente?
— Silenzio!
— Sì? Che cosa?
— Non dice più nulla.
— Ma non sa che cosa dire!
— Queste attrici fuori dei loro drammi sono delle stupide.
— Non sa far che delle smorfie.
— Lasciatela.
— La pena!
— La pena!
— Al Calleio!
— Al Calleio!
— Sì, al Calleio!
— Il principe Zarlino!
— Il principe Zarlino?
— Hanno dato la via ai matti, hanno dato la via ai matti, poveri noi!
— Che succederà!
— Guarda guarda!
— Si abbracciano!
— Belli tutti e due!
— Si sono abbracciati!
Il principe Zarlino è vestito di un magnifico velluto grigio, ed ha impastato bene la faccia con una certa pomata mercuriale. Da vari giorni egli fa da Perelà dentro al suo manicomio.
— La pena!
— La pena!
— Al Calleio!
— Al Calleio!
— Il messo della Regina!
— Lasciatelo parlare!
— La Regina è nei suoi appartamenti che passeggia dubitosa, ella va e viene per le sale colle braccia abbandonate, non dice più che una parola sola: «Dio».
— Hanno tutti poche parole i grandi personaggi!
— Evviva la Regina!
— Abbasso la marchesa di Bellonda!
— Ella invoca Dio? Ma chi invoca uno che sa più forte di sè, è un debole che ha paura!
Fischi acutissimi ricuoprono totalmente la voce della Marchesa.
Il ministro si alza, è per leggere la condanna, la sala a stento ritorna nel silenzio più assoluto.
— Risultata ad unanime parere la reità dell’imputato e stabilita la dubbia riuscita di pene più decisive, il Ministero della Giustizia lo condanna alla segregazione cellulare a vita.
— Vile! Vile! Vile!
— Portatela via!
— Fuori! Fuori!
— Egli non sarà messo nelle comuni prigioni, ma gli verrà fatta una piccola cella sulla cima del monte Calleio, dal quale discese a portare lo scompiglio in mezzo a noi, e vi sarà murato!
— Bravo!
— Bene!
— Noi lo accompagneremo!
— Vile! Vile! vile!
— Murato!
— Bene!
— Viva il ministro!
— Il Re!
Ora solamente il Re può cancellare la condanna.
— Il giudizio del Re.
— Su in alto, nel mezzo alla loggia dell’aula, si apre un grande drappo porpora a nappe d’oro e dietro un grosso cristallo appare la persona del Re.
Tutti i respiri sono in quest’istante rattratti, il quadro in cima all’aula assorbe tutti i sensi. Si ode solamente l’ansito di un petto femminile che si squassa — su, su, su, su — come s’ella volesse colla sua anima sollevare la mano del Re. Se egli solleverà la destra durante i trentatrè secondi che la portiera rimane aperta, la condanna è cancellata, se la destra rimarrà pendente la condanna è approvata irrimediabilmente.
Gli attimi si rincorrono spasmodicamente.
— s…. u…. s…. u…. s…. u… s…. u… Vile! Vile! Anche te! Vigliacco!
— Al Re!
— Al Re!
— È sua cugina.
— Legatela!
— Fatela legare!
— Vili tutti! Io correrò da tutti i popoli a raccontare come fu condannato un innocente. A tutte le corti, di tutti i regni, come fu consumata questa infamia! E tu, ministro della menzogna, quando ti sarà chiesto ragione della condanna di un innocente, quando ti sarà domandato che ne facesti di quell’uomo, che risponderai?
— Egli non era un uomo.
— E che risponderai della Marchesa Oliva Di Bellonda?
— Da questo momento la Marchesa Oliva di Bellonda non è più responsabile delle proprie azioni!
— Ah! Bene! Bravi!…. Oh! mi avete…. mi avete…. schiacciata! Io…. sono vinta, sono perduta, calpestata, e ora da vinta io parlo.
Io posso da vinta almeno supplicare. I vincitori concedono una piccola grazia a chi è debole, a chi è caduto giù….
— Parlate.
— Egli non vi domanda nella sua prigionìa, cibo, come ogni altro recluso, nemmeno una sedia nella sua cella egli vi chiede, ad Iba stesso fu concesso tanto vino finchè ne voleva, dopo avergli rubato il suo tesoro, ma voi non potete dimenticare ch’egli è il figlio della fiamma, voi non glie lo potete negare questo…. Io supplico la pietà della giustizia, a volere concedere che abbia la sua cella angusta un piccolo camino solamente, il suo camino, dove nacque, e dove sempre visse felice alimentato dal fuoco e dalla voce delle sue nutrici. Voi non dovrete pensare a fornirgli un solo tronco, io, io gli anderò ogni sera col fuoco perchè possa riscaldare le membra irrigidite, ravvivare i poveri occhi nelle gelide notti. Voi mi concederete questa grazia, che io vi domando…. inginocchiata.
— Su alzatevi, alzatevi signora Marchesa, la grazia vi è concessa, la cella avrà il camino che voi chiedete e vi sarà praticato un foro dal quale potrete passargli tutta la legna che vi parrà, e dal quale potrete ogni giorno vedere il vostro amante.
— Uh!
— Che manata di fango!
— L’ha ricoperta di fango!
— Fango? Mie buone amiche? Il signor Perelà udì un giorno dalla viva voce di voi tutte, pronunciare, con molta indifferenza, la parola amante.
— Non è vero!
— Bugiarda!
— Mentisci!
— Nessuna disse allora la parola fango. L’amante che quel giorno io non potei vantare eccolo, oggi lo vanto, siamo compagne.
— Sfacciata!
— Non è vero!
— Menzognera!
— La seduta è tolta.
— Addio mia cara Gelasia.
— Addio Zoe.
— Adieu mon ange.
— Che orrore!
— Oliva fino ad ora era quella che aveva meno fatto dire di sè.
— Ha voluto mettersi al corrente.
— Altro che!
— Sembrava tanto mite in quella sua malinconia….
— Così dolce….
— È impazzita mia cara.
— Bisogna convenirne.
— Bianca Delle Catene nel suo cimitero non fece un tale clamore.
— E il povero marito?
— Che ha taciuto sempre.
— Lo ha coperto di ridicolo come potrà più sollevarsi?
— E ora ridurrà la casa il magazzino d’uno spaccalegna.
— Le farà spaccare a suo marito.— I fanciulli, quando ella passa in vettura, le gridano dietro, e stamane quando è giunta tutti esclamavano: Madama Perelà.
— Che scempiaggine fenomenale ha mai commesso!
— Ah!
— Tu vieni stasera in casa di Nadina?
— Certamente.
— Ci vediamo mia cara.
— Ci vediamo.
— Non mancherà nessuno.
— Certamente, ah! sì…. Madama Perelà!
— Che peccato!