I.
Mentre il signor Rénan sta elaborando le sue Vite degli Apostoli, vale a dire un secondo grand succès di gloria e di marenghi, già preconizzato e strombettato da tutti gli organi della fama mondiale, io mi permetto di pubblicare un modesto compendio della vita di Giuda Iscariota, altro degli apostoli di Cristo, non il più esemplare in quanto a condotta morale e politica, ma forse il più interessante per la singolarità del suo carattere e per la bizzarra varietà delle sue avventure.
Le biografie dei bricconi valgono quelle dei santi, anche in rapporto alla educazione del popolo. La vita di Giuda fornirà agli intelligenti e profondi speculatori delle umane vicende molti avvertimenti salutari.
La biografia di Giuda Iscariota si potrebbe anche intitolare: Metodo naturale e pratico per arricchirsi e camparsela felicemente in mezzo alle crisi ed alle agitazioni politiche dei tempi più difficili. Voi vedete che l’argomento può essere fecondo di utili applicazioni ai tempi che corrono.
Ciò premesso, entriamo in argomento.
II.
Giudaino, che più tardi assunse il nome di Iscariota, quindi si fe’ chiamare Bartolomeo Majocchi, nacque in un oscuro villaggio della Galilea, da una buona donna che negoziava di coloniali al minuto sotto l’antica Ditta Isacco Balaam e compagni. Quando il nostro Giudaino venne alla luce, la buona mamma era già vedova da quattordici mesi; e com’ella si era mostrata fino a quel giorno scrupolosamente fedele alle ceneri del marito, il cappellano gridò al miracolo, i villani credettero della miglior fede, e un triduo solenne fu celebrato a spese del Comune.
La madre di Giuda chiamavasi Bersabea o Bersibea—nome di origine caldaica, ma abbastanza espressivo anche nella lingua nostra. Era donna di temperamento vivace, inclinata alle bibite forti, segnatamente all’absenzio di Neufchatel, ch’ella fabbricava in segreto con una mistura di alcool, dulcamara e verde di rame.
III.
Giudaino, nel primo mese di sua vita, non dava alcun segno d’indole perversa. Qualche storico maligno pretende ch’egli poppasse il latte della grossa sua balia con avidità quasi feroce; ma questa calunnia è vittoriosamente combattuta da Giuseppe Ebreo e da altri scrittori contemporanei. La balia non lasciò alcun documento che comprovasse un’accusa tanto puerile. Commettete un assassinio a trent’anni, e i biografi, per dimostrare il vostro istinto malvagio, verranno ad asserire che avete ucciso e mangiato il vostro gemello nel grembo della madre!
L’indole di Giudaino non ebbe a manifestarsi che alcuni mesi più tardi, quando, ricondotto dalla nutrice al domicilio materno, egli diede prova di singolare ghiottoneria, immergendo la testa in un gran secchio di latte e miele, a rischio di morirvi soffocato. La buona Bersabea giunse in tempo a salvarlo, estraendolo dal secchio con molta avvedutezza, e facendogli sorbire un bicchierino di melange, che il bimbo trovò detestabile.
IV.
All’età di cinque anni, Giudaino fu mandato alla scuola; ma egli vi giungeva sempre in ritardo, quando il maestro aveva finita la lezione. Abbiamo sott’occhio le lettere di un suo zio brumista, dalle quali risulterebbe che lo sciagurato ragazzo perdesse il suo tempo nella strada giuocando a spannetta.
Nullameno, agli esami semestrali Giudaino ottenne il primo premio, con molto scandalo e molta indignazione per parte dei condiscepoli più studiosi. Più tardi si venne a sapere che il maestro si era lasciato sedurre da parecchi vasi di mostarda a lui regalati dall’allievo. È inutile avvertire che Giudaino aveva rubati quei vasi nella bottega di sua madre.
Ma il premio contestato da mille proteste e da mille recriminazioni, mise il ragazzo a puntiglio. Giudaino, che non mancava di intelligenza, in breve tempo superò tutti i condiscepoli nello studio del greco e del latino. A sette anni egli traduceva Cicerone e commentava Virgilio. A dodici anni sapeva fare dei versi; tanto che, venendo a passare nel villaggio il sotto intendente di Gerusalemme e prefetto degli studi, cavaliere Ponzio Pilato, Giudaino ebbe l’incarico di complimentarlo con un’ode saffica latina all’ingresso di un grande arco trionfale eretto per la circostanza. Ponzio Pilato, che non sapeva di latino, fu oltremodo sorpreso e commosso—accordò al professore la croce di San Maurizio, e volle che il giovane allievo lo seguisse a Gerusalemme, dove gli avrebbe accordata una piazza gratuita in un collegio di Ignorantelli.
V.
Giudaino accolse con giubilo la profferta, sebbene dovesse abbandonare nella solitudine e nel pianto la sua vecchia madre paralitica. Per consolarsi del crudele destino, alla vigilia della partenza, il fanciullo entrò nella bottega, aperse il cassetto molto gentilmente, e si imbottì le saccoccie di mutte piemontesi, moneta antichissima e alquanto sbiadita.
