Quando la vedova del colonnello usciva per condurre a fare del moto la sua famiglia, intraprendeva invero una faccenda che a qualunque altra donna sarebbe riuscita molto difficile per non dire assolutamente impossibile. Ma questa donna avrebbe saputa sbrigare a dovere quella e ben altre faccende. Di mastodontica corporatura, bella ancora nella sua eccessiva robustezza, figlia della forte Romagna, nascondeva sotto il suo rigoglioso e virile aspetto, sotto la sua apparenza di burbera e intollerante, un immenso dolcissimo cuore, una grande anima aperta leale e generosa.

— Miei cari — soleva ripetere ai suoi amici — io vi vorrei vedere un po’ al mio posto, uscire con cinque ragazze di questa specie! Traversare il centro di una città, passare sotto migliaia di occhi indiscreti, dinanzi a tutti gl’imbecilli che vi si parano sul cammino. Se fosse vivo quel brav’uomo del colonnello potremmo almeno dividerci la razione! E le ragazze hanno bisogno del moto come del pane quotidiano, hanno bisogno di luce, di aria, questi diavoli! Provate a tenere fermo il vostro ferro; esso vi farà la ruggine, volete ch’io lasci arrugginire una stirpe di tale specie?

Non sembra dunque ch’io conduca le puledre sul mercato? Non vi faccio questo effetto? Mi sembra. Può darsi ch’io equivochi. Pensate ch’io non posso neppure servirmi di una vettura pubblica, nossignore, per condurle fuori, via, all’aria aperta, a scavallare un po’ queste bestiole; possono farsi strascicare per le strade sei donne a questo modo tutte sopra una vettura? Possono, dite voi? Per divenire la favola della città? Un carro simile? Per le strade della bella Firenze una biroccia carica di grazia di Dio come questa? Migliaia di imbecilli ci sventolerebbero i loro fazzoletti; non potendo più farci udire i loro ridicoli commenti. Fino a poco fa, vedete, la faccenda non era poi così complicata, ve ne erano delle bambine, ma ora sissignore, Valentina non ha che dodici anni e mi dà pensiero come le altre, s’ella non mi sembra già la più provocante di tutte nella sua fanciullezza. Noi marciamo due per due, sissignore, come le educande di Santa Dorotea.

Questa esuberante donna, facile ad esagerare anche nell’esprimersi, pure, quando parlava così non si può dire che esagerasse molto. Aveva cinque figlie la maggiore delle quali, Federica, non aveva ancora vent’anni; la seconda, Guglielma, diciannove; la terza Guida, diciassette; la quarta, Pietra, quindici; e l’ultima, Valentina, dodici.

Le prime quattro si rassomigliavano come gocce d’acqua, quattro belle creature bionde, rigogliose, dalle figure alte, morbide, slanciate, dai grandi occhi celesti, e con pronti e franchi sorrisi sulle labbra, anime aperte, allegre, sincere. L’ultima, Valentina, aveva invece dei bellissimi capelli neri, e grandi occhi azzurri pensosi, carni brune, ed era, nella sua candida espressione, un pochino triste, strano contrasto coll’eterna giovialità delle sorelle.

— S’io non fossi la donna che sono si direbbe che questa bella creatura non fosse di quel galantuomo. Si è mai visto gatte bianche partorire gatti neri? Suo padre voleva convincermi ch’essa è il ritratto della madre sua. Come due animali rossi hanno potuto mettere assieme questa creatura così nera? Sapreste voi dirmelo?

Questa vedova era stata, si vedeva ancora benchè prossima alla cinquantina, una magnifica donna, di quelle monumentali, dai lineamenti regali, dalla superba figura. Un felice impasto di popolo e di reggia. Il povero colonnello l’aveva conosciuta oramai vicina ai trent’anni e risoluta a non maritarsi più. In possesso di una grossa fortuna i pretendenti non le erano mancati; ma per il suo impetuoso carattere aveva sempre mandato sottosopra ogni cosa. Una volta fu chiesta da un giovine aristocratico, un po’ melenso e timidiccio; mentre ella gli andava incontro a mano tesa e il giovine brancolava per portarsela alla bocca e baciargliela, la ragazza sentendo in quel cincischiare la sua mano prossima alla faccia dell’individuo gli assestò un così solenne ceffone, tanto istintivo, ch’ella si chiese poi come fosse partito dalle mani. Alle sue strette bisognava essere prevenuti; voi provavate, prima, il netto distaccamento del braccio dalla spalla, dipoi, sentivate come migliaia di formicole circolare al posto del braccio che non sentivate più. Anche le sue risate erano favolose, altri le chiamerebbe addirittura sconvenienti, superavano qualunque frastuono, ed uscivano limpide, metalliche, che rivelavano la sua contentezza, la serenità del suo cuore.

