I.
S’intese nell’anticamera un suono di passi e un brontolìo di voci; poi la Barbara, cuoca e donna di governo del cavalier Demetrio Bibbiana consigliere d’appello in quiescenza, aperse l’uscio e disse: — C’è il signor Antenore.
— Avanti, avanti…. O che bisogno ha di farsi annunziare? — gridò il signor Demetrio girandosi sulla seggiola coi movimenti tardi e gravi che gli erano consentiti dalla sua corpulenza. Era un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquant’anni, rubicondo, sbarbato, con occhietti piccoli e grigi, con l’aria mansueta d’un buono e pingue gatto soriano che fa le fusa accanto alla stufa.
L’altro commensale posò sulla tavola un bicchiere non ancora votato del tutto e si forbì in fretta la bocca col tovagliuolo.
— Avanti, avanti, — ripetè il padrone di casa. — Antenore arriva troppo tardi per pranzare con noi, ma stapperemo una bottiglia in suo onore.
E fece un segno alla Barbara.
Il signor Antenore entrò. Lungo, magro, allampanato, aveva la cera giallastra dei temperamenti biliosi, l’espressione sospettosa, malevola degli nomini a cui la vita fu dura e che non portarono nascendo un corredo di bontà sufficiente da perdonare la fortuna degli altri. Indossava una redingote nera, lucida pel troppo uso, specie al bavero e ai gomiti; la cravatta, pur nera, era sfilacciata ed unticcia, e i polsini che spuntavano fuor delle maniche lasciavano desiderare un candore più immacolato.
— Il signor Antenore Santelli…. il commendator Giorgio Fustini; — disse il consigliere a modo di presentazione. E soggiunse: — Ma già dovreste conoscervi…. Compagni di liceo, diamine.
Fustini e Santelli si squadrarono dal capo alle piante senza che si sprigionasse fra loro la minima corrente di simpatia.
— Eh, — notò il commendatore, rivolgendosi al signor Demetrio, — io ero stato avvertito da te, e adesso, se frugo nella memoria, qualche cosa mi sembra di ricordarmi….
Il signor Antenore, toccando appena la mano che Fustini aveva la degnazione di stendergli, tentennò il capo: — Io invece non ricordo niente.
Non era mai d’umore piacevole il signor Antenore; quella sera era più ispido del consueto. La presenza di un estraneo in casa dell’amico Bibbiana gli dava ai nervi, tanto più che n’era necessariamente disturbata la sua solita partita a scacchi.
Il cavaliere, conciliante per sua natura, cercava di smussare gli angoli. — Capisco…. Son passati quarant’anni, e in quarant’anni si ha tempo di dimenticare…. È curioso però come certe scene, certi incidenti della nostra infanzia ci si riaffaccino da un punto all’altro alla mente nei loro più minuti particolari…. A me par di veder Fustini ritto dinanzi alla lavagna il giorno che il povero Mongia, il professore di matematica, ebbe sulla cattedra il suo primo insulto apopletico.
Santelli si strinse nelle spalle. — Non dovevo essere a scuola in quel giorno.
— Se ci fosse stato si rammenterebbe, — affermò il commendatore Fustini. — Che scompiglio nella classe!… E fu un’impressione penosa per tutti, anche per me…. quantunque non potessi a meno di pensare (si è egoisti da ragazzi) che risparmiavo una ramanzina, perchè, lo confesso, non sapevo un’acca della lezione.
L’amabile Santelli si picchiò col dito la fronte. — Aspetti un momento. Era lei quel piccolino della prima fila che pel resto se la cavava alla meno peggio ma in matematica non ne azzeccava una?
Con una condiscendenza veramente ammirabile in un personaggio suo pari, Fustini si mise a ridere. — Ero io.
— Anche senza la matematica — disse il signor Demetrio — Fustini ha saputo farsi la sua strada nel mondo…. Consigliere di Cassazione alla Corte di Torino…. Che carriera!
— Oh, — fece il commendatore con affettata modestia. — Ce ne son tanti…. E se tu avessi avuto pazienza….
