I.
La gran giornata, la giornata attesa e temuta, era giunta. Da quasi un anno durava il processo, un processo d’amministratori di Banche; da tre mesi i nove imputati erano in berlina dinanzi al giurì, dinanzi alla Corte, dinanzi a una folla curiosa, petulante, irrequieta. La lettura dell’atto d’accusa aveva assorbito due intere sedute; poi c’erano stati gl’interrogatori lunghi e minuziosi degli accusati; poi le deposizioni di oltre a cento testimoni; poi i rapporti dei periti. Finalmente eran cominciate le arringhe; arringhe della Procura del Re, della parte civile, degli avvocati difensori, repliche, controrepliche, ecc. Un fiume di parole aveva inondato l’aula delle Assise, aveva travolto le deboli barriere dietro a cui si riparava il senso comune di quelli che dovevano pronunciare il verdetto. Le questioni più semplici erano andate via via ingarbugliandosi, le responsabilità più manifeste apparivano dubbie, il sofisma trionfava.
E quale mutamento nell’opinione pubblica! L’opinione pubblica, si può dire, aveva imposto gli arresti; in omaggio a lei s’era negata la libertà provvisoria ai presunti colpevoli; era un coro d’imprecazioni contro questi malfattori in guanti gialli che s’erano arricchiti a spese dei gonzi, che, col loro lusso inverecondo, avevano insultato alla miseria del povero. Dieci, quindici anni di galera non bastavano, in quello scoppio dell’ira popolare, a saldar tanti misfatti. Ma, dei nove complici, colui ch’era segno alle maggiori contumelie, colui che si sarebbe voluto veder colpito con maggior rigore, era il cavalier Michele Albissola, l’uomo che, giovine ancora, era riuscito a imporsi al paese, l’uomo indispensabile, consigliere del Comune, della Provincia, della Camera di Commercio, preconizzato deputato alle prossime elezioni, l’anima infine del grande Istituto di credito la cui caduta aveva portato la rovina di centinaia e centinaia di famiglie. Lo si attaccava con la violenza medesima con cui lo si era esaltato. Il nome onorevole, reso caro all’Italia da tre generazioni di patrioti, la bella presenza, l’ingegno vivace, l’energia indomita, la parola facile e persuasiva, l’ospitalità signorile, tutte insomma le qualità naturali o acquisite che lo avevano aiutato a salire cospiravano ad aizzargli contro gli animi. Senza di quelle, egli non avrebbe potuto nascondere per tanto tempo i suoi fini tortuosi. Che più? Anzichè disarmare, esacerbava le collere il pensiero della moglie giovine, avvenente, virtuosa; dei tre bambini, tre amori, citati a modello d’eleganza e di grazia. Tutto la fortuna aveva dato a quell’uomo, e di tutto egli si era servito per ingannare. Era ben tempo ch’egli pagasse. Il santo e legittimo sdegno che infiamma i buoni contro i perversi e il basso livore che rode i cuori piccini s’univano per gridar la croce addosso a Michele Albissola, per invocar sul suo capo una punizione esemplare.
Ma anche prima del dibattimento, durante il lungo periodo dell’istruttoria, questi furori erano sbolliti. Non che la scoperta di fatti ignorati fosse venuta a toglier gravità alle imputazioni precedenti. I fatti rimanevano tali e quali, ammessi in parte dall’Albissola e da’ suoi compagni, e ce n’era più del bisogno per imprimer sul fronte degli accusati il marchio di amministratori cinicamente infedeli. Ma nuovi e maggiori scandali avevano nel frattempo afflitto l’Italia, e un’idea, prima timida e dubitosa, poi risoluta ed audace, s’era fatta strada nelle coscienze: l’idea che in ogni processo, oltre a coloro che la legge traeva dietro la sbarra, ci fossero altri rei misteriosi, invisibili, che il giudice non osava, non sapeva, non poteva forse colpire; che vi fosse nell’ambiente, nei costumi, nell’ora, qualcosa di viziato e corrotto in cui si smarrivano le responsabilità personali. Il patrocinatore dell’Albissola, l’avvocato e deputato Ferruccio Maggesi, una delle illustrazioni del foro italiano, aveva capito subito quale, nel momento critico che si attraversava, fosse la linea di condotta più savia, quale il più savio linguaggio da tenere ai giurati. E valendosi della sua autorità aveva fatto accettare il suo criterio direttivo ai colleghi, onde le varie difese, anzichè rivolte a distruggersi a vicenda come avviene sovente, parvero converger tutte ad un fine. Una frase sfuggita a uno del giurì dopo lo splendido discorso del Maggesi lasciò intraveder le disposizioni d’animo dei dodici cittadini ch’erano arbitri del processo. — È un gran mondo di canaglie, — disse quel rispettabile salumaio. — O si fa un repulisti generale, o è inutile prendersela con dei disgraziati che non son peggiori degli altri.
Nonostante questa indiscrezione, ancora l’ultimo giorno del dibattimento i pareri sull’esito erano molto divisi.
— Li condannano.
— Io dico che li assolvono.
— Albissola no sicuramente.
— Anche Albissola.
— S’è lui che teneva tutti i fili in mano?
— Non importa…. Scommettiamo.