Ma, al posto delle mutte, il buon figliuolo depose un biglietto ripieno di parole affettuose per sua madre: «Consolati, madre mia dolcissima,—diceva lo scritto,—per divenir uomo completo, bisogna passare per le mani dei reverendi Ignorantelli; essi aprono la via alla fortuna ed agli onori del mondo. Mandami la tua benedizione per la posta con lettera franca, e col mezzo del cavallante qualche libbra di cioccolatte per addolcire i professori.»
VI.
Giudaino entrò nel collegio, e in breve divenne il Beniamino dei padri. Fece il corso di filosofia, applicandosi in specialità alla logica ed alla dialettica.
Imparò il giuoco della bazzica e del tresette, la dama, gli scacchi e da ultimo il tarocco;—divenne prefettone del collegio e segretario intimo del rettore, che aveva portati dal Belgio tutti i perfezionamenti della scienza umana; ma, sentendosi chiamato alla vita del secolo, un bel giorno si valse della protezione di Ponzio Pilato per riferirgli in confidenza certi segreti dello stabilimento, ch’egli conosceva meglio d’ogni altro convittore. Il collegio fu soppresso, e Giudaino, in premio delle sue rivelazioni, fu elevato al grado di sotto ispettore di polizia nell’undecimo circondario di Gerusalemme.
VII.
L’impiego fruttava poco e gli incerti divenivano molto rari, malgrado l’astuzia e la rapace antiveggenza del giovane sotto ispettore, il quale, entrando in carriera, non avea tardato ad apprendere da’ suoi superiori e colleghi il metodo più sicuro di quadruplicare le entrate, imponendo una contribuzione volontaria ai borsaiuoli ed alle donne di mal affare, a patto di chiudere uno o due occhi all’occorrenza. Ma il nostro Giudaino comprendeva i pericoli della sua falsa posizione. A quell’epoca, nella Giudea, cominciavano a manifestarsi i primi sintomi di ribellione al governo costituito. Giovanni Battista ed altri riformatori si creavano degli adepti colle prediche e colla moltiplicazione delle pagnotte. Gesù Cristo cospirava contro l’impero, e minacciava una repubblica democratica e sociale!—Gli ufficiali di polizia venivano dal popolo riottoso qualificati coll’ignobile titolo di due e cinquanta!
VIII.
Gli uomini intelligenti prevengono i tempi, e Giuda era una mente superiore. Piuttosto che lasciarsi destituire dall’imperiale regio governo, egli pensò bene di offerire spontaneamente le sue dimissioni, ritirandosi, com’egli diceva, dalla cosa pubblica. Questo nobile sacrifizio della pagnotta gli guadagnò qualche simpatia nella classe dei liberali—uomini di buona fede e di una ingenuità preadamitica fin da quei tempi!
IX.
Libero di sè medesimo, riconciliato alla parte più colta e più rivoluzionaria della popolazione, Giuda cominciò a meditare seriamente sulla propria posizione e sul proprio avvenire.
Egli conosceva assai bene il suo tempo e l’indole immutabile del cuore umano—la semente dei padri Ignorantelli era caduta in buon terreno.
—Vediamo che s’ha a fare per riuscire prontamente! Quattro idee luminose balenarono nella mente dell’astuto pensatore:—Sposare una vecchia con una dote di cinquecentomila franchi—concorrere al posto di ragioniere, cassiere, od amministratore generale presso qualche famiglia cospicua—farsi iniziatore e presidente di una o più società filantropiche, riservandosi il diritto esclusivo di custodire e sorvegliare la cassa—tentare le sorti della politica, lanciandosi arditamente nel campo della opposizione.
X.
Pensato, fatto.—Un bel mattino l’audace avventuriere si recò dal primo sarto di Gerusalemme, certo Prandonio detto lo Scortica, e, spacciandosi barone russo e segretario intimo dello czarre, ordinò quattro tuniche nuove di crine di cavallo, sei paja di calzoni collanti, quattro gilets all’ussera, e un magnifico turbante a coda di pavone.—Il buon Prandonio, cui non pareva vero di poter servire un barone russo segretario intimo dello czarre, in meno di una settimana preparò il sontuoso vestiario, e volle portarlo di persona all’albergo dei Blagueurs, dove Giuda aveva affittato un magnifico appartamento.
XI.
Poichè Giuda ebbe provati e riprovati gli sfarzosi abbigliamenti, si mostrò molto soddisfatto del sartore colmandolo di elogi, e promettendogli la sua alta protezione.—«Fra un anno tu servirai lo czarre e tutta la corte di Russia, e presto sarai elevato alla dignità di ciambellano, fors’anche di bascià a tre code secondo la piega della questione d’Oriente. Frattanto dammi il conto, e ripassa fra…. un secolo.»
Prandonio fece un inchino profondo, e, nell’estasi della sua gioia, ricusò di consegnare la nota richiesta. Una tale formalità, con un personaggio di rango sì elevato, gli pareva non solamente arrogante, ma anche superflua.
XII.