— No, no…. tu hai la stoffa di primo presidente…. Io m’ero accorto che non andavo più in là di consigliere d’appello e mi son fatto liquidare la mia pensione per non aver altri sopraccapi….
— Già, — interpose il signor Antenore; — fuor che quelli di riscuotere il foglio pagatoriale e di tagliar due volte all’anno i coupons della rendita…. Perchè se tu non avessi le tue brave cartelle di rendita, con la sola pensione non potresti mica far il signore.
— Oh Dio, — replicò il cavaliere quasi scusandosi, — qualche cosa la mia famiglia possedeva…. io ho potuto metter da parte qualche risparmio…. non grandi somme però…. non da far il signore.
— Quando si nasce con la camicia — brontolò Santelli che masticava veleno. E soggiunse con amarezza: — Se ti fossi trovato ne’ miei panni!…
Sempre pieno d’indulgenza verso l’amico sgarbato, Bibbiana fu pronto ad assentire. — Verissimo. Se mi fossi trovato ne’ tuoi panni dei risparmi non ne avrei fatti sicuramente.
— Mentre voi della borghesia grassa — ripigliò il signor Antenore con crescente acrimonia — andavate a oziare e a divertirvi per quattr’anni all’Università di dove sareste usciti col vostro diploma, io, dopo la morte di mio padre, dovevo interrompere il Liceo e accettare un impiego d’ordine alle Poste, tanto per guadagnarmi da vivere…. chè se no la mia buona matrigna mi cacciava fuori di casa…. Impiegato io! col mio carattere indipendente!… Io che non ho mai potuto soffrire le cartaccie degli uffici e la morgue della burocrazia!… Mi par quasi impossibile d’aver resistito per trentacinque anni a una vita simile…. sbalestrato da un capo all’altro d’Italia, con dei superiori pedanti, imbecilli che avrebbero tirato a cimento i Santi del Paradiso…. Viene il giorno che la corda si strappa, e col mio ultimo capo uffizio mi son voluto sfogare…. Non gli ho detto la centesima parte di quello che si meritava; nondimeno egli ha steso il suo rapporto, e io fui invitato a far valere i miei diritti alla pensione…. Non era già una pensione di consiglier d’appello la mia; son centoquarantadue lire al mese e venti centesimi…. E io non ho campi al sole, e io non ho coupons da incassare.
Il commendatore Fustini abbozzò un gesto cortese di condoglianza, tanto più doveroso in quanto che egli era venuto per realizzare un’eredità.
— Ma per me, — proseguì il signor Antenore con un sogghigno sarcastico, — per me, vivo meglio adesso…. Non ho nessuno che mi comandi, posso dir corna del Governo e di questo p…. sistema che fa crac da tutte le parti come un mobile vecchio.
Bibbiana era avvezzo a queste sfuriate, ma il commendatore se ne risentì nella sua duplice qualità d’alto funzionario e d’uomo di principî conservativi.
— Eh caro signore, — egli replicò con sussiego, — si fa presto a gridare contro il sistema. Vorrei vederli all’opera i riformatori.
— Qualunque cosa è preferibile a questo regime di capitalisti, di travet e di militari, — urlò il signor Antenore versandosi un altro bicchiere di vino.
— Oh, oh…. il socialismo allora?… Tutti col nostro numero d’ordine, tutti agli stipendi dello Stato…. Il mondo un’immensa caserma….
— Ma che caserma, ma che numero d’ordine?… Ognuno dev’esser libero di far quello che gli pare e piace.
— E il codice dove lo mette?
— Il codice è l’alleato dei furfanti di grosso calibro. Lo getto nel fuoco.
— Bravo!… È l’anarchia che lei vuole.
— Paroloni da spaventare i gonzi….
Il pacifico signor Demetrio, che non s’era mai occupato di questioni sociali e aveva l’abitudine di non interloquire durante le feroci requisitorie dell’amico, assisteva con inquietudine all’inasprirsi della discussione e s’arrabbiava in cuor suo con Fustini, il quale non capiva che il partito più savio era quello di lasciar che Santelli si quetasse da sè…. Naturalmente, questa non era una cosa da poter dire al commendatore perchè l’altro sarebbe andato in bestia peggio; quindi Bibbiana si limitava a insinuare di tratto in tratto qualche monosillabo inoffensivo per calmare i due contendenti. Se non che, dalle due parti gli chiudevano la bocca con uno sprezzante: — Taci tu.