— Assolto? Albissola? È impossibile….
— Eh lo so…. A dirlo undici mesi fa c’era da farsi lapidare…. Basta, di qui a poco si vedrà chi ha ragione.
Quando il campanello annunziò che i giurati stavano per rientrare nell’aula gli orologi suonavano le dieci.
II.
Già da più ore Virginia Albissola aspettava il verdetto che doveva decider della sorte di suo marito. Alle sei, dopo che suo cognato era venuto a dirle che secondo ogni probabilità le cose avrebbero tirato in lungo, ell’aveva, come il solito, mandato a Michele il desinare in prigione; indi, cedendo alle istanze di sua madre e d’un’amica d’infanzia che le tenevano compagnia, s’era indotta a sedere a tavola, ma non aveva preso che poche cucchiaiate di brodo. Adesso era ancora nel salotto da pranzo con la faccia tra le mani, coi gomiti sulla tavola sparecchiata; immobile quasi, se, ogni tanto, la sua persona non avesse come vibrato per un fremito che le correva tutte le membra.
La madre e l’amica avevano tentato più volte di scuoterla, d’intavolare una conversazione purchessia; visti riuscire inutili i loro sforzi, tacevano anch’esse, scambiandosi, di tratto in tratto, un’occhiata, o sfogliando macchinalmente una gazzetta, o regolando il lume a carcel che andava soggetto ad ecclissi parziali.
Adagio adagio un uscio s’aperse e la Luisa, la cameriera, spinse la testa fra i due battenti.
La signora Virginia balzò in sussulto, pallidissima:
— Che c’è?… È venuto qualcuno?… Gustavo?
Gustavo era il cognato che si trovava alle Assise.
— Nossignora; — rispose la cameriera. — È Carlino che s’è svegliato e vuole alzarsi a tutti i costi.
— Provo io a chetarlo, se credi; — disse, alzandosi in piedi, la signora Clara, la madre, ch’era una donna sulla sessantina, assai vegeta e fresca.
— No, no; — dichiarò risolutamente la Virginia. — Vado io stessa. Mi farà bene movermi un poco.
E s’avviò con passo fermo.
— Quel Carlino è così nervoso; — riprese la signora Clara, rivolgendosi alla Bianca Dorelli, l’amica della Virginia, moglie d’un impiegato di assicurazioni.
— Come somiglia al suo babbo! — osservò la Bianca.
— Non pei nervi, però; — ribattè l’altra. — Da questo lato tiene piuttosto dalla mamma…. Oh pel resto sì…. Pel fisico, per l’intelligenza, pel carattere….
— È un ragazzo precoce…. Perchè non ha che ott’anni e mezzo, mi pare.
— Appunto…. Saranno presto dieci anni dacchè la Virginia s’è sposata…. Ma!…. Quanta ragione aveva il mio povero Luigi di non veder di buon occhio questo matrimonio!
— È stata la Virginia?
— È stata proprio lei a volerlo…. Io l’ho secondata, e me ne pento.
— Fammi indovino e ti farò profeta; — disse la Dorelli.
— Ella n’era innamorata perdutamente; — continuò la signora Clara, abbassando la voce. — E anch’io, lo confesso, subivo il fascino di quel giovine di bell’aspetto, pieno di facondia, d’ingegno, d’attività…. Inoltre un nome rispettabile, una buona condizione economica…. Dio mio, con la difficoltà che c’è in questi tempi a maritar le figliuole!
— Cara signora, non deve aver rimorsi…. Tutti invidiavano la Virginia…. E dopo il matrimonio più ancora di prima….
La signora Clara tentennò la testa.
— In quanto a me, non ho tardato molto ad accorgermi dello sproposito commesso…. Gli affari di mio genero navigavano col vento in poppa, la Virginia poteva levarsi qualunque capriccio, ma…. zitto…. È qui che viene.
La Virginia si lasciò cader sul divano.
— Quel Carlino mi fa disperare…. Figuratevi che pretendeva ch’io lo mandassi col servitore alla Corte d’Assise! Già sapete che scena ha fatto oggi perchè Gustavo non lo ha preso con sè…. Ora, a furia di suppliche, l’ho indotto a rimanere a letto mezzo vestito con la promessa che se giunge il suo babbo lo chiamo subito, e che, in ogni caso, vado a portargli le notizie, e se mai dormisse, lo sveglio.
— Un bambino di ott’anni e mezzo, pare impossibile! — esclamò la signora Clara con tenerezza di nonna. — Lui ha capito tutto, lui ha seguito tutto il processo….
— Ha un’adorazione pel suo papà; — notò la Dorelli.
— Anzi non vuol bene ad altri; — disse la Virginia con una intonazione amara.
— Che idee!
— È positivo; — seguitò l’Albissola con lo stesso accento. — Già il suo papà lo secondava in tutto…. La fatica che ho durato in quest’anno per moderarlo!… Non deve veder l’ora di liberarsi dalla mia tirannia.
Ripiombò per poco nel suo mutismo; quindi, scattando di nuovo, proruppe:
— E non si sa nulla…. Non capita nessuno, nè mio cognato, nè Dorelli, nè Malerotti, nè Dal Torso…. nessuno.