Giuda si pose allo specchio, vestì gli abiti nuovi, e parve un altro uomo. Quella mattina stessa il calzolaio Mosconio depose nell’anticamera cinque paia di sandali di pelle di castoro fiammanti di bottoni e di fibbie d’argento cristofle, poi ritirossi in punta di piedi, per paura che il russo avesse ad umiliarlo col saldo del conto.
A mezzogiorno, Giuda usciva dall’albergo trasformato completamente, sbuffando fumo d’avana negli occhi dell’albergatore e dei guatteri, che rimasero sulla porta pietrificati.
XIII.
Fece il giro della piazza, il capo rivolto al quinto piano delle case, una Guida di Gerusalemme nella mano e una immensa borsa di pelle a tracolla.
Vedendo che i borsaiuoli della città non riconoscevano in lui l’ex-ispettore di polizia, con cui molte volte avevano spartiti gli orologi ed i foulards, il nostro avventuriere prese coraggio—e, lanciandosi in una vettura da nolo, ordinò al cocchiere di dirigersi alla piazza Abimelecco, numero centoquarantatrè, alla porta della marchesa Sisara de Japhet.
XIV.
La marchesa era donna di circa sessantacinque anni, ma l’opinione pubblica si ostinava ad attribuirgliene una dozzina di più, tanto nelle apparenze corporee ella arieggiava il decrepito. Portava una immensa parrucca di peli rossicci, aveva le dentiere rimesse, e un occhio di cristallo della fabbrica Vernet e Compagni. Ma Giuda non era uomo da badare a cotesti accessori volgari della materia. La marchesa era ricca, milionaria, a dir di taluni. Ella rappresentava per lui l’incarnazione di un ideale vagheggiato.
Nelle inserzioni a pagamento dei giornali della sera, Giuda avea letto che la vecchia marchesa aspirava di tutto cuore ad un giovane e robusto marito. Quell’avviso, molte volte riprodotto a caratteri distinti, non poteva dar luogo ad equivoci. La marchesa si qualificava: madamigella di illustre progenie, piuttosto attempata, ma sana di mente e di corpo e dotata di cospicuo patrimonio, disposta a sposare un giovane di ragguardevole famiglia e fornito di sufficienti fortune.
XV.
Le attrattive di questo annunzio non erano abbastanza seducenti per destare una viva concorrenza fra i nobili celibatari di Gerusalemme.
Il nostro avventuriere ebbe la fortuna di essere il primo a presentarsi.
Immaginate la sorpresa, la commozione della illustre damigella, quando il maggiordomo venne ad annunziarle la visita del barone Iscariott de Judoff, segretario intimo dello czarre di tutte le Russie, ex-governatore di Malakoff, già ambasciatore presso la repubblica di San Marino, inviato straordinario e plenipotenziario per interim della Giudea e Provincie limitrofe, eccetera, eccetera!
Gli storici e i cronisti dell’epoca ignorano i particolari di quell’abboccamento.—Giuseppe Ebreo si accontenta di accennare il fatto con una certa affettazione di verecondia, la quale darebbe luogo a molte supposizioni piuttosto canagliesche. Fatto è che le nozze si conclusero per le spiccie. Ciascuno dei contraenti avea degli speciali interessi per affrettare la cerimonia.
XVI.
Appena il nostro Giuda si riconobbe proprietario di un mezzo milione e di un logoro e vecchio carcame di marchesa, assunse immediatamente l’amministrazione del ricco patrimonio, emancipando la dolce metà da qualunque vincolo o livello coniugale. Egli mise innanzi certe sue teorie di tolleranza e di annegazione, che alla marchesa parvero di cattivo genere.
XVII.
Les salons del principe Iscariott de Judoff si apersero a splendide feste. Il cavaliere e commendatore Ponzio Pilato, allora governatore di Gerusalemme, il vice intendente conte Caifasso, Don Anna il proposto della cattedrale, e molti cavalieri di antica e recente fattura, in una parola tutta l’aristocrazia della città e dei Corpi Santi affluiva negli appartamenti del nuovo titolato.
XVIII.
Ricevimento magnifico, buffet completo, musica eccellente, libertà illimitata.—A che buono rimescolare le vecchie istorie?—Ponzio Pilato nel presentarsi al barone russo, avea chiesto più volte a sè medesimo: dove mai ho veduto altra volta quel ceffo da forca?—poi, dubitando delle proprie reminiscenze, accolse il partito di lasciar correre.
—Non ti pare ch’egli somigli perfettamente ad un questurino dell’undecimo circondario?—chiese una volta al conte marito la contessa Caifasso. Ma il vice-intendente, che a due mascelle spolpava un fagiano levato in quel punto dal buffet, lanciò alla moglie un’occhiata fulminea, e Don Anna fece notare alla contessa come e qualmente il loro ospite illustre avesse il profilo dei Romanoff.
XIX.
Ma i bei giorni passarono veloci.
Il nostro barone, amministrando il patrimonio della sua dolce metà, fece le cose con tanto garbo, che al termine di sei mesi non gli restò più nulla da amministrare. La vecchia Sisara morì di crepacuore. Giuda che, fino a quel giorno aveva saputo dissimulare in faccia alla società l’orribile dissesto delle sue finanze, dovette alla fine smascherarsi. Gli anziani della parocchia domandarono un anticipo sulle spese delle esequie—e Giuda, per mancanza assoluta di quattrini, non potè accordare alla lacrimata consorte che un funerale di terza classe, a moccoli spenti e barella scoperta.