In buon punto la Barbara cacciò la testa fra i battenti dell’uscio e chiese al padrone: — Il caffè dove lo prendono?
Il consigliere rispose con un’altra domanda. — È acceso in salotto?
— Sissignore.
— Allora passeremo di là, — disse Bibbiana parendogli che il mutar di stanza dovesse dare un altro indirizzo alla conversazione.
Puntellandosi con le mani sulla tavola si alzò in due tempi e ripetè agli ospiti: — Passiamo di là, passiamo di là.
II.
Il salotto, benchè vi fossero dei mobili di pregio, era un po’ freddo e triste come di casa ove manchi la signora. Una lampada smerigliata pendeva dal rosone del soffitto, un moderatore di porcellana posato sulla mensola del caminetto fra le due finestre rischiarava più direttamente un tavolino portante una scacchiera coi pezzi già a posto. La parete di fronte era adorna del ritratto del signor Demetrio, in mezza figura, a olio, con la croce di cavaliere all’occhiello. Sotto il ritratto un canapè e dinanzi al canapè una tavola ove la Barbara aveva deposto il servizio da caffè, il portaliquori e una scatola di sigari d’Avana.
— Si sciala oggi, — borbottò il signor Antenore accettando un bicchierino di cognac.
— Tutto improvvisato, — rispose Bibbiana. — Ero mille miglia lontano dal creder che Fustini fosse qui quando me lo son visto comparir dinanzi verso le 6 che il riso era già nella pentola…. Per fortuna la Barbara ha questo di buono che non si confonde e ci apparecchiò un pranzetto tollerabile.
— Altro che tollerabile! — esclamò enfaticamente il commendatore. — Non si mangia così neppur dal Presidente della nostra Corte.
— Ti contenti di poco, — disse il signor Demetrio. E continuò rivolto a quell’orso di Santelli: — Se non fosse stato troppo tardi t’avrei mandato un biglietto per pregarti di tenerci compagnia.
— Grazie, non sarei venuto, — rispose il signor Antenore sempre tutto angoli e punte. — Io vengo la domenica e basta.
— È una fissazione come un’altra, — riprese il consigliere. — Me ne appello a Fustini. Siamo soli tutti e due, ma io ho casa piantata e Santelli deve andare all’osteria. O che male ci sarebbe s’egli si degnasse di desinare con me…. non dico tutti i giorni…. ma tre o quattro volte per settimana?… Non ho ragione?
— Senza dubbio, — replicò a denti stretti il commendator Fustini. In fondo egli non capiva come si potesse augurarsi un simile commensale.
— L’indipendenza, mio caro, — disse Santelli, — l’indipendenza non c’è oro che la paghi…. Del resto, non son qui tutte le sere a giocare a scacchi?
— Ah, giocate a scacchi tutte le sere? — domandò il consigliere di Cassazione.
— Sì, è una mia debolezza, — disse il signor Demetrio. — Abbiamo un conto corrente con Santelli…. Facciamo un centinaio di partite al mese. Egli ne vince novanta….
— Davvero?
— A vincer Demetrio non c’è un gran merito, — osservò il signor Antenore.
— Tu conosci il gioco? — chiese Bibbiana a Fustini.
— Sì, mi diletto anch’io ogni tanto…. al nostro Circolo…. V’è un Circolo scacchistico a Torino.
— Bravo…. dovresti far un paio di partite con Antenore….
— Volentieri.
Santelli depose un mozzicone di sigaro nel raccattacenere. — Per me non ho difficoltà…. E di quanto si gioca?
— Ma…. di nulla…. Dell’onore…. Agli scacchi per solito…. Che sistema avete voi altri?
— Noi giochiamo d’un franco la partita, — spiegò il signor Demetrio. — Ho voluto io…. Trovo che quando c’è una piccola posta si mette più attenzione.