Col povero colonnello, morto di un colpo apoplettico quando Valentina aveva appena quattro anni, nei momenti della massima comunione, dopo avere più o meno amorosamente discusso o parlato, o altercato, di faccende o di opinioni, finivano con una stretta di mano, ugualmente mortale da ambo le parti, ma che dimostrava la reciproca stima dei due focosi esseri. Cosa molto rara fra marito e moglie.

Quando ella, risoluta a non maritarsi più, s’imbattè in quella buon’anima, allora capitano d’artiglieria, alle prime parole avute con lui — ecco il mio uomo — disse, si scambiarono la prima di quelle strette, s’intesero, si amarono.

— Tutti pretendevano un’unione piena di baruffe e senza prole, sissignori, io e quel valentuomo c’intendevamo come il pane col formaggio e per la prole eccovi, quale sorta di creature siamo stati capaci di mettere alla luce del sole! La gente di questo mondo non apre la bocca che per dire delle bestialità. Il pover’uomo era un santo! Che anima! Che sangue! Per tutti i diavoli, era un uomo, non s’incontrano più che degli scarabocchi! Bisogna ricorrere ai tempi antichi! Pure è morto senza avere la sua sodisfazione. Dio non è giusto, ogni volta ch’io era per partorire, egli, preparava segretamente un bel nome per un fanciullo, sissignore, che per cinque volte ha dovuto assestarlo a delle piscione come queste, oh, egli non si prendeva la bega di cercarne un altro, in ultimo capì, il baggiano, che c’erano anche le donne al mondo, per sua disgrazia, che bisognava trovare dei nomi a doppio uso. Queste ragazze portano dei nomi come i maschi! Oh! povero galantuomo, ti dò la mia parola, ti avrei dato un novello Garibaldi! L’infelice mi cadde addosso come un cencio mentre disputavamo da buoni amici, mi cadde nelle braccia fulminato, era nato per questo, si vedeva bene, la sua faccia era un vulcano, il sangue gli invadeva la testa di continuo.

***

Quando la vedova del colonnello ancora giovane e bella, rimase sola, molti le furono attorno a consigliarle un novello matrimonio. La sua situazione, per quanto ricchissima, era delle più scabrose, con tante figlie.

— Volete ch’io ricominci il mio lavoro? E dove troverei ancora una vena di quel sangue? Credete ch’io potessi vivere con una marmotta chicchessia? Mi credete incapace a trarmi d’impaccio con queste piscione? Vedremo se io sono una donna!

Si era levata d’impaccio a meraviglia, l’unico esercizio che le pesava era quello di condurle a spasso; ella lanciava occhiate furibonde a chi sottolineava il passaggio o con sguardi troppo indiscreti o con parole troppo lusinghiere.

— Ti sembrano bocconi per i tuoi denti, pezzo d’imbecille che non sei altro? — Aveva qualche volta alzato l’ombrello da sole, e da acqua, sulla testa di qualcuno.

— Io spero che le mie fanciulle non cadranno nelle mani di questi piccoli fiorentinucci.

***

I bei frutti si maturavano rapidamente e i primi di essi, nella loro esuberante freschezza nei loro smaglianti colori parevano proprio dire: «coglieteci, non ci lasciate cadere». E la colonnella era il ricco ceppo ambulante che li sosteneva.

Era un po’ difficile rompere il ghiaccio, non per quelle care e belle creature, ma per la bollente madre, essa godeva, fra chi non la conosceva bene, una fama del tutto sbagliata, la si considerava come una donna terribile, e, qualche volta, un tantino volgare; bastava conoscerla per convincersi che di terribile in lei non c’erano che le parole, e che tutto il suo essere si sintetizzava in una sola parola: salute. Era molto difficile meritare le sue strette ecco, e i suoi scappellotti, che noi dobbiamo considerare come le carezze di un affetto impetuoso e sincero.