XX.
L’aristocrazia di Gerusalemme, scandalizzata dall’avvenimento, ripudiò ipso facto il barone. Ponzio Pilato, il vice-intendente Caifasso, il proposto Anna, tutti quanti si sovvennero dell’antico questurino, e chiamandosi mistificati da un audacissimo furfante, spedirono quattro carabinieri per arrestarlo. Ma Giuda, che aveva degli amici alla Polizia, fu avvertito in tempo utile, e mentre i carabinieri perlustrarono le sale interminabili del palazzo, egli usciva dalla città, e si avviava passo passo verso Cafarnao, come un borghese onesto che vada a prender aria.
XXI.
Dopo tre ore di cammino, giunse ad una casa isolata.—Picchiò—gli venne aperto. Intorno ad una lunga tavola sedevano cinque o sei pescatori, mangiando degli agoni fritti alla graticola.—Se possiamo servirla?…. disse il più anziano.—Con tutto il piacere! rispose Giuda, prendendo posto alla tavola. E in meno di due minuti divorò dieci dozzine di pesci, trangugiando le squame e le scaglie.
XXII.
—Se non m’inganno, disse Giuda, respirando dal pasto—se non m’inganno questa è frutta del lago di Como!… Non ho gustato mai agoni più squisiti!…
—Questi non sono pesci di lago nè d’acqua salsa, rispose gravemente il più anziano dei pescatori—Cantate Domino canticum novum! perocchè voi foste degno di mangiare gli agoni del miracolo!
—In verità….. miei buoni compagnoni….. io non giungo a comprendere… Permettete che io ne assaggi un’altra dozzina… tanto da capacitarmi…
—Prendete! prendete pure—et manducate ad satietatem quia mirabilia fecit Dominus! I cinque divennero cinquemila—e possono diventare cinquantamila—e forse domani saranno cinquemila milioni di milioni!
XXIII.
—Cospetto! incomincio a capire! pensò Giuda, cavando di tasca un astuccio e offrendo degli zigari alla compagnia.—Quel linguaggio misterioso….. quell’enfasi…. quelle citazioni latine…. Sta a vedere che io sono piombato in una loggia massonica della nuova setta! Ah!….. se fossi ancora poliziotto, che bella occasione per far danaro!…. che magnifico arresto! Giuda stette alquanto silenzioso meditando il partito da prendersi.—Poi, vedendo d’aver a fare con gente di buona fede, e riflettendo agli imbarazzi della propria posizione, risolvette di arrischiare tutto per tutto, e di tentare ogni mezzo per aggregarsi alla setta.
XXIV.
Uno dei pescatori il quale nomavasi Pietro, ed era il più autorevole personaggio della brigata, parve indovinare il pensiero di Giuda, e senz’altri preamboli, lo interpellò della sua vocazione:
—Uomo di dura cervice: siete voi pronto a seguire il divin maestro?—colui che è venuto ad esaltare il povero, e ad umiliare il possidente?
—Io non domando di meglio!….
—Colui che quando vuole, moltiplica i pesci come le arene del mare, tanto che i cinque diventano cinquemila?…
—Caspita!… affare eccellente!…
—Colui che cambia l’acqua in vino?…
—Colla crittogama che c’è in giro!… Amici miei… contatemi pure fra i vostri!…
—Ebbene! Benedictus qui venit in nomine Domini!—concluse Pietro imponendo le mani sul capo del nuovo apostolo. Giuda lasciò fare, e picchiossi il petto come un fabbriciere alla messa, biascicando fra le gengive una giaculatoria che aveva imparata da bambino.
XXV.
—Vediamo, ora, quale impiego si può darti nella comunità, riprese Pietro dopo breve silenzio. Sai tu leggere e scrivere?
—Vi dirò…. la calligrafia l’ho piuttosto buona…. So copiare…. so scrivere sotto dettatura…. Ma a dirvela in confidenza, io non oserei arrischiarmi in uno di quegli impieghi che si chiamano di concetto…. Il mio forte è, come dissi, la calligrafia—nella aritmetica, non faccio per vantarmi, credo che pochi mi stiano al pari—ho finito il mio corso di ragioneria a Gerusalemme, insomma ho tutte le disposizioni e le doti necessarie per essere un buon impiegato d’ordine… come a dire un amministratore, un cassiere, un sorvegliante dei registri…
—Un cassiere!… esclamò Pietro con visibile commozione. Che vi pare, apostoli colleghi?… non sarebbe omai tempo che la società avesse un cassiere?…
Tutti assentirono per acclamazione.
XXVI.
Giuda fece un risolino impercettibile a fior di gengive—poi con voce melata si arrischiò a domandare:
—Ma…. miei buoni signori…. cioè voleva dire…. miei buoni colleghi….. siete voi ben certi…. innanzi tutto… di avere… o di poter avere… una cassa?
