— Eccomi, — disse il dottore Cadeo, avvicinandosi all’ufficiale sanitario che gli sussurrò qualche parola all’orecchio.

Il dottore fece un segno affermativo col capo e soggiunse a voce bassa ma percettibile: — Anzi è quello che desidero.

Indi riprese il suo posto dietro la poltrona ove Clara Falerno sedeva, col busto alquanto proteso in avanti, con le mani scarne piantate sulle ginocchia a guisa d’artigli, pallida come uno spettro, misteriosa come una sfinge.

Da una settimana Clara Falerno non si moveva da quella camera. Per cinque giorni e cinque notti, senza chiuder mai occhio, senza prender nulla fuor che il necessario per non morire d’inanizione, ell’aveva vegliato la sua piccola e leggiadrissima Olga, malata di difterite; successa poi la catastrofe al mattino del sesto giorno, non c’era stato verso di toglierla di là.

Avevano un bel ripeterle su tutti i toni ch’ella doveva pensare agli altri suoi figliuoli, che doveva pensare al marito lontano, alla madre vecchia; ella replicava con una calma che metteva spavento che gli altri suoi figliuoli stavano bene, erano dalla nonna, giuocavano forse, ridevano, che suo marito e sua madre non avevano bisogno di lei…. Nessuno aveva bisogno di lei, tranne la sua Olga.

E Clara, vietando agli estranei di toccar la piccina, l’aveva col solo aiuto della Silvia, la cameriera, lavata, vestita, adorna come per una festa, composta nella cassa di zinco, con le manine in croce, coi lunghi capelli biondi fluenti sul petto.

Nè il pianto, il pianto che lenisce le angosce supreme, aveva bagnato il suo ciglio, nè un gemito era salito al suo labbro nell’ora terribile dei funerali. Solo la si era vista accostare rapidamente la destra al cuore, come se dentro di lei qualche cosa si fosse spezzata. Mentre la cameriera singhiozzava con la testa appoggiata al muro, ella, la madre, ritta ed immobile, seguiva con lo sguardo la bara portata via di contrabbando nel silenzio pauroso della notte. Passava la bara per le stanze vuote, rischiarate appena qua e là da un mozzicone di candela, impregnate dall’odore acuto delle disinfezioni; scendeva le scale deserte, era caricata in silenzio sulla barca nera, si dileguava nel canale tenebroso. Nessuno era venuto a salutare la fanciulla che partiva per l’ultimo viaggio, nessuna delle compagne di giochi deponeva un fiore sul feretro….

Fin da quando si era saputo che la Olga aveva la difterite, la casa Falerno era stata posta al bando. I conoscenti, gli amici, pur compiangendo sinceramente la bella bambina e la madre che l’adorava, si limitavano a mandare a prender notizie alla porta di strada, ordinando al domestico di non salire. Altri le notizie le facevano chiedere alla signora Pino, la nonna della piccola inferma, e i più solleciti e più curiosi cercavano di parlar con la vecchia signora e di aver da lei maggiori particolari.

Ma nemmen la signora Pino aveva varcato la soglia dei Falerno dopo il primo giorno della malattia. Nel consegnarle i due fratellini dell’Olga, Clara le aveva detto: — Va, va, custodiscili, salvali, e non venir qui, e non passar per questa strada, fin ch’io non ti chiami.

E respingendo brutalmente i bimbi che volevano un bacio: — No, no, — ell’aveva soggiunto. — Con la nonna subito, con la nonna.

Insieme con Clara, oltre a due persone di servizio, non era rimasto che il cognato. Ci era rimasto di malavoglia, per riguardo del mondo, giacchè fra le molte paure del signor Giovanni Falerno, giudice al tribunale civile e correzionale, c’era anche quella dell’opinione pubblica; e l’opinione pubblica l’avrebbe condannato senza pietà, s’egli, che viveva in famiglia, se la fosse svignata proprio in quell’occasione. Però, in ossequio al sequestro fiduciario posto dal Municipio, il signor Giovanni, durante la malattia della nipote, non aveva mai messo piede nelle camere di Clara, e aveva passato il tempo a far suffumigi e lavacri antisettici. Anzi egli esalava un tal puzzo d’acido fenico che una mattina il presidente gli aveva detto: — Caro Falerno, lei appesta il Tribunale. Le accordo io  una licenza straordinaria, e se occorrerà le manderò da lavorare a casa.