Due tenenti di artiglieria, forti e bravi giovinotti, fraternamente e saldamente uniti, impossessatisi a volo dei cuori di Federica e di Guglielma, tentarono da eroi l’assalto alla fortezza; essa rispose al primo attacco con mitraglia, ma al bell’aspetto florido e gaio dei due tipi, e tenuto conto di un debole speciale per quell’arma, la fortezza si arrese.

— Quest’artiglieria deve essere il Rubicone della mia famiglia! Da bravi giovinotti! — E picchiando sopra le spalle dei saldi artiglieri colpi da camerata la colonnella decise la sorte delle sue due figlie maggiori.

— La mia non è più una casa, è un arsenale! Venite pure a vedere! Queste bestie di artiglieri mi fanno il finimondo! — Eppoi con un sorriso pieno di gioia — È pur sempre simpatico il rumore degli speroni! Gran bella cosa! E questa masnada di donne non poteva durare di più, io mi sarei data la testa nel muro! Venite a vedere, le mie piscione si maritano!

Una volta in casa, i fidanzati, messero un ameno scompiglio. Guida e Pietra si fecero un po’ serie, un po’ crucciate, sentivano di rimaner sole e si appartavano malinconiche. Il loro sangue vivace dava loro una naturale irrequietezza.

— Eccole, tutte in amore le mie gatte! A che cosa pensereste mai, voi, signore piscione che avete ancora il latte sulle labbra?

Si respirava però un’aria già di matrimonio generale.

— Chi può fare tali proposte onoratamente? Volete ch’io metta le mie creature nelle mani di un satiro? A quindici anni si debbono maritare le ragazze? Ma in che mondo viviamo?

Quando Federica e Guglielma furono spose e partirono felici dietro i loro compagni, non passarono molti mesi che un certo avvocato si presentò di punto in bianco dalla colonnella e chiese risolutamente la mano di Guida. La madre ne rimase di sasso, ma la figlia sembrava prevenuta ed era raggiante nella sicurezza ch’essa non l’avrebbe ostacolata. Questo avvocato era un bel giovinotto bruno, ricco possidente palermitano.

— Palermo? Che discorsi mi fate? Andresti dunque fino a Palermo pure di attaccarti ad un idiota di uomo? E che cosa sono mai questi avvocati colle loro chiacchiere? Non è certo colle chiacchiere che si viene a far mercato da me.

— Ma Palermo è una magnifica città, mammina.

— Andare fin laggiù, in quella orribile Sicilia!

— Mammina, ma la Sicilia è un incanto, il paradiso terrestre.

— Cosa ne sai tu che ne senti parlare per la prima volta dal tuo avvocato?

— Eppoi verremo sempre a Firenze, spesso spesso, a trovarti, e tu verrai da noi, laggiù, vedrai com’è bello….

— Tu sei esaltata, questo tuo avvocato ti ha confusa la testa colla sua parlantina. Si capisce, è un incanto, è il paradiso della terra, naturalmente, si può benissimo andare fino al Messico per correr dietro a due calzoni! Scellerate! Voi non somigliate vostra madre! Nè a quella buon’anima del colonnello! Il vostro aspetto si smaschera non appena siate influenzate da un imbecille chicchessia. Sembrate delle monache frustate e non avete poi vergogna a mostrarvi furibonde per il primo idiota coi calzoni.

Ma anche l’avvocato siciliano, che era un bravo e simpatico giovinotto, ebbe i suoi buoni colpi sulla spalla dalla colonnella e Guida, poco più che diciottenne, partì beatamente per la sua Sicilia.

Un po’ di riposo eppoi doveva essere la volta di Pietra; (che nome povera piccina, mi pare che almeno questa volta il bravo colonnello poteva darsi la pena di assestargliene un altro). La madre la teneva ancora vestita da marinaio come una bimba, ed essa ne era mortificata. Malgrado i suoi diciassette anni sentiva il gran momento assai più vicino di quanto non lo pretendesse la madre.

— Ma che cos’hanno nel sangue queste infelici? Sono come delle bestie in caldo!