Gli apostoli si guardarono in faccia, e parevano imbarazzati a rispondere.
—Non importa! esclamò Giuda riprendendo il suo fare da principe russo:—Createmi cassiere…. ed io… in mancanza d’altri… sì! penserò io a formare la cassa.—L’argomentazione è molto semplice—ed io, per adattarmi alla vostra capacità, qui, sui due piedi, voglio ridurvela a sillogismo.—Un uomo non può chiamarsi cassiere quando non abbia a sua disposizione una cassa—voi mi chiamate cassiere della vostra società—ergo io, conseguenza inevitabile, posseggo una cassa!
Gli apostoli, sbalorditi da questa logica altrettanto profonda che ardita, accordarono a Giuda l’impiego di cassiere, colla riserva di sottoporre la nomina all’exequatur del loro divin maestro.
Di tal modo il nostro Giuda scroccò l’apostolato, ed egli riuscì per qualche tempo a gabbare la buona fede dei santi colleghi, mostrandosi entusiasta delle nuove dottrine, e propagatore zelante delle idee più liberali e democratiche.
XXVII.
Nei caffè, nelle bettole, nelle piazze, egli predicava come un maniaco contro il dispotismo di Ponzio Pilato, contro i vili infamissimi arbitrii della imperiale regia Polizia. Commiserava il povero popolo, annunziava un’êra di abbondanza e di ricchezza universale; e mentre il Divino Maestro insegnava l’umiltà e la rassegnazione, la carità e il disprezzo dei beni terreni, Giuda istigava il povero ad insorgere contro il ricco, eccitava allo sciopero gli operai, declamava contro i padroni di casa, in una parola secondava nel popolo tutti gli elementi dell’ira e della discordia. Egli non aveva tralasciato di aprire delle soscrizioni estorcendo dal povero popolo i sudati risparmi della settimana. Di tal modo sarebbe riuscito a formarsi un buon fondo di cassa, se il divino maestro, edotto dell’indegna simonia, con un giuoco miracoloso della sua volontà onnipossente, non avesse restituito il denaro alle milleducento saccocce defraudate. Giuda, nel constatare il nuovo prodigio, fece una brutta smorfia del naso, anzi, a dire di alcuni storici—rimase con un palmo di naso!
XXVIII.
L’orribile vuoto della cassa suggerì all’Iscariota le più desolanti considerazioni.—Un codice, che, ammettendo l’uguaglianza sociale, impone che ciascuno si spogli volontariamente del fatto suo per donarlo ai bisognosi, non rispondeva alle naturali ed intime teorie del nostro demagogo. Egli avrebbe preferito un sistema più radicale e più spiccio: «Prendete ove c’è d’avanzo—fate vostro ciò che non serve agli altri—profittate d’ogni ben di Dio che vi capita sotto l’ugna».
Queste considerazioni alienarono dal divin maestro le simpatie del volubile apostolo. Onde avvenne, che non sapendo ritrarre verun profitto da una cassa eternamente vuota, dopo otto mesi di bolletta disperata, Giuda prese il partito poco onesto di denunziare tutta la setta, e vendere il divin maestro per la somma di trenta denari, equivalenti a due lire austriache e cinquanta centesimi.
XXIX.
La storia dell’infame tradimento è abbastanza nota ne’ suoi particolari più minuziosi, perchè altri si faccia a ripeterla. La notte del giovedì santo, Giuda cenò lautamente in compagnia de’ suoi colleghi apostoli; poi, uscito dalla sala col puerile pretesto di fumare una pipa all’aria aperta, prese tutto solo la via di Gerusalemme, e andò diffilato all’undecimo circondario di polizia per fare la sua denunzia.
XXX.
Il passo era piuttosto temerario. I nostri lettori ricorderanno senza dubbio come da parecchi mesi fosse spiccato dalle autorità di Gerusalemme un mandato di cattura contro il sedicente barone Iscariott, segretario intimo dello czarre delle Russie. Il processo dell’audace truffatore era stato dibattuto alla corte delle assisie, e, dietro il verdetto del giurì, il contumace condannato a dieci anni di reclusione per falso, truffa, usurpazione di titoli non propri, e libidine contro natura.—Il matrimonio con una vecchia settuagenaria a quei tempi era considerato delitto contro natura.
XXXI.
Ma i governi dispotici sono troppo informati alla moralità, per non far uso in certe occasioni delicate di eccezionali indulgenze. Giuda, espertissimo dei misteri di polizia, conosceva la storia di molti altri bricconi, i quali erano riusciti a farsi perdonare i più atroci delitti coll’innocentissimo stratagemma di accusare un galantuomo e fornire delle buone calunnie per farlo appiccare. Erode, Pilato, Caifasso, il proposto Anna, il procuratore del Re, i giurati, i legulei, gli scribi, i fabbricieri, i possidenti, gli usurai, in una parola la grande maggioranza degli uomini d’ordine e della moderazione, l’avevano a morte contro il capo della setta cristiana, e già da più giorni correvano sulle traccie di lui per farlo fucilare o crocifiggere senza processo.