— Vada pure pel franco.
Lieto di aver dato a’ suoi ospiti un’occupazione che li distoglieva dalla politica e dalla sociologia, Bibbiana spinse verso il tavolino da gioco una sedia a bracciuoli e vi si accomodò beatamente. — Io assisterò alla giostra.
Il signor Antenore si accostò alla scacchiera, prese un pedone bianco e un pedone nero, e intrecciate le braccia dietro il dorso li passò da una mano all’altra, poi presentando i pugni chiusi al suo competitore disse: — Scelga…. Chi ha il bianco ha il tratto…. Ha scelto il nero…. Ho il tratto io.
E attaccò subito. Fustini stava sulle difese cercando il punto debole dell’avversario. In fatti, di lì a poco guadagnò un pezzo e non tardò molto a dar scacco matto.
La seconda partita fu più brillante della prima ed ebbe lo stesso esito.
— Hai difeso male il gambitto, — disse il signor Demetrio a Santelli che senza profferir parola ma livido di bile guardava il suo re imprigionato.
— Ah fammi un po’ il piacere, — gridò Antenore, a cui non pareva vero di poter prendersela con qualcheduno…. Sei proprio in caso di dar lezioni, tu, con quella sapienza….
— E pure, — ripetè Bibbiana con calma, — io sostengo che se si difende quel gambitto in un’altra maniera si deve vincere.
— Vincere, tu? — esclamò il signor Antenore con l’accento della massima incredulità.
— Forse anch’io, — rispose il consigliere alquanto piccato.
— Qua la scacchiera…. Vediamo il miracolo.
In un momento Bibbiana e Santelli s’erano scambiati di posto. Quest’ultimo si consolava delle busse ricevute pensando a quelle che riceverebbe fra poco il suo dilettissimo Demetrio. Scacco matto in quindici mosse, in venti al più, — egli diceva fregandosi le mani.
Pareva diventato l’amicone del commendator Fustini col quale s’era bisticciato fino a poco innanzi.
— Lo schiacci quel pretenzioso, lo polverizzi.
— Allora comincio io e faccio l’apertura di prima, — disse Fustini a Bibbiana.
— Già.
— La dobbiamo veder bella, la dobbiamo veder bella, — canterellava il signor Antenore. Da un pezzo non era stato così ilare.
Fustini gli fece segno di tacere. Era un giocatore serio, meticoloso, che non voleva esser distratto. E apparteneva anche alla categoria dei giocatori taciturni; tutt’al più, quando si trovava in qualche impiccio aveva l’abitudine di borbottare: — Vengo, vengo, vengo.
E con sua grande maraviglia, adesso, misurandosi con Bibbiana, egli ebbe replicatamente l’occasione di dover servirsi del suo intercalare. O com’era possibile che Demetrio si lasciasse battere da Santelli se non c’era neanche confronto tra i due?
Ma il più stupito era il signor Antenore. Demetrio teneva testa al commendatore? Demetrio rischiava proprio di vincere?
— Vengo, vengo, vengo, — disse un’altra volta Fustini; dopo di che, sentendosi spacciato, abbandonò la partita.
— Eh via, che il commendatore deve aver fatto apposta, — esclamò Santelli.
Fustini protestò con vivacità. — Nemmen per sogno.
— Sarà stato un caso, — notò modestamente Bibbiana.
Il signor Antenore sogghignò con aria sprezzante. — Grazie della concessione. Che cosa vuoi che sia stato?
— L’ho detto io, mi pare, — rispose secco secco il consigliere, mentre rimetteva i pezzi a posto per offrir la rivincita. E intanto gli si arrossavano gli orecchi, segno infallibile, per chi lo conosceva, che anche a lui, uomo calmo e flemmatico, cominciava a scappar la pazienza…. Ah, perchè da cinqu’anni gli piaceva di perder quasi ogni sera giocando con Antenore, doveva esser condannato a perder sempre, a perder con tutti quanti?… Nossignori, questa legge egli non era disposto a subirla e Santelli aveva avuto un gran torto a provocarlo co’ suoi sarcasmi.