Un compagno d’infanzia di Pietra e delle altre, ma che aveva sempre avuta una particolare tenerezza per lei, benchè avesse quattro anni di più, aveva or ora finito il suo corso di scienze sociali, e si preparava a partire per un’ambasciata. La vedova del colonnello annusava già la fine di questa infantile amicizia e si preparava a scattare furibonda sopra il giovine che aveva conosciuto dalla nascita.

Una sera, dopo un pranzo dato ad alcuni amici, e al quale era stato invitato anche il futuro diplomatico, la colonnella li sorprese, lui e Pietra, in sentimentale colloquio dietro una tenda, nel vano di una finestra. I colpevoli vennero in faccia a tutti smascherati e minacciati della frusta.

— Che cosa sono queste tresche? Che cos’è la mia casa, il bordello universale? Avete tutti congiurato contro di me? Furfanti! Mi lascerete sola come un cane! Queste creature io le ho dovute precipitare, assassinare tutte, le ho dovute mettere nelle mani dei primi venuti, dei loro carnefici; prima che avessero terminato il loro sviluppo naturale! Dovranno pentirsene! Io allora farò loro l’uscio sul muso! Credete ch’io voglia essere la rovina delle mie povere creature? Cosa pretendi tu colle tue ambasciate, di trascinarmi questa vitella al macello? Nel centro dell’Africa? Fuori della civiltà? Fuori della mia casa? Io sono furibonda! Non conosco più ragioni! Questa orribile schiatta di animali mi ha fatto dar di volta al cervello! Rimango sola come una bestia! Queste rinnegate, una volta via, non scrivono più, non sanno pensare che ai loro despoti; la mia Federica ha già partorito il secondo figlio! Ma che diventerà mai questa casa! L’arca di Noè in persona! Questi insensati si riproducono come i conigli, che sanno? Non sanno nulla, che sia la vita! Ai miei tempi era ben diverso, ora tutto diviene caro in una maniera indegna! Si può pensare a maritarsi con tanta leggerezza? Eppoi gente di questa specie? Che posizione è mai questa della tua ambasciata? E questa creaturina dovrebbe venirti dietro alle ambasciate? Mai! Volete farmi venire un colpo apoplettico, come al colonnello? S’egli fosse vissuto, voi non avreste fatto di vostra testa, le mie sgualdrinelle, avrei ben saputo farlo rispettare io, quel povero baggiano! La mia opinione non conta più di una vecchia ciabatta qua dentro, queste spudorate hanno fatto tutte di loro capriccio, si sono lasciate tirar nel precipizio a occhi chiusi, io mi troverò sul lastrico per loro! Che bailamme è divenuto mai questo, con tutti questi mariti? Così sono fatte le belle ragazzine dei nostri giorni, a dieci anni non arrossiscono più, agiscono come donne qualunque, fanno cose da fare arrossire i carabinieri! E i genitori le trovano nascoste dietro le tende! Questa non è la fiera, fuori, fuori di casa mia!

Una di esse è a Torino, seguita a partorire figli come una gatta, e non pensa più a sua madre. Una è a Belluno, capite? a Belluno! Che cos’è mai questo paese di Zulù? Si può pensare che una delle mie creature vive a Belluno? Ho io ragione di darmi la testa nel muro? L’altra è a Palermo, in quell’orribile isola dei cataclismi, di tutti gli accidenti della terra! Zeppa di briganti! Questa vuoi tu condurmela in capo al mondo? Dove dunque? Dove? Fra i selvaggi? Io vi ripudio tutte! Io non ho più famiglia, ho partorito stirpe di serpenti, e ne pago caro il fio! Prendetevi dunque, andate all’inferno, ch’io non vi veda mai più, ch’io non senta mai più parlare di voi, assassini che non siete altro!

E così le quattro sirene bionde avevano lasciata la casa ed erano partite felici cogli amati compagni, accompagnate da molti scappellotti e grida della colonnella, che ormai era abituata così a carezzare le persone che amava.

Avvenne però che questa donna così esuberante ed espansiva, che sentiva bisogno di agitarsi di continuo per vivere, e di mettere a soqquadro tutto il suo mondo senza interruzione, era rimasta sola con Valentina che aveva ora giusti sedici anni. Questa ultima figlia, nel suo magnifico sviluppo era divenuta la più bella di tutte, ma aveva un carattere tranquillo taciturno a differenza delle altre, sentiva certo quanto e più di loro, ma non era così vivace ed espansiva quanto loro, non amava il chiasso e si mostrava affettuosamente rassegnata a quello, molto, che la madre le faceva dattorno. E la colonnella sbuffava, incapace di attaccare con questa creatura e di prendere i suoi sfoghi naturali indispensabili come il pane per la sua esistenza.