— È meglio che aspettino sino all’ultimo; — replicò la signora Dorelli. — Speriamo che i giurati non ci faranno rimanere in pene tutta la notte.
— Oh Dio, Dio, che supplizio! — gemette la Virginia.
La signora Clara posò una mano sulla spalla della figliuola:
— Pazienza!
— Oh mamma, — rispose la Virginia, — tu non puoi accusarmi di non averne avuta, di non averne della pazienza…. Ma è un anno che soffro tutti i martirii…. è un anno che vedo il nostro nome vituperato, che non posso uscir di casa senza che mi segnino a dito, un anno che, tranne con te, con la Bianca e con qualche altra amica, devo misurar le mie parole, i miei gesti, le mie lacrime, i miei sorrisi…. Persino davanti i miei figliuoli sono costretta a pesare ogni frase…. persino in loro…. almeno in Carlino…. mi sembra d’aver dei giudici che mi leggano in cuore….
— Via, son sogni tuoi….
— Oh, quest’è il meno…. Il terribile è la macchia sul nostro onore…. Oh povero papà mio, come hai fatto bene a morire!… Se ti fosse toccata un’umiliazione simile!
Singhiozzando, la Virginia abbandonò la testa sul petto.
— Ecco una delle sue crisi adesso; — disse la madre. E prendeva sulla mensola la bottiglia dell’acqua di Melissa.
— Su, Virginia, — diceva intanto la Bianca Dorelli, — non ti smarrire d’animo vicino al porto…. Ho il presentimento che tutto finirà bene…. Mi assicurava Vittorio che anche i più ostili sono stati scossi dall’arringa di Maggesi.
— Oh, gli avvocati! — borbottò l’Albissola.
— E quando te lo avranno assolto come ne ho fede, — ripigliò la Dorelli senza badare all’interruzione, — non ci sarà più da discorrer di macchie sull’onore.
— Tu credi? — domandò la Virginia, rialzando il viso con una strana espressione negli occhi.
Ma non soggiunse altro.
Invece, rivoltasi alla madre che le si avvicinava per porgerle il calmante:
— No, grazie, — le disse, — è passato.
III.
Una violenta scampanellata, uno sbatacchiar d’usci, un rumore di passi. Erano le dieci e pochi minuti.
— Signora Albissola! Signora Virginia! Assolto! Assolti tutti! — urlò dal di fuori Vittorio Dorelli che veniva trafelato dalla Corte d’Assise.
La Virginia, pallidissima, si slanciò nell’andito e gli tese ambe le mani. — È proprio vero?… Assolto?
— Diamine! Ho sentito coi miei orecchi. E ho voluto essere il primo a dar la notizia!… Avevo giù la mia bicicletta, e via come un fulmine, a rischio di farmi mettere in contravvenzione.
— Grazie….
— Suo cognato, — proseguì Dorelli reggendo la signora Virginia ed entrando con lei in salotto da pranzo, — Dal Torso, Malerotti e tanti altri amici son rimasti ad attendere il signor Michele.
— Ma non è libero?
— Sì ch’è libero…. Però c’è qualche piccola formalità, qualche carta da sottoscrivere…. Sarà qui fra un quarto d’ora, fra venti minuti.
E Dorelli continuava rispondendo a sua moglie e alla signora Clara che lo tempestavano di domande: — Assolti tutti nove. Non l’ho detto?… Se c’era gente nell’aula?… Altro che gente…. Una folla…. E quanti applausi!
— Hanno applaudito?
— Con entusiasmo…. Non mi meraviglierei se facessero una dimostrazione sotto le finestre….
— No, — gridò con una specie di terrore la Virginia Albissola. — No, per carità, nessuna dimostrazione…. Me la ricordo quella dell’anno passato….
— Ma questa scancellerebbe la memoria di quella.
— No, Dorelli, no, — riprese la Virginia giungendo le mani in atto supplichevole. — Procuri che ci lascino tranquilli….
— Da me non dipende, — rispose Dorelli alquanto confuso. — Già è tardi…. credo che non faranno niente.
— Oh la pace, la pace…. Non chiedo altro al Signore.
— Egli ti esaudirà, spero, — disse la signora Clara. — Intanto t’ha esaudita rendendoti tuo marito…. Su, su, Virginia; Michele non può tardare…. Prepàrati a riceverlo con un viso allegro…. E voi altri, — soggiunse indirizzandosi alla servitù che la gran notizia aveva richiamata in salotto, — voialtri non istate qui incantati…. Lesti. Voi, Giovanni, apparecchiate la tavola…. E voi, cuoca, in cucina…. Il padrone avrà bisogno di qualche cosa…. Del brodo ce n’è?… Sì…. E c’è poi tanta roba avanzata da oggi…. Avrai fame anche tu. Virginia….
— Oh, io no….
— Se non hai preso quasi nulla in tutta la giornata? — osservò la Bianca Dorelli.
— È inutile, non posso….
— Ti proverai.
— Ehi, Luisa, — ripigliò la signora Clara, — la camera, di là, è pronta?
— Sissignora.
— Ah! — esclamò la Virginia. — Ci siamo dimenticati di Carlino…. Gli avevo promesso di avvertirlo….