Armato di tali considerazioni, Giuda si presentò arditamente al commissario superiore dell’undecimo circondario, e, senza perdersi in preamboli, si esibì di consegnare nelle mani dei carabinieri e delle guardie di pubblica sicurezza il capo della terribile congiura repubblicana.
XXXII.
Come si compiesse la nefanda perfidia, è noto a quanti hanno letto il catechismo. Giuda intascò il denaro dell’orribile contratto, tradì il divin maestro col perfido bacio, e poi, come se nulla fosse accaduto, si recò all’uffizio delle messaggerie internazionali, e prese un posto nel coupè della diligenza che partiva per l’Italia.
XXXIII.
Il signor Rénan nella sua Vita di Gesù ha dimostrato quanto vi sia di erroneo nella opinione di coloro i quali pretendono che Giuda si appiccasse ad una pianta di fico. Gli uomini che hanno tempra da Iscariota non commettono simili corbellerie. Citatemi un solo esempio di birbante, il quale siasi appiccato pel rimorso de’ propri misfatti!
Giuda possedeva del denaro. Oltre le due svanziche e cinquanta centesimi, guadagnate legalmente come prezzo del ragguardevole servizio reso allo Stato, i nobili e possidenti della città avevano aperto una soscrizione a di lui favore.—Nella notte dal giovedì al sabato di Passione, fu raccolta per l’obolo di Giuda la somma di tremila e cinquecento franchi—dei quali ottocento ventitre vennero incassati dall’apostolo, il resto andò perduto nei diversi uffizi dei giornali promotori e patrocinatori della colletta.
Ma Giuda non era uomo da badare a codeste inezie. Gli stava troppo a cuore di svignarsela presto da Gerusalemme e dai paesi limitrofi, dove un giorno o l’altro qualcuno de’ suoi antichi conoscenti avrebbe potuto rimeritarlo del bel servizio reso a Gesù.
XXXIV.
Partì dunque, come abbiam detto, colla messaggeria internazionale alla volta d’Italia. Visitò Napoli, la Sicilia, poi venne a Roma, coll’intenzione di stabilirvi il proprio domicilio permanente. Quivi, dopo il breve soggiorno d’una settimana, ricevette un bullettino d’invito pel servizio di guardia nazionale. Protestò, mise innanzi delle scuse, si dichiarò malato di itterizia midollare, ma il Consiglio di Disciplina fu inesorabile. Giuda per evitare l’incomodo di andare la notte in pattuglia, rinunziò alla splendida vita della capitale e recossi a Bologna.
XXXV.
I nostri lettori avranno già notato non senza meraviglia, come Giuda, fino a quell’epoca, fosse andato esente da quella fatale passione, cui tutti gli uomini ben organizzati vanno soggetti una o più volte nel corso della vita.—A Bologna, passeggiando sotto i portici, il nostro eroe vide finalmente una donna…. una vergine…. un cherubino!… Il cuore inveterato, quasi ossificato del traditore di Cristo, si infiammò come un mazzo di zolfanelli al contatto di una stufa. La giovinetta chiamavasi Camilla ed era figlia di un salsamentario, che a Bologna passava pel più distinto fabbricatore di mortadelle. Giuda passò venticinque volte dinanzi alla bottega lanciando, attraverso i salami della vetrina, delle occhiate temerarie. La giovinetta ingenua sbirciava, dietro un giambone, il galante forastiero. I due cuori si intesero. Appena Giuda potè leggere nel volto della fanciulla il sentimento di un affetto ricambiato, entrò nella bottega col pretesto di comperare cinque once di salato misto.—La ragazza ebbe il gentile e delicato pensiero di involgere la merce in una lettera tutta piena di frasi appassionate e di errori di ortografia.
XXXVI.
Le nozze si fecero presto. Ma essendo giunta fino a Bologna la notizia della orribile tragedia avvenuta a Gerusalemme, e il traditore di Cristo venendo designato dai fogli liberali alla esecrazione dell’universo, Giuda stimò bene di dissimulare la propria identità, e di assumere un nome di capriccio. Nel contratto di nozze, che ciascuno può esaminare quando gli piaccia nella grande biblioteca vescovile di Bologna, il nostro eroe si firmò Bartolomeo Majocchi, negoziante di baccalà all’ingrosso ed al minuto.
XXXVII.
Negli uomini di buona tempra l’amore non elide la speculazione. L’idea di stabilire a Gerusalemme un negozio di salami era balenata alla mente imaginosa dell’ex-apostolo, all’indomani delle sue nozze.
Camilla, in mezzo ai trasporti ed all’estasi dei primi amplessi coniugali, aveva dichiarato allo sposo di conoscere perfettamente l’arte di insaccare ed assodare la carne di majale. Il salame, questo genere di commestibile ignoto agli abitanti della Giudea e vietato dalle leggi mosaiche a buona parte di quella colta popolazione, poteva riescire un solletico anche ai palati più scrupolosi.—Affare eccellente!… Si faccia presto, e non si badi a pericolo!
XXXVIII.