— Il mio sangue è tutto partito! È sparso per il mondo! Questa ragazza non ha il mio sangue nelle vene, io sono un pesce fuor d’acqua con lei! Dove sono le mie povere creature? Non si può fare un discorso in regola, che cos’è questa sorniona? È un libro chiuso! È una disperazione! Le altre erano aperte, si leggeva loro in fondo al cuore a guardarle! Come ha potuto venir fuori quest’animale dalle mie viscere? Si direbbe ch’io fossi stata conciata nel sonno. Questa fanciulla non ha sensi, è un marmo! Chi si può già fidare di certi tipi? Sono i peggiori! La mia signorina, sembra che voi non ne vogliate, io non mi fiderei per questo di voi, e mi aspetto sempre che ne facciate una delle belle!

Tutti questi quotidiani borbottamenti non approdavano a nulla, il terreno era sfavorevole e il seme del fracasso vi rimaneva sterile, la bella creatura rispondeva con gentili e buoni sorrisi, con monosillabi rispettosi e niente più.

Un giorno la colonnella, vicina a sentirsi crepare per mancanza di sfogo, uscì colla faccia congestionata, borbottando, sbuffando, gestendo; ne ritornò di lì a poche ore con una bella cagnolina in braccio, una piccola graziosissima fox-terrier.

— Ecco la mia creatura! Io potrò almeno sfogarmi un po’ con essa! Si può continuare a vivere con una sorta di persone come quella? Questa bastarda è la mia disperazione, mi vedrà schiantare e non darà un grido, non farà un gesto, la sua freddezza mi assassina!

La robusta vedova si sfogava ora colla bella cagnolina che si chiamava Burrasca, ed era di una vivacità scandalosa, sembrava avesse il mercurio nelle vene, proprio quello che ci voleva per lei; e le teneva discorsi, rimproveri, si abbaruffava con la bestiola, erano insomma due burrasche che andavano benissimo me per fare un temporale solo.

— Io non ho più che una figlia, la mia burrascuccia, l’anima mia, s’ella è carina quel demonio! Che avrà in corpo che non si ferma un minuto? Le mie figlie mi hanno rigettato o mi detestano, queste sono le nostre vere creature, queste care gioie ci amano davvero; e il loro amore è assai più disinteressato di quello della gentaccia di questo mondo! Ella mi salta addosso per darmi la sua anima, non pensa ad abbandonarmi, mi seguirebbe s’io me ne andassi al diavolo!

Un tenente di artiglieria chiese la mano di Valentina e gli fu concessa immantinente senza punto sbraitare stavolta.

— È la mia stella, ve l’avevo detto! Venite a sentire; il rumore degli speroni sulle mie scale! Mi pareva di vivere in un convento, questa bambinuccia poteva far la monaca senza sentirne sacrifizio.

Per il matrimonio di Valentina erano presenti tutte le sorelle coi rispettivi mariti e figli.

Rimasta sola la vedova del colonnello, sapete che fece? dispose per prima cosa di alzare di un piano la sua bella palazzina.

— Come si può alloggiare una tribù di questo genere? — Per le nozze di Valentina c’era chi aveva dormito per terra e sopra i sofà.

— La mia casa può da un momento all’altro essere ridotta in un ghetto autentico! Pensate s’essi mi capitano tutti in una volta per un accidente qualsiasi, dove posso io alloggiare quella banda? Vedete se quello che mi succede è di nuovo genere! Ora che mi hanno lasciata sola come un cane debbo alzare di un piano la mia casa.

Poi, rivolta alla sua burraschina che le si lanciava addosso come un bolide ogni due secondi, osservò che si poteva ben dare un cencio di marito anche a lei poverina. — Non hanno le bestie lo stesso istinto nostro? Non ha anche lei questo diritto poverina? E le mie figliole che sembravano delle sante Caterine unte non si sono nemmeno vergognate a farsi vedere fuori di sè come tante cialtrone. Oh! Io non sarò certo il tuo carceriere piccola anima!