— Forse dorme…. Lo sveglierà il suo papà…. Già Michele vorrà vederli tutti e tre i suoi bambini. La Olga e Giorgetto saranno con gli angioli.
La cameriera fece un segno affermativo col capo.
— In ogni modo, — le ordinò la signora Clara, — salite piano un momento e sappiateci dire se Carlino si muove.
La Virginia guardava con riconoscenza sua madre che la liberava dalle cure di padrona di casa; guardava con ammirazione quella donnetta di circa sessant’anni, che nonostante i molti dolori sofferti (aveva perduto in gioventù due figliuoli e recentemente un marito adorato) conservava intatta la serenità dell’umore e la vigoria della fibra. Ella, la Virginia, si sentiva così vecchia, così stanca, così accasciata!
La signora Clara accostò la mano all’orecchio e si mise in ascolto.
— Che c’è? — dissero a una voce la Virginia e i Dorelli. — Son qui?
— No, è disopra…. È Carlino…. Sicuro è Carlino che strepita…. Eccolo che fa la scala in due salti.
E il bimbo si precipitò nel salotto in maniche di camicia, con la faccia accesa, coi capelli arruffati, con le scarpe slacciate, coi calzoncini cascanti.
La Luisa si sfiatava a urlargli dietro: — Ma aspetti…. Ma prenda la roba.
Carlino non le badava neppure, e gridava: — Il babbo, dov’è il mio babbo?… Voglio il babbo, io….
La mamma, la nonna, la signora Dorelli gli furono attorno per quietarlo. — Viene il babbo, or ora…. Sì, bambino, è libero…. Viene con lo zio Gustavo.
— Mi ha sentita sul pianerottolo, — spiegò la cameriera che aveva sul braccio una parte degli indumenti del ragazzo. — È balzato dal letto…. Ha voluto sapere…. La fatica che ho durato a fargli infilar i calzoni!…
— Cattiva mamma, cattiva, — borbottò Carlino, e un lampo d’ira gli passò negli occhi fieri e bellissimi. — M’avevi promesso di avvisarmi subito…. Cattiva!
— Zitto là, — intimò la signora Clara, chiudendogli con una mano la bocca, mentre con l’altra gli ravviava i capelli bruni, folti e ricciuti.
Intanto la Virginia e la Bianca, aiutate dalla Luisa, gli passavano la giacchetta, gli allacciavano i calzoni e le scarpe.
La signora Clara sorrise. — Tutti al servizio di questo gran personaggio.
Seguendo una sua idea fissa, Carlino lasciava fare, divenuto ormai mansueto, almeno nelle apparenze. Però quando la sua toilette fu compiuta si svincolò bruscamente, e col suo piglio imperioso: — Luisa, — disse, — vammi a prendere tosto il cappello.
Fu una meraviglia generale. Il cappello? Perchè?
— Voglio uscire. Voglio andare incontro al babbo…. Luisa, ubbidisci!
— Ts, ts, ts, — fece la nonna. — Guarda chi comanda…. Un ometto alto così!
— Il cappello! Il cappello! — strillava Carlino, pestando i piedi. — Se no, vado a capo scoperto…. E vado anche solo…. Ma già il signor Vittorio mi accompagna, non è vero?
— Io?
La Virginia intervenne. — Non gli dia retta, Dorelli.
E prese il figliuolo per un braccio. — Insomma, Carlino, che scenate fai?
— Voglio andare incontro al babbo, — ripeteva Carlino, liberandosi. — E non ho bisogno di nessuno. La so la strada delle Assise….
— Se il babbo è qui a momenti…. — cominciò la signora Clara.
In quella, Giovanni, il domestico, annunziò:
— S’è fermata una carrozza alla porta…. È certo il padrone…. Corro giù….
— Scendiamo tutti…. Vedi, Carlino, come presto….
La signora Clara credeva di parlare al nipote…. Ma il nipote non c’era. Era sgattaiolato fuor dell’uscio, aveva fatto in un lampo le scale, e tendeva già al babbo le piccole braccia. — Papà mio, papà mio!
IV.
Michele Albissola salì portando in collo Carlino che gli si era avviticchiato e non voleva lasciarlo. Soltanto quando fu in salotto, il bimbo consentì a esser deposto per terra. Allora Michele ribaciò la moglie e la suocera, ringraziando quest’ultima d’aver lasciato la campagna per far compagnia alla Virginia in quei giorni critici; strinse cordialmente la mano alla signora Dorelli e ringraziò lei pure dell’amicizia dimostratagli; poi si rivolse con affabilità alla Luisa, a Giovanni, alla cuoca che gli presentavano i loro omaggi. — Grazie, grazie…. Siete sfuggiti alle riduzioni d’organico voi altri…. E la Maria — (era la cuoca) — ha avuto una promozione? E che ce n’è del nostro maestoso Giuseppe?
— È a Torino, dai conti Soana, — disse la cuoca.
— Cospetto! Una casa aristocratica…. E li sapete fare quei pasticcini che faceva lui?
— M’ingegno.
— Brava. Intanto domani vi metto alla prova. Avremo a pranzo il mio avvocato, l’onorevole Maggesi…. E insieme con lui tutti questi signori che vedete qui.