Morta la bimba, il dottore Cadeo, pensoso più ch’altro dello stato di Clara, era ricorso al degno magistrato come al parente più vicino di cui si potesse disporre.

— Si muova anche lei…. Mi aiuti a scuoter quella povera signora…. Eserciti la sua influenza…. La persuada a coricarsi.

Il giudice aveva sollevato degli scrupoli di legalità.

— Come si fa?… Quelle camere sono ancora sotto sequestro. Se ci vado e poi esco di casa, manco a un impegno morale…. D’altra parte, non posso mica restar prigioniero…. Ho già trascurato troppo l’ufficio…. Senza dire del pericolo…. non per me…. ma per le molte persone con cui mi trovo in contatto.

Il dottore s’era impazientito. — Eh, non tiri fuori questi cavilli…. La responsabilità verso il Municipio l’assumo io…. E, in quanto al rimanente, le prometto di disinfettarla per modo che nessun microbo avrà il coraggio di appiccicarsele addosso.

Messo alle strette, il signor Giovanni aveva finito col lasciarsi rimorchiare, e stando alle calcagna del medico dava qualche capatina da sua cognata. Ma volendo pur sfogarsi con qualcheduno se la prendeva in cuor suo col fratello lontano.

— Quando si abbraccia una carriera che costringe a peregrinazioni continue, si rinunzia al matrimonio. Non è lecito aver moglie e figliuoli per far poi a scaricabarile e gettarne la cura sulle spalle ai parenti…. Perchè, non dico, sarà certo un gran colpo per mio fratello il ricevere allo Zanzibar la notizia della morte della sua bambina; ma intanto lui comanda la sua corvetta, lui vede nuovi paesi, ha mille distrazioni, non compirà il suo giro che fra un anno o due, e al ritorno, dopo tanto tempo, il peggio sarà passato…. Le maggiori tribolazioni le hanno quelli che sono sul posto, e che, via, avrebbero diritto alla loro quiete…. Sicuro, anche Cadeo, povero diavolo, da sette giorni trascura la sua clientela per esser qui a tutte le ore…. Ma Cadeo è medico e tra gli uffici della sua professione c’è pur quello di sacrificarsi in casi eccezionali…. E poi i medici hanno l’abitudine di vivere in mezzo alle disgrazie; hanno l’autorità, hanno il linguaggio adattato alle circostanze…. bellissime cose ch’io non ho…. nemmeno con mia cognata.

E, invero, Clara Falerno, donna di spirito, moglie d’un uomo pieno di fuoco, d’energia, di coraggio, non aveva mai mostrato un’eccessiva deferenza pel cognato pusillanime ed egoista, nè s’era mai rivolta a lui per consiglio, durante le frequenti assenze di suo marito. Piuttosto, alquanto sarcastica per sua natura, ella si divertiva spesso a farlo bersaglio de’ suoi motti pungenti.

Ora Clara non badava nè a lui, nè a Cadeo. Di fronte alle loro esortazioni e alle loro preghiere, ella s’irrigidiva in una resistenza che solo la forza brutale avrebbe potuto vincere; e il medico prudente esitava ad usare la forza.

— Verrò da me…. più tardi, — ella diceva aggrappandosi stretta ai bracciali della poltrona e parlando di preferenza al dottore. — Lo so, non c’è più niente, non posso far niente, ma mi trovo bene qui…. E prendo anche di tratto in tratto una tazza di brodo…. Domandi alla Silvia, dottore…. Non abbia paura ch’io mi ammali.

E sul volto emaciato appariva l’ombra d’un sorriso. Ah, che male faceva quel sorriso a vederlo!

Il giudice tirava Cadeo per la falda del vestito.

— Ha inteso? Dice che verrà da sè. È meglio aver pazienza ed andarsene…. Non si fa che inasprirla.

Ma Clara non aveva mantenuto la sua promessa, e poche ore dopo il funerale, il medico era tornato alla carica.