— Tocca a te, — disse Fustini.
— Son qua.
Cauti, guardinghi, i due campioni pesavano ogni mossa, risoluti a non darsi quartiere. Pur volendo far l’indifferente, Fustini era rimasto mortificato della sconfitta e anelava di ripararvi; Bibbiana, dal canto suo, trovandosi a fronte un competitore degno di lui, sentiva ridestarsi la sua vecchia passione pegli scacchi e ci teneva a mostrar la sua valentìa. Nella stanza regnava un gran silenzio; solo di tratto in tratto un pezzo preso dall’uno o dall’altro dei giocatori andava a cader con un suono legnoso nella scatola che raccoglieva le vittime della battaglia. Smessi i suoi commenti beffardi, con gli occhi inchiodati sulla scacchiera, con le labbra serrate come di chi reprime a forza un gemito o una imprecazione, il signor Antenore seguiva le vicende dell’accanito duello. Non c’era dubbio, anche la seconda prova sarebbe riuscita favorevole a Bibbiana. Egli era indiscutibilmente superiore all’avversario, era più audace negli attacchi, più pronto nelle difese, più accorto nelle insidie. Ma donde gli era capitata questa scienza? O, piuttosto, perchè, in cinqu’anni, non l’aveva sfoggiata con lui, con Antenore? E mentre Santelli rivolgeva fra sè questi pensieri, la verità si faceva strada nel suo animo, lo riempiva di livore e di fiele.
— Vengo, vengo, vengo, — masticò fra i denti il commendator Fustini. E soggiunse dopo una breve pausa: — Non c’è rimedio; ho il matto alla terza mossa. — Si alzò da sedere e stendendo cavallerescamente la mano al vincitore disse: — Ti faccio le mie congratulazioni. Non sfigureresti in un torneo.
— Hai voglia di ridere, — rispose il signor Demetrio. — Avevo una buona serata, ecco tutto….
In quella gli apparve la fisonomia stravolta di Antenore Santelli, e imporporandosi in viso come un fanciullo colto in fallo balbettò: — Ogni tanto ho di questi lucidi intervalli…. È un fenomeno…. Ordinariamente gioco malissimo…. Anche adesso, se continuassimo….
— No, no, son già le undici e mezzo e se tardo un poco rischio di trovar chiuso il portone dell’albergo…. A proposito, ti devo due lire….
— E io ne devo due a Lei, — disse il signor Antenore tirando fuori sgarbatamente un borsellino unto e bisunto.
— Ebbene, — rispose Fustini; — le paghi per conto mio all’amico Demetrio…. Così saremo pari e patta.
— Ma sì, ma sì…. non c’è fretta, — protestò il cavaliere dopo aver sonato il campanello per chiamar la Barbara. — E poi se torni domani sera è sicuro che me le riguadagni quelle due lire…. Pranzi con me anche domani, non è vero?
— Non so…. Avrei un mezzo impegno.
— Mettiti in libertà.
— Grazie…. Vedremo…. Ti manderò un biglietto entro la giornata….
— Guai per te s’è un rifiuto…. E Antenore, per una volta tanto, farà uno strappo ai suoi principî, — continuò Bibbiana. — Ci terrà compagnia.
— Impossibile, — dichiarò in tuono reciso l’uomo selvatico.
— Eh via….
— Speriamo che si persuaderà, — disse, sorridendo, il commendatore, mentre si faceva aiutar dalla Barbara a infilarsi il soprabito. — Buona notte dunque, Demetrio…. E grazie di nuovo della tua ospitalità…. Lei resta?
Questa domanda era indirizzata a Santelli che rispose pronto: — Sì, ho da parlare a Bibbiana.
— In tal caso, buona notte anche a Lei.
— Buona notte.
Fustini uscì, ben contento di non dover fare un tratto di strada a fianco di quell’orso.
III.
Solo con l’orso rimase invece il signor Demetrio, rimase con la coscienza d’essere in dolo, di meritarsi, almeno in parte, i rimproveri che l’altro non gli avrebbe certo risparmiati.