Erano, oltre a quelli di casa, i coniugi Dorelli, Malerotti, Dal Torso e un quarto, l’ingegnere Verganti, ch’era stato anch’egli fra gli accompagnatori di Albissola.
Qualcheduno cercò schermirsi.
— Oh, non accetto scuse, — ribattè Michele. — Ho proprio bisogno di passar un pajo d’ore con le persone che mi si son mantenute fedeli nei tempi tristi…. E sarà un gran piacere anche per la Virginia…. Non è vero?
Il vero era che l’idea di questo banchetto contrastava al programma di economia, di riserbo che la Virginia Albissola avrebbe voluto far adottare a suo marito. Tuttavia, interrogata così a bruciapelo, davanti agl’invitati, alcuni dei quali le erano carissimi, ella dovette dissimulare il suo pensiero. E balbettò: — Sì, certo…. un gran piacere…. per gli amici…. in confidenza…. Pur che l’avvocato Maggesi, che conosco poco, non ci metta in soggezione.
— Lui? — esclamò Michele. — Quando ha svestito la toga è l’uomo più alla mano di questo mondo…. Piacevole, allegro, ricco d’aneddoti…. me ne appello a Gustavo che s’è trovato spesso con lui.
— Sì, sì, — disse Gustavo Albissola, — non ha alcun sussiego.
— E dobbiamo pur usargli qualche cortesia, — soggiunse il cavaliere. — Dopo quello splendore di difesa!
La Virginia chinò il capo rassegnata. Nè gli altri insistettero nelle loro obbiezioni.
— Dunque siamo intesi, — ripigliò Albissola. — Domani alle sette, l’ora di una volta.
— Sta bene. E adesso buona notte….
— Che fretta avete?… La tavola è apparecchiata. Volete bere un bicchiere di vino con me?
— No, grazie.
Tutti sentivano la convenienza di ritirarsi, di lasciar Michele solo con la famiglia.
E s’accommiatarono in massa, con nuovi baci, e strette di mano, e congratulazioni.
— Oh, eccoci in libertà, — esclamò Michele quando gli ospiti furono usciti. — Una gran bella cosa essere in casa propria…. dopo un anno….
— Adesso metteranno in prigione quei cattivi, — disse Carlino che non s’era mai staccato dal suo papà.
— Quali cattivi? — chiese ridendo il cavaliere.
— Quelli che ti hanno fatto del male….
— Zitto, zitto…. che non son discorsi da bimbi, questi…. A proposito, e la Olga e Giorgetto dormono?
— Son rimasti alzati fino alle otto, — rispose la Virginia. — Ma cascavano dal sonno…. Non vai a vederli?
— Or ora…. dopo lo spuntino….
La signora Clara si mosse per andar a sollecitare la cuoca, ma intanto Giovanni entrò con la zuppiera fumante.
— Oh, prendiamo i nostri posti, i soliti posti — disse Albissola spiegando il tovagliuolo. — Qua, Carlino…. Virginia, qua…. Là, Gustavo…. E lei, mamma, non siede?
— Si, sì, sediamo tutti…. Ma io ho pranzato.
— E anch’io, diamine! E con grande appetito.
La Virginia fece un segno di maraviglia.
— In primo luogo, — soggiunse Michele, — dalla piega che la faccenda aveva preso, io mi tenevo sicuro dell’esito. E poi, lo confesso, ho sempre mangiato di gusto, persino nel grosso della burrasca.
— Ha uno stomaco di ferro, — osservò Gustavo, natura subalterna, avvezzo ad ammirare per ogni lato il fratello maggiore.
— Per questo sì. Digerirei i sassi…. Virginia, una tazza di brodo?… Un sorso di vino?
La signora Clara si unì al genero per indur la figliuola ad accettar qualche cosa. — Sei quasi a digiuno…. Ti farà male…. Sforzati….
— Non posso.
— Quella creatura vive d’aria, — osservò la madre.
— Infatti è pallidissima, — disse il marito.
— Sono stanca…. Passerà.
— È l’orgasmo di questi giorni, — ripigliò la signora Clara. — Anche Carlino lo troverai giù di cera…. Anche lui è nervoso.
— Oh, io adesso sto benissimo, — saltò su il fanciullo. — E se mi dai un altro dito di quel Bordeaux…?
— Con l’acqua, mi raccomando.
Michele si voltò verso la moglie. — La cantina sarà quasi vuota?
— Siamo alle ultime bottiglie.
— La riforniremo….
— Oh, non c’è furia!… Non avremo mica corte bandita, spero….
E la voce della Virginia tremava.
— Corte bandita!.. No certo…. Ma non per questo ci chiuderemo in un eremo a far penitenza…. Sii sincera, t’è dispiaciuto ch’io abbia invitato per domani gli amici?…
— No, non dico questo…. Ma è per la massima…. Non possiamo scialar come prima.