— Senta, signora Clara, presto capiteranno quelli dell’uffizio d’igiene…. Sa…. Nei casi di malattie contagiose, gli oggetti, le masserizie che hanno appartenuto alle persone colpite dal morbo devono esser disinfettati o distrutti…. Bisognerà sgombrare questa camera….

— E perchè non potranno incominciare in presenza mia? — interruppe Clara.

— Come? — esclamò Cadeo. — Strapperanno le tende, porteranno via i mobili, ed ella vorrebbe esser presente?

Ella alzò la faccia sparuta e disse lenta e grave, sottolineando ogni parola:

— Iersera hanno portato via qualche cosa di più prezioso dei mobili, e io ero presente, e sono stata forte.

— Tanto forte…. troppo forte, — ribattè il dottore. — Non la voglio così…. Voglio vederla piangere.

Con una logica inesorabile, Clara rispose:

— Se non piango in questa camera…!

E le sue pupille vitree guardavano intente il lettino vuoto.

Ma la frase ch’ell’aveva pronunciata fu pel medico come un raggio improvviso di luce. Se non piango in questa camera! Ella stessa invocava dunque le lacrime e sentiva che fuori di là, le sarebbe stato ancor più difficile spargerne! Ed egli (oh, il fine psicologo!) egli che una crisi di lacrime reputava necessaria, indispensabile alla ragione, alla vita della sua cliente, egli insisteva per allontanarla!

 

II.

Autorizzato dalle parole del dottore, l’ufficiale sanitario sollevò la pesante portiera di drappo, dietro alla quale, in un angolo della stanza, erano raccolti i giocattoli della bambina.

Clara trasalì; le sue dita ceree, affilate parvero affondarsi nelle carni attraverso la stoffa del vestito.

Cadeo rimase impassibile. Ma il signor Giovanni ch’era in fondo alla camera, sgattaiolò silenziosamente. O perchè lo avevano chiamato? Che ci faceva lì? A lui certe cose stringevano il cuore.

Uno dopo l’altro, con un’ostentazione crudele i giocattoli passavano dalle mani dell’ufficiale sanitario in quelle d’un inserviente che li riponeva in un sacco di tela incatramata. A Clara nulla sfuggiva.

Ecco il cerchio che l’Olga (erano appena otto giorni dall’ultima volta) si divertiva a far correre lungo i viali del Giardino Pubblico. Correva il cerchio saltellando sulla ghiaia minuta, e la fanciulla, più vaga e leggera d’una farfalla, correva e saltellava con esso. La seguiva a breve distanza la madre, e la gente guardava con simpatia quella madre ancor giovine e bella, quella bimba vispa, fresca e gentile….

Ecco la palla di gomma che co’ suoi sbalzi capricciosi aveva rovesciato tanti ninnoli, rotto tanti vetri, colpito o sfiorato tante teste, provocato tante lotte incruenti fra l’Olga e i fratelli minori…. Da qualche tempo però la palla era scema dell’antica baldanza, non brillava de’ suoi colori vivaci, non aveva la sua irrequietezza febbrile e nervosa; e Olga sollecitava sempre la mamma a comprargliene una di nuova. — Te la comprerò, caro tesoro.

Ecco la linda cucinetta, ecco i piattini di stagno ove Olga apparecchiava e serviva i pasti frugali a Jolie…. poca farina impastata con l’acqua….

Ed ecco Jolie….

Un lieve fremito scosse le membra di Clara allorch’ella vide Jolie; le sue palpebre vibrarono, i suoi denti stridettero.

Le pareva ieri. Suo marito doveva partir la sera per Roma affine di conferire col Ministro prima d’imbarcarsi alla Spezia. Ella era uscita con lui e con l’Olga. Erano entrati in una bottega di giocattoli, avevano preso una scatola di cubi per Mario, una mezza dozzina di soldatini infrangibili per Giorgetto che mostrava istinti belligeri; all’Olga avevano lasciato scegliere una bambola di suo gusto. Ed ella, fra varie, aveva scelto questa, e l’aveva battezzata subito per Jolie, ch’era il nome d’un’altra già posseduta da lei e finita tragicamente nell’autunno, in campagna, sotto le ruote d’un carro. Co’ suoi capelli di stoppa, il suo nasino schiacciato, il suo sorriso stupido, la nuova Jolie non era il tipo della bellezza greca; pur non mancava di pregi; poteva star ritta, seduta, in ginocchio, moveva gli occhi, diceva, premendole una molla nel ventre, mamma e papà; inspirava insomma quella fiducia che sogliono inspirar le persone sane di corpo e sane anche, se non raffinate, intellettualmente.