Pure, dissimulando alla meglio la sua confusione, si avvicinò bonariamente ad Antenore. — Hai da parlarmi?
— Sì, ma prima pago un debito.
E gettò con mala grazia due franchi d’argento sul tavolino.
— Lascia stare….
— Ah, — proruppe Santelli inviperito, — vorresti regalarmi anche questi?… Per poi dire all’illustrissimo signor commendatore Fustini che me li hai condonati per carità?
— Io! — esclamò Bibbiana.
— Tu…. tu…. come stasera.
— Io…. stasera…. ho detto….?
— Hai lasciato capire…. ch’è lo stesso, — ribattè Santelli schizzando veleno da tutti i pori, — hai lasciato capire che con la scusa degli scacchi, e fingendo di giocar male, mi davi da guadagnar una o due lire al giorno…. per i miei minuti piaceri…. per i sigari forse….
— Ma no…. ti giuro….
— E hai la faccia di negare…. Sono cinque anni che m’infliggi quest’umiliazione…. cinque anni che mi ferisci in quello che ho di più caro, in quello che ho di più sacro…. nel mio orgoglio, nella mia dignità…. E io, bestia, non ho sospettato di nulla…. ho creduto in buona fede che tu volessi impratichirti negli scacchi…. ho aderito al tuo desiderio di giocar d’interesse…. se no non ci trovavi gusto…. l’ho agevolata io la tua parte di filantropo….
— Ma se non è vero, — seguitava a protestare il signor Demetrio.
L’altro non gli dava retta.
— Come ho potuto io, col mio carattere, consentire a guadagnar sempre….?
— No, — interrompeva Bibbiana, — lo sai bene che neppur questo è vero…. che anch’io vincevo qualche volta….
— Una volta su dieci, — ribattè Santelli. — L’hai confessato tu a quel tuo dilettissimo commendatore. Oggi invece, con un giocatore di prima forza, non hai fatto che vincere….
— Due partite…. sono accidenti che nascono…. che non provano nulla…. Vedrai domani sera….
Il signor Antenore scoppiò in un riso secco, nervoso, che pareva un singulto. — Ah naturalmente domani sera perderai…. e m’inviti ad assistere alla commedia…. Non son così grullo…. È finita la commedia…. Mai più metterò il piede dentro di queste porte….
— Andiamo, Antenore….
— Mai più, fin che non potrò rimborsarti dell’elemosina che m’hai fatta…. Cinqu’anni giusti…. sessanta mesi…. Non è mica un conto troppo difficile…. sessanta mesi con poche interruzioni…. a quaranta lire in media per ogni mese…. duemila quattrocento lire….
— Tu sei pazzo, Antenore…. tu sragioni…. Hai bisogno di ricuperare la tua calma…. di dormirci su….
— Me ne vado, sì, — ripigliava l’energumeno, — ma non mica a dormire…. Vado come un ministro del Regno d’Italia a studiar l’economie che posso fare sul mio bilancio per pagare i miei debiti…. Lo capisci che non voglio esserti debitore, che non voglio concederti la soddisfazione di avvilirmi, di calpestarmi?… Tutti così…. voi altri ricchi…. Non vi basta papparvi le vostre rendite…. acquistate con quel bel merito;… volete di quando in quando darvi il lusso della generosità, della munificenza, per ribadir meglio le catene ai piedi dei poveri diavoli…. Vigliacchi, vigliacchi!…
E uscì, slanciando questo insulto come un saluto.
— Antenore! — gli gridò dietro Bibbiana con voce soffocata. — Antenore!… È troppo….
Diede uno strappo al campanello e si lasciò cader sulla poltrona.
La Barbara, accorsa alla scampanellata, lo trovò che ansava, rosso scalmanato in viso, con gli occhi fuori dell’orbita.
— Misericordia!… Cos’ha?.. Credevo che chiamasse per far lume al signor Antenore…. Ma quello è corso giù per le scale al buio…. Cos’ha, cavaliere?… Cos’è stato!… Un tiro di quel figuro?… Non l’ho mai potuto soffrire…. Beva qui un gocciolo di Marsala….