Si fissò il giorno della partenza. Il padre della sposa fu molto contento di pagare in salami piuttosto che in danaro contante la dote della figliuola—e i due conjugi presero la via di Gerusalemme, trasferendo in quella città una dozzina di casse ripiene di prosciutti, codegotti, mortadelle, bondiole, e parecchie forme di cacio parmigiano… per assortimento dei generi.
XXXIX.
Prima di entrare in Gerusalemme, il sedicente Bartolomeo Majocchi entrò nella bottega di un parrucchiere, si fece radere la barba, si pose in capo una parrucca rossa, inforcò al naso un paio di occhiali verdi, si applicò due cerotti, l’uno alla pozzetta del mento, l’altro nel mezzo della guancia sinistra, e così trasformato salì di nuovo in carrozza per proseguire il viaggio.
—«Ho dovuto mascherarmi perchè nessuno mi conosca a Gerusalemme, disse Giuda alla moglie—tu sai il proverbio, nemo propheta in patria—sarei anzi tentato di prendere un nome francese… Basta!… a suo tempo vedremo..?»
La Camilla, che era furba come una bolognese, non volle saperne d’altra spiegazione. I due conjugi, appena arrivati a Gerusalemme, presero in affitto una magnifica bottega sul corso Mardocheo, la decorarono con ottimo gusto, e in termine di una settimana, precisamente il giorno di S. Michele, ne fecero la solenne apertura.
XL.
L’insegna del nuovo Stabilimento produsse grande effetto. In essa era scritto a cifre dorate: Alla Bolognesina, grande assortimento di salati—specialità: mortadelle di Bologna e codegotti di Morbegno—Dejeuners a la fourchette, Un franc, compresa la tazza Chiavenna—fuoco, stuzzicadenti e seggiole—Cabinets particuliers pour le deux gratis séxes—Sophàs et fauteuils à discretion.—
Tutta Gerusalemme si accalcava nei primi giorni dinanzi alle vetrine. Il sedicente Majocchi ebbe la soddisfazione di vedere non pochi borsajuoli, sue vecchie conoscenze, far l’orologio e il foulard agli ammiratori più fanatici del suo negozio.
XLI.
Camilla, abbigliata con molto sfarzo, sedeva al banco per iscambiare le monete. I lions, gli uffiziali di cavalleria e gli studenti dell’Università la fulminavano di occhiate attraverso i cristalli. Il marito non vedeva, e agitando una immensa sciabola, passava in rassegna le mortadelle. La curiosità dei Gerosolimi fece il suo sfogo in una settimana; ma il salsamentario non si chiamava molto soddisfatto del proprio commercio.
Qualche neofito della nuova setta cristiana, il proposto don Anna, cinque o sei canonici della cattedrale e la moglie del vice intendente Caifasso, erano i soli avventori della bottega. La contessa di Caifasso aveva altresì profittato dei gabinetti particolari in compagnia di un tenente degli usseri.
La grande maggioranza dei cittadini, costituita da Ebrei superstiziosi e testardi, vedeva di mal occhio quella scandalosa mostra di salami nel luogo più frequentato della città. Gli scribi e i farisei mormoravano—e tutte le sere, nel momento in cui Giuda saliva sullo sgabello per accendere il lampadario, qualche fanatico si arrischiava di lanciare delle pietre contro le invetriate.
XLII.
L’Iscariota, filosofo profondo, incominciò a riflettere sui pericoli della propria situazione, e a cercare qualche provvedimento.—Questi ebrei, pensava egli, saranno la mia rovina. Ah! se avessi potuto prevedere… Ma… basta!… ciò che è fatto è fatto! Quel Cristo era un grand’uomo… un gran legislatore… Egli permetteva la carne di majale… Decisamente ho avuto un gran torto a denunziarlo!…
L’Iscariota, dopo una lunga meditazione sulle diverse religioni considerate nei loro rapporti colla carne di majale e più specialmente col salame, finì per innamorarsi del Cristianesimo, come quello che poteva immensamente favorirlo ne’ suoi interessi commerciali.
XLIII.
Una mattina, essendo venuti a Gerusalemme gli Apostoli Pietro e Giovanni a predicare la nuova legge, Giuda si presentò ad essi per chiedere il battesimo, e fu battezzato in fatti sulla pubblica piazza insieme con altri convertiti.
In quel giorno il nostro avventuriere fece il suo colpo di stato. Compiuta la cerimonia, egli invitò gli apostoli e tutti i nuovo-battezzati a far colazione nel suo negozio. Pietro e Giovanni lodarono le mortadelle—trovarono eccellente la birra—e promisero di far ricapito al negozio ogni qualvolta si recassero a Gerusalemme per la predicazione.—D’allora in poi non fu celebrato un battesimo in Gerusalemme senza che gli apostoli e i nuovi cristiani non chiudessero la cerimonia con una colazione di salame Alla Bolognesina.
XLIV.