— La terrai con cura? La conserverai sin ch’io torni? — aveva chiesto il babbo all’Olga.

E l’Olga aveva promesso di sì.

A Clara, che rammentava la vita breve delle puppattole precedenti, la promessa era sembrata assai temeraria; pure era un fatto che, in otto mesi Jolie non aveva sofferto troppe avarie. Una piccola echimosi alla testa per una caduta accidentale, una slogatura ad un braccio, una paralisi all’articolazione d’una gamba, una frattura interna che rendeva tardo e difficile il funzionamento della molla, quest’era tutto. Jolie non si reggeva più nè in piedi, nè seduta, nè in ginocchio, Jolie non moveva più gli occhi, non diceva più che in modo confuso mamma e papà; ma del resto Jolie godeva buona salute e manteneva inalterato il sorriso ch’è indizio d’umore sereno e pacifico.

Olga l’amava con passione. La mattina il suo primo pensiero era quello di domandarle se aveva dormito bene: poi c’era la toilette che si rinnovava più volte nella giornata, giacchè Jolie possedeva un ricco corredo estivo e invernale; poi la colazione, le visite, il desinare, la cena; infine, la sera, l’Olga non si coricava se non aveva spogliata e messa a letto la bambola coprendola di panni gravi o leggeri a seconda della stagione. Nella mente della fanciulla Jolie doveva essere associata alle gioie e ai dispiaceri della famiglia; portava gli auguri nei dì onomastici e natalizi, si rallegrava del parto felice della gattina di casa, si doleva del mal di denti della cameriera, univa i propri saluti a quelli che l’Olga inviava al babbo…. E se il babbo, nelle sue lettere, dimenticava di corrispondere all’atto cortese, l’Olga se ne risentiva come di offesa fatta a sè stessa e cercava di consolarne la sua favorita.

Che più? Durante la sua malattia, nei brevi intervalli tra due accessi di febbre, l’Olga voleva Jolie sul suo letto, le parlava con la sua voce fioca, le chiedeva scusa se non s’occupava di lei come il solito, le prometteva di risarcirla, dopo guarita, della sua forzata trascuranza. E qualche ora prima di morire, scotendosi un istante dal suo sopore letargico, ell’aveva balbettato: — Jolie ha freddo.

Tutto ciò ricordava la madre mentre Jolie spariva nell’ampio sacco, insieme al cerchio, alla palla di gomma, ai piattini di stagno; ricordava tutto ciò e le pareva che dal fondo del sacco la chiamassero: — Mamma! — e le pareva di riudir le parole: — Jolie ha freddo.

Ella si voltò verso Cadeo quasi per interceder grazia. — Dottore, anche la bambola?…

— È necessario, cara signora.

Clara si coperse il viso con le mani. — Dio mio, Dio mio!

E pure, a poco a poco, il suo dolore muto, concentrato, pietrificato si rammolliva, si scioglieva in un’immensa pietà di sè stessa e degli altri…. del marito, dei figliuoli, della madre, della casa…. la casa ove Olga non c’era più.

Ancora il suo ciglio era asciutto, ma ella sentiva le lacrime salire, come la terra sente l’acque profonde cercanti un’uscita. Salivano le lacrime, le facevano gruppo alla gola, s’annunciavano con un singulto spasmodico, prorompevano infine calde, impetuose, abbondanti.

— Signora Clara, — sussurrò con dolcezza il dottore Cadeo.

Ella non rispose; gli prese la mano e gliela strinse forte.

— È persuasa adesso di venire? — egli continuò.

Docilmente ella si lasciò condur via dal medico e dalla Silvia.

— E dov’è andato a ficcarsi il signor Giovanni? — non potè a meno di domandare il dottore.

— Il signor Giovanni? — disse la cameriera. — Credo stia facendo dei suffumigi.

— Coniglio!