Il signor Demetrio la respinse con la mano. — Ne ho bevuto anche troppo del vino stasera…. Va meglio…. È passato….
— Ma cos’era?… Cosa si sentiva?
— Niente…. È passato…. Andrò a letto…. Dev’esser tardi.
— È mezzanotte…. Non si sbrigavano più…. Dica la verità…. S’è preso una bile col signor Antenore?
— Sì, — rispose Bibbiana che aveva necessità di sfogarsi. — Ma ho avuto torto anch’io…. L’ho provocato….
La Barbara scrollò le spalle. — Provocarlo, Lei?… Lei che ha sempre avuto una pazienza da santo?… Lei che ha sempre cercato di fargli del bene?
— Far del bene!… — disse il signor Demetrio. — Non è mica facile…. A volte si crede di far del bene e si fa del male.
— O piuttosto, — corresse la Barbara, — c’è della gente che non sa dove stia di casa la gratitudine.
— Questo non importa…. Non si fa il bene perchè ci ringrazino…. Gli è che bisogna saper regolarsi secondo le persone.
— Sarà, — mormorò la Barbara che non capiva certe sottigliezze. — Ma con un serpente come il signor Antenore non si riuscirà a nulla.
— Superbo sì, — ripigliò Bibbiana, parte favellando a sè stesso, parte rivolgendosi alla sua interlocutrice, — superbo fin da ragazzo…. A scuola dov’era uno dei primi lo chiamavano il Lucifero…. E dopo ne ha avute delle peripezie…. ne ha sofferte delle mortificazioni…. ha visto navigar col vento in poppa tanti che valevano meno di lui…. insomma se gli si è peggiorato il carattere non è colpa sua…. Così astioso una volta non era…. E anche l’orgoglio gli è cresciuto con le disgrazie…. Vi ricordate quand’è arrivato qui?… Aveva abbandonato l’impiego, non gli avevano ancora liquidata la pensione…. non so come vivesse…. E pure non ci fu verso di fargli accettar del danaro nè in dono, nè a prestito…. Gli avevo proposto di tener la mia piccola amministrazione…. Non ha voluto…. Lo avevo pregato di venir a desinare ogni giorno con me, ch’ero solo e avrei avuto piacere di far quattro chiacchiere a tavola…. È stato molto se ha accondisceso a venir la domenica…. E intanto, anche con la pensione liquidata, stentava a tirare innanzi, si lagnava di mille privazioni. Non era più giovine neppur lui…. soffriva d’acciacchi…. Non aveva i mezzi da curarsi…. Ed eravamo alle solite…. A qualunque offerta che gli si facesse montava sulle furie…. Finalmente mi era parso d’aver trovato…. Egli amava il gioco degli scacchi…. lo amavo anch’io. — Giochiamo, — gli dissi, — ma giochiamo di qualche cosa…. Se non c’è l’interesse non ci metto attenzione…. Regoleremo i conti ogni mese. — Te Deum laudamus…. Questa volta egli non rispose di no….
— E intascava un bel gruzzolo, — interruppe la Barbara.
— Oh…. miserie….
— Con tutta la sua boria si degnava….
— Erano denari di buona presa.
— Ma lei faceva apposta?
Bibbiana abbassò la voce come se si vergognasse di confessare. — In principio forse…. Dopo m’ero avvezzo….
— E vuole che il signor Antenore non se ne fosse accorto? — esclamò la donna col suo naturale buon senso.
Il cavaliere negò energicamente. — No, no…. Oggi soltanto, per causa di quel benedetto Fustini….
— Del signore ch’era qui a pranzo?
— Appunto…. C’era la scacchiera pronta…. S’è messo a giocar con Antenore e lo ha vinto…. È un giocatore che sa il fatto suo…. Poi con lo stesso Fustini mi son provato io…. Antenore mi punzecchiava, mi beffeggiava, parteggiava pel mio avversario…. Io ho perduto la pazienza, ho perduto la testa, non mi son più ricordato che se Antenore era rimasto inferiore a Fustini dovevo a maggior ragione rimaner inferiore io….
— E ha guadagnato la partita?