Il Cristianesimo fece progressi—la predicazione degli apostoli si estese alla Grecia, alla Turchia, all’Italia, all’Inghilterra—i missionari presero coraggio per tentare nuove spedizioni in lontani paesi.—Bartolomeo Majocchi col suo zelo, col suo fervore religioso, coll’esempio frequente delle pratiche devote, seppe acquistarsi tanto credito presso gli apostoli, ch’essi lo crearono Provveditore Generale della Società de Propaganda Fide. Da quel momento la fortuna dell’Iscariota fu stabilita. Egli cominciò a negoziare all’ingrosso. Aperse delle botteghe a Corinto, a Costantinopoli, a Parigi, a Londra, a Pietroburgo. I principali banchieri di Europa si associarono come azionisti nella impresa; e i titoli della Rendita Salami furono per qualche tempo i più ricercati alla Borsa.
XLV.
In tal modo l’allievo dei padri Ignorantelli, il Giuda ex-questurino, il cavaliere di industria processato e condannato alle assisie, la spia degli apostoli, il venditore di Cristo, ladro, falsario, paraninfo…. della propria moglie—non solo era divenuto milionario, ma godeva nell’opinione pubblica il massimo credito, ed era citato come tipo di onesto negoziante, di eccellente marito, di buon padre di famiglia.
Tutte le mattine si alzava di buon’ora per assistere alla prima messa; frequentava i sacramenti—alla terza domenica di ogni mese intuonava l’alleluja in coro e portava il baldacchino—prestava tutte le coperte e i lenzuoli della famiglia per pavesare le contrade il giorno del Corpus Domini—alla domenica spiegava la dottrinetta ai ragazzi…
XLVI.
Tale fu la condotta di Giuda Iscariota dopo il suo ritorno a Gerusalemme—e così visse fino all’età di anni novantaquattro e dieci mesi, ricco, beato, padre di bella e robusta prole, amato e rispettato da ogni ceto di cittadini. Morì della gotta per abuso di pollami—lasciando alla vedova ed ai figli un patrimonio di dieci milioni in denaro suonante, venticinque milioni in cartelle dello stato, ed altri ventidue milioni in lardo, baccalà, olio di Nizza, caviale, sardines di Nantes e salumerie di vario genere.
A nessuno, fra i tanti che avevano frequentata la sua bottega pel corso di quarantacinque anni, venne mai in sospetto che il sedicente Bartolomeo Majocchi, o De Majocchi, come si fece chiamare più tardi, fosse il famigerato Iscariota, oggetto di esecrazione, di abbominio a tutto il genere umano. Il solo Don Anna, che aveva naso da canonico, nutriva qualche dubbio in proposito, ma non osò mai manifestarlo neanche agl’intimi amici.
Il ghiotto prelato doveva al Majocchi più di duemila e seicento franchi per vari generi di commestibili presi nella bottega.—Egli amava troppo le lingue di Zurigo e i mascarponi di Codogno, per disgustare un creditore, il quale era pronto a notare per tempo indeterminato.
XLVII.
I funerali di Bartolomeo De-Majocchi si celebrarono a Gerusalemme con pompa non più veduta, e nella epigrafe piramidale esposta sulla facciata del tempio, il di lui nome per la prima volta si vide accompagnato col titolo di conte.
Fatto è, che dopo la morte dell’istitutore, il negozio detto della Bolognesina restò chiuso parecchi giorni per riaprirsi sotto la nuova ditta Barabba e Compagni. La vedova De Majocchi si ritirò dal commercio cedendo la bottega e l’avviamento al suo primo garzone di macelleria. Maritò l’unica figliuola al figlio primogenito del governatore cavaliere Ponzio Pilato, indi lasciò Gerusalemme per chiudersi in una sua villa sul lago di Como, dove fino alla morte attese agli esercizi spirituali in compagnia di un frate gesuita.
La De-Pilato, unica ereditiera dell’immensa fortuna, menò brillantissima vita, continuando la tradizione paterna quanto a condotta politica e religiosa. Le sue sale erano convegno della più eletta aristocrazia e dei più alti dignitari ecclesiastici. E quando ella, per capriccio o per spirito di opposizione, rifiutava di concorrere a qualche opera pia, o negava il solito tributo alla Cassa di San Pietro, i preti non mancavano di ripeterle: vostro padre… quello sì ch’era un sant’uomo… e Dio gli ha dato del bene!…
XLVIII.
Qui la nostra istoria finisce—e noi ci ritiriamo senza aggiungere commenti, lasciando che il lettore formoli spontaneamente il suo concetto morale per applicarlo alle difficili emergenze della vita pratica.
Abbiamo scritto con verità e con giustizia.—Se qualcuno credesse scorgere in questa biografia qualche errore di nomi o di date, o qualche madornale anacronismo, venga, per le spiegazioni e per le rettifiche, a fare una visita al nostro domicilio. Ovvero, senza prendersi questo incomodo, giri un’occhiata intorno a sè, cerchi, fra i suoi conoscenti ed amici gli uomini che, sôrti dal nulla si fecero potenti, che divenuti potenti ottennero fama di galantuomini, ed ebbero maggior agio di fare il birbone… Lettori, confessatelo—nella vita di Giuda che io vi ho narrata l’anacronismo non può sussistere—perocchè i Giuda sieno le figure predominanti di tutte le epoche—ed abbiano un tipo troppo marcato perchè la storia possa sfigurarlo od esagerarlo.