Albissola si strinse nelle spalle. — Non s’è mai scialato…. Si spendeva in relazione alla nostra rendita, alla nostra posizione sociale…. Se poi è capitata una crisi, pazienza!… Ora, naturalmente, non siamo più quelli d’una volta…. Ma torneremo…. oh se torneremo!… Post fata resurgunt… Non son uomo da accontentarmi d’un posto subalterno, io…. Lo so bene che c’è della gente che vorrebbe vedermi umiliato, avvilito, che a questo patto m’accorderebbe forse il suo patrocinio…. Poveri sciocchi! Avranno un bell’aspettare…. Se non ho perduto la mia salute, la mia energia, il mio buonumore in questi dodici mesi, si figurino se mi lascio abbattere ora che son padrone di me, nel pieno possesso di tutte le mie forze e di tutta la mia intelligenza…. Ma non aver paura, Virginia…. Si può esser audaci e prudenti nel medesimo tempo, e tu non avrai più da passare quello che hai passato…. Via, via, non malinconie oggi…. E non bisticciamoci la prima sera che stiamo insieme dopo tante tribolazioni.
Alzandosi in piedi, Michele sfiorò con una carezza la guancia della moglie che arrossì e ritrasse il viso istintivamente. Egli sorrise. Indi, voltatosi verso Carlino che ormai stentava a tener aperti gli occhi, soggiunse: — Adesso poi, Carlino, va a letto.
Il fanciullo uscì dal suo dormiveglia con un sobbalzo. — Ma io non ho sonno.
— Carlino va a letto con il suo babbo…. — seguitò Albissola.
— Allora sì, allora sì, — gridò il figliuolo battendo le mani.
— Cioè, — corresse il padre, — il suo babbo l’accompagna, lo aiuta a svestirsi, lo mette sotto le coperte…. Così do un bacio a Giorgetto e alla Olga, senza svegliarli….
— Io ti mostrerò domani quelle carte, — disse Gustavo al fratello.
— No, tu vieni con me dai bimbi…. Dopo, andremo insieme nello studio….
— Ma, Michele! — esclamò la Virginia. — Va piuttosto a riposare.
— Eh, con Gustavo ci spicciamo in meno di mezz’ora.
— La tua camera è pronta.
— E qual’è la mia camera?
— Oh bella! La tua camera è…. la tua camera…. Di là….
E la Virginia indicò l’uscio a sinistra.
— Ma non l’occupava la mamma?
— L’occupavo, — rispose la signora Clara, — perchè la Virginia non fosse sola nell’appartamento…. Tu sei tornato e io risalgo al secondo piano.
Il cavaliere protestò vivamente. — Nemmen per sogno…. Fin che ci fa l’onore di restar con noi non voglio che si scomodi. Per questa sera domanderò ospitalità a mia moglie.
— Oh Michele! — disse la Virginia mal dissimulando la sua ripugnanza a secondare il desiderio di suo marito. — Ormai è preparato tutto; ormai la roba della mamma è stata portata su…. Dovrei far metter sossopra di nuovo ogni cosa…. a quest’ora…. E anche per la mamma sarebbe un disagio…. Non è vero?
— Per me, veramente, dormir su o giù sarebbe lo stesso; — rispose la signora Clara. — Ma non hai bisogno di dar nessun ordine…. Io vado nella camera al secondo piano…. e Michele farà quello che gli piacerà meglio.
— La senti? — soggiunse Albissola. — Siamo intesi allora?
— Ma no…. Giacchè la tua camera è disponibile…. E la mia è così piccola!…
Michele si mise a ridere.
— Ci si stava pure una volta!
Egli aveva un capriccio, e i capricci si aguzzano con le ripulse. Tirò in disparte la Virginia, le cinse amorevolmente la vita, e sussurrò:
— Sei stanca, sei nervosa…. Non m’attendere alzata…. Va intanto a coricarti…. Io verrò più tardi, verrò in punta di piedi.
Non le lasciò tempo di replicare e si voltò verso Carlino che s’era abbandonato sopra una sedia, con la testa rovesciata sulla spalliera.
Gustavo, che s’era chinato sul nipotino, disse piano:
— Dorme.
— Non lo svegliate; — ammonì la nonna. — Prendetelo in collo com’è…. Vengo su anch’io.
Mentre Michele prendeva il bimbo fra le sue braccia robuste, la Virginia slanciava un’occhiata supplichevole a sua madre.
La signora Clara le si avvicinò e la baciò teneramente sulle due guancie:
— Felice notte, tesoro mio.
— Resta ancora! — implorò la figliuola.
— Ts! — fece la signora Clara posandole una mano sulla bocca. E, a mezza voce, con accento grave e solenne, soggiunse: — Sei sua moglie e devi essere una buona moglie.
— Mamma! — chiamò Michele. — Viene?
— Eccomi.
— Felice notte, Virginia.
— Arrivederci, Virginia.
Gustavo precedeva con una candela accesa.
V.
La Virginia aveva licenziato la Luisa, e sola nella sua camera, seduta davanti allo specchio, faceva la sua toilette da notte. Due volte s’era alzata per dare il chiavistello all’uscio, due volte s’era rimessa a sedere senza porre ad effetto il suo proponimento. Aveva sempre nell’orecchio le parole di sua madre: — Sei sua moglie e devi essere una buona moglie.
Credeva di sognare. Già da quasi tre anni, dalla nascita di Giorgetto, una separazione di fatto era avvenuta tra lei e suo marito. Era avvenuta quietamente, tacitamente, senza spiegazioni reciproche. Michele era rimasto nella camera occupata durante il puerperio di lei, ecco tutto. E ora, dopo quel ch’era successo, egli le ridomandava l’ospitalità, e sua madre, anzichè difenderla, non sapeva dirle se non questo: — Sei sua moglie e devi essere una buona moglie.