E fu introdotto in casa uno sceltissimo campione della razza che si chiamò Libeccio; e la burraschina di lì a sei mesi partorì due graziose creaturine.

Spesso spesso la Colonnella si metteva in viaggio, una volta per l’alta Italia dove erano due delle sue figliole, e si tratteneva qualche giorno da ognuna. Scappavano fuori dei marmocchi da tutte le parti! Maschi, femmine! — Che stirpe! — Gridava — Che sangue! Quella buon’anima del colonnello! — Un’altra volta per la bassa Italia dove ne aveva altre due, una a Palermo, l’altra a Napoli. I nipoti, erano bruni come zulù, o biondi, dalle carni di oliva o dalle carni di rosa, di tutti i colori!

Pietra era andata col suo attaché a Parigi, ma la Colonnella non aveva ancora saputo decidersi ad andare fin là. — Verranno essi da me, alla mia età non è più possibile acconciarsi in una città di donne sudice come quella.

Quando ritornava a Firenze non si poteva dire che ella fosse più sola. Un’altra famiglia l’attendeva, ed aveva sostituito quella che poco per volta si era dispersa. E come avrebbe potuto vivere senza un po’ di fracasso d’intorno quel flagello di donna?

La Burraschina e Libeccio avevano avuto due figli: Grandine e Bufera, questi poi ne avevano avuti a loro volta tra loro fratelli…. e dalla Burraschina stessa, la qual cosa era stata così straordinaria per la vedova del colonnello che aveva ricoperta di vituperî la povera ed innocente Burraschina. E pian pianino di questo passo la famiglia a Firenze era giunta al numero di ventiquattro componenti. Ventiquattro esseri che sembravano di gomma elastica e che tutti saltavano con molta elasticità addosso alla loro amata signora. Dunque: Burrasca, Libeccio, Grandine, Bufera, Tramontano, Briscola, Scamuzza, Menelich, Lampo, Balilla, Culinsù, Schizzo, Folletto, Buzzetto, Belzebù, Trottola, Saetta, Musolino, Monachina, Pandemonio, Bizza, Frizzo, Vituperio, Terremoto.

— La mia famiglia se l’è portata via il vento, questa è la mia famiglia! Partorite delle figlie eppoi vedrete. Esse vi abbandoneranno come un cane rognoso; quando vi rivedono appena vi guardano, vi considerano quanto uno strofinaccio, e vi accarezzano se occorrono loro dei denari. Se direte loro una parola torta vi chiameranno carnefice, si daranno arie da vittime. Per queste invece siete Iddio, siete tutto! Potete batterle, credete che vi fuggiranno, nossignori, vi ameranno più che mai!

Due volte all’anno, per il Natale e la Pasqua, la colonnella riunisce per alcuni giorni, sotto il proprio tetto, al completo, le sue due famiglie. Verso la metà di dicembre e dopo la metà di quaresima incominciano a giungere le figlie, coi mariti figli balie bambinaie cameriere. I nipoti non si contano più, quasi come quelli dei cani!

— La mia Federica già quattro me ne ha scodellati di questi vituperî, vuol dare le paghe alla sua vecchia! Valentina è al suo primo ma non le mancherà il tempo.

Solo Pietra e il suo attaché non hanno ancora fruttificato.

— Che cos’è di voi due? Cosa sono queste arie da quaresima che vi date? Che fate mai in quella maledetta Parigi? È l’aria che vi ha reso sterili? Che cos’è mai quel pandemonio di città? Tutta rimescolata questa gente, le grida i salti le risa, un uragano, il finimondo! Credete che la vedova del colonnello si trovi imbarazzata in mezzo a tale cataclisma? Ella dispensa sculaccioni, scappellotti, strette di mano, colpi di spalla, riparando a tutto ed a tutti, presiedendo con un’energia spaventosa una riunione delle più movimentate. I generi le figlie i nipoti i cani le saltano addosso da ogni parte; e quando una delle famiglie, la regolare, è più o meno regolarmente seduta a mensa, l’altra, l’irregolare, circola irregolarissimamente sotto la tavola, fra le sedie, le gambe, salta sopra le ginocchia, si rimescola nel frastuono generale, e sulle onde di quell’oceano in burrasca di tanto in tanto si fa largo sopra tutti i rumori il varo di una di quelle belle risate sane e felici della colonnella.