— Due ne ho guadagnate.
— Bravo!
— No…. Quando ho alzato gli occhi verso Antenore e ho visto che ormai egli aveva capito tutto, mi son vergognato come se avessi commesso la più triste azione del mondo.
— Oh caro Lei, — protestò la Barbara, — lasci che i cattivi si vergognino….
— Spesso si è cattivi senza volerlo, — ribattè il signor Demetrio tentennando il capo. — Non dovevo stasera, non dovevo….
La Barbara lo interruppe. — Scusi…. Io sono un’ignorante, ma se mi permettesse di dir la mia opinione….
Bibbiana la incoraggiò con un gesto.
— Ecco, — rispose la Barbara, — può essere che stasera ell’abbia avuto un momento di distrazione, e ammetto che il signor Antenore…. dato che prima ignorasse, che già io stento a persuadermene…. ammetto insomma che debba esser rimasto un po’ male…. Ma, con tutto questo, s’io fossi stata nei panni di quel figuro, sa quel che avrei fatto?
— Sentiamo.
— Le avrei gettato le braccia al collo dicendole: — Grazie.
— Oh bella! Nel giorno in cui lo umiliavo davanti a un estraneo?
— Che importa? Era il giorno in cui veniva a scoprire un’azione generosa ch’era durata cinqu’anni…. le par poco? Quanti ce ne sono che si sarebbero torturato il cervello per aiutare un tanghero che non voleva essere aiutato, ma voleva lagnarsi sempre?… Quanti avrebbero avuto pazienza per cinqu’anni?… E dell’umiliazione in fin dei conti ne ha la colpa lui, e se la merita…. Sicuro, chè non è lecito aver quella boria, e chi è nel bisogno non deve aver riguardi a domandare soccorso a un amico nè deve costringerlo a usar dei sotterfugi per fargli del bene.
— Oh, in questo siamo d’accordo, — disse con enfasi Bibbiana. Dopo la feroce requisitoria di Santelli che gli aveva scompigliato le idee e lo aveva empito di scrupoli e di rimorsi, la morale semplice e casalinga della sua donna di servizio gli rinfrancava alquanto lo spirito. Egli non era dunque il vile e malvagio uomo che Antenore lo accusava di essere?
— Basta, — egli soggiunse alzandosi in piedi, — accendetemi la candela, ch’è ora d’andare a letto.
Pur la brusca rottura con Antenore non gli dava pace, e passando accanto al tavolino rovesciò con la mano i pezzi ch’erano rimasti ritti sulla scacchiera.
— Maledetti scacchi!… Mi costate un amico.
— Uhm! — borbottò la Barbara. — Se son quelli gli amici! Meglio perderli che trovarli.
— No, no…. Un compagno di scuola…. È un vero dolore…. Io non dovevo….
— Oh, torna da capo! — saltò su con petulanza la Barbara, inanimita dal buon successo che avevano avuto prima le sue considerazioni. — E allora torno da capo anch’io a dire che mi farei sbattezzare se il signor Antenore non aveva mangiato la foglia già da gran tempo.
— Impossibile!… Un superbo di quella risma!
— Oh, — conchiuse la filosofessa della cucina, mostrando più acume d’un consigliere d’appello in pensione, — ne ho conosciuti ancora dei superbi che sinchè potevano far finta di non accorgersi dei benefizi accettavano tutto…. Non vogliono obblighi di riconoscenza, ecco quel che non vogliono…. Ciò che pesa a costoro non è ricevere, è restituire.
E dopo aver pronunziato questa sentenza degna d’uno dei savi della Grecia, la Barbara consegnò al padrone la candela accesa. Senonchè, proprio in quell’istante, ella vide luccicar dell’argento sul tavolino. A lei luccicavano gli occhi. — O che si dimentica il danaro?
— Che danaro?
— Questi due franchi….
Bibbiana fece un passo indietro. — Il danaro lasciato da Antenore…. Non lo voglio io…. Verrà a riprenderselo….
— E se non viene?
— Se non viene, tenetevelo voi.
— Meno male, — disse la Barbara. — Intanto lo metto in tasca.