Macchinalmente ella riappuntava alla meglio i lunghi capelli castani che l’erano caduti, sciolti, giù per le spalle, e guardava distratta la sua immagine nello specchio. Com’era pallida e smunta, come anche il suo sorriso (si sforzava di sorridere) era impregnato di tristezza! Non aveva che trentadue anni, ma l’ultimo aveva contato per dieci, e oggi ella ne mostrava quaranta.
Rivolò col pensiero al passato, quand’era fanciulla, e cento vagheggini le svolazzavano intorno, attratti dalla vivacità del suo spirito non meno che dalla leggiadria del suo volto. Il mondo le pareva così bello allora, le pareva così ricco di promesse l’avvenire. Poi s’era sposata, con un uomo scelto, voluto da lei, nonostante le obbiezioni di suo padre, a cui Michele Albissola non andava a genio. Ella invece non trovava il più piccolo neo nel suo preferito. Lui piacente d’aspetto, lui figlio e nipote di patrioti, lui esuberante di vita, d’ingegno, d’attività. Fu sua, fu per qualche tempo pienamente felice. Non a lungo però. Le prime nubi del suo matrimonio erano state nuvolette di gelosia. Michele si distraeva…. Oh come le sarebbe stato facile pagarlo di ugual moneta! Ella sdegnò questa forma di vendetta. Amava sempre suo marito, e un fondo ereditario d’onestà la salvava dai capricci passeggeri. Vi furono lacrime e singhiozzi, vi furono scene coniugali a cui tennero dietro i pentimenti e le paci. Quindi, o Michele Albissola salvasse meglio le apparenze, o in lei fosse minore la suscettività, o le cure materne l’assorbissero tutta, fatto si è che queste ragioni di dissidio andarono attenuandosi. Subentrarono altre, e sotto certi rispetti, assai più gravi inquietudini. Michele s’era slanciato a corpo morto negli affari; in breve era divenuto ricco e influente. Ambizioso per sua natura, egli, appena i mezzi cresciuti glielo permisero, portò addirittura una rivoluzione nella casa già modesta e tranquilla. Riammobigliato a nuovo il quartiere, aumentate le relazioni, sostituiti i banchetti e le veglie ufficiali ai desinari in famiglia e ai ricevimenti di pochi amici. E palco a teatro, e carrozza e cavalli, e toilettes sfarzose per la moglie, e vestiti eleganti pei bimbi che dovevano essere i primi dovunque andassero. Ella predicava contro l’eccesso delle spese, contro la smania di ricevere e di cacciarsi da per tutto; raccomandava l’economia, la previdenza, necessarie specialmente quando vi son figliuoli. Erano parole al vento. Suo marito le rispondeva che sapeva fare i suoi conti e proporzionare le spese ai guadagni, e che, del resto, metteva da parte ogni anno alcune migliaia di lire. Fors’era vero, ma ciò non bastava a quetare le apprensioni di lei. Ella rimuginava sempre nella mente una frase sfuggita a suo padre. — Le fortune accumulate troppo presto mi fanno venire la pelle d’oca. — Era stato un logorarsi continuo. Ogni successo finanziario di suo marito era per lei, anzichè una gioia, un dolore. A qual prezzo era ottenuto? Avvezza a mettere in cima a ogni cosa la probità, ella non reggeva all’idea che l’uomo ond’ella portava il nome potesse arricchire con mezzi illeciti. Con l’intelligenza aguzzata dal sospetto ne studiava gli atti, i gesti, le parole, lo scopriva leggero, privo di scrupoli negli affari, amabilmente cinico. E l’amore se ne andava come un liquido che svapora, e ne prendeva il posto una freddezza invincibile, una ripugnanza crescente verso colui che l’era stato sì caro. A sviarla per poco da questi pensieri era sopraggiunto un gran lutto domestico. Il suo babbo era morto dopo una settimana di malattia. Non erano trascorsi sei mesi, ella non s’era rimessa dal colpo tremendo quando cominciò a sentir discorrere di crisi, dei ribassi di valori, di fallimenti. Ogni giorno vedeva Michele più preoccupato, più chiuso in sè stesso. Ella, nonostante il raffreddamento dei loro rapporti, avrebbe voluto strappargli qualche confidenza, esser richiesta di consiglio, d’aiuto. Egli le rispondeva, sorridendo, che le donne non s’intendono d’affari. S’ella si dichiarava pronta a rinunziare a questa cosa od a quella, se proponeva di ridur le spese, egli scrollava le spalle. Erano inezie. Si sarebbero risparmiate poche migliaia di lire e si sarebbe perduto il credito. E diceva che non c’era da sgomentarsi, che il ciclone sarebbe passato. Lottava, lottava con un’energia alla quale sua moglie non poteva negare un tributo d’ammirazione. Invano. La catastrofe scoppiò terribile, quale la Virginia, nell’ore di maggior pessimismo, non si sarebbe aspettata. Più assai che una catastrofe economica era una catastrofe morale. Non la minacciava la miseria, perchè la sua dote era salva; la minacciava molto di peggio, la minacciava il disonore. Michele Albissola e altri pezzi grossi del mondo della finanza, amministratori d’un potente Istituto di credito, erano imputati di abusi, di malversazioni, di violazioni di Statuto, di complicità con ragionieri e cassieri, e venivano tutti arrestati e tradotti dinanzi alle Assise. Sulle prime la Virginia aveva sperato che l’arresto fosse un errore, che il processo, se si faceva, provasse luminosamente la falsità delle imputazioni. Nelle sue visite al marito, in carcere, sotto gli occhi d’estranei, ella sentiva che sarebbe uscita consolata se Michele le avesse detto con alterezza: — Sono innocente! — Non glielo diceva, non osava dirglielo; esprimeva bensì, appena seppe che la causa era deferita ai giurati, una fiducia grande d’essere assolto. Non capiva, con tutto il suo ingegno, che, condannato e innocente, sua moglie gli avrebbe reso il suo affetto e la sua stima; assolto e colpevole, ella si sarebbe ancor più alienata da lui.
E quel dibattimento, quel dibattimento interminabile, che supplizio era stato per la Virginia! E la difesa, la splendida difesa di Maggesi, il suo commensale di domani, che umiliazione anche quella! Il grande avvocato non era riuscito a scalzare il solido edifizio dell’accusa; aveva tirato in campo l’ambiente, le tentazioni, le malattie del secolo, tutte le scuse dei cuori pervertiti e delle coscienze corrotte…. E i giurati, forse corrotti e pervertiti essi pure, avevano assolto….
A questo punto un vivo rossore si diffuse sul viso pallido della Virginia. — Avresti preferito che l’avessero condannato? — le chiedeva, in tuono di rimprovero, una voce interna. Ed ella rammentava che in quei mesi di atroce martirio c’erano stati momenti in cui, con freddo egoismo, ella s’era acconciata all’idea della condanna di Michele, della temporanea disparizione di lui dalla famiglia, e non solo senza terrore ma quasi con una compiacenza segreta s’era vista sola al governo della casa, sola all’educazione de’ suoi tre bimbi. Avrebbe preso un quartierino ristretto, modesto, avrebbe tenuto una o due persone di servizio al più, sarebbe vissuta lontana dai chiassi, lontana dalla società. La Olga e Giorgetto, così piccini ancora, sarebbero cresciuti a modo suo, e lo stesso Carlino avrebbe finito col subire la sua influenza…. Come aveva cacciato da sè questi tristi pensieri, come s’era vergognata di averli avuti!… E negli ultimi giorni, come aveva invocato a qualunque costo quell’assoluzione che pur le pareva priva d’ogni valore morale!
Ebbene, Michele era libero; e quando Dorelli era venuto ad annunziarle il verdetto, una gran gioia le aveva inondata l’anima, un impulso spontaneo l’aveva spinta incontro al suo sposo, al padre de’ suoi figliuoli. Perchè quella gioia era passata così presto? Perchè quel risveglio d’affezione era durato così poco? Perchè la riassaliva un vago sgomento della vita che stava per ricominciare con l’unico uomo ch’ell’avesse amato? Perchè la minacciata intimità coniugale le destava una ripulsione invincibile? Perchè l’ammonizione materna: devi essere una buona moglie, le sonava come un’amara ironia?
Una buona moglie! Non bastava per esser tale ch’ella non disgiungesse la sua sorte da quella del marito, che fosse risoluta ad affrontare con lui le prove che il destino poteva ancora serbarle, a offrirgli i suoi consigli se li chiedeva, il suo danaro se ne aveva bisogno; non bastava che avesse perdonato e dimenticato? Era proprio necessario che consentisse a esser uno stromento di piacere, che immolasse rassegnata il suo pudore e la sua dignità?
Ma se la sua bellezza era tramontata, se la sua gioventù era sfiorita (e lo specchio glielo diceva senza cerimonie) che cosa Michele trovava in lei d’attraente?… Le labbra della Virginia si contrassero come per una nausea profonda, ed ella si coperse la faccia con le mani. Quel che trovava?… Trovava una donna…. dopo un anno…. e prima di poter trovarne altre più belle e più giovani…. Domani egli non avrebbe avuto che l’imbarazzo della scelta…. Per lei dunque era sufficiente difendersi sino a domani.
E di nuovo fece un movimento per chiudere a chiave l’uscio della sua camera, e di nuovo ricadde sulla sedia, paralizzata, convulsa. Aveva ella il diritto, ella, la moglie, di fornire una scusa al libertinaggio di suo marito? Respingendolo, mortificandolo oggi con una di quelle ferite all’amor proprio e alla vanità che sono le più difficili a cicatrizzare, non rinunciava ella forse a esercitar ogni azione benefica sopra di lui, non iniziava in famiglia un periodo di rancori, di bizze, di dispetti reciproci? E il dissidio crescente fra i genitori che conseguenze avrebbe avuto per la prole? Già Carlino, con la sua intelligenza precoce, aveva notato da tempo la freddezza esistente fra suo padre e sua madre, e, doloroso a dirsi, ma vero, teneva pel babbo! Chi assicurava la Virginia che, più tardi, non accadesse lo stesso anche della Olga e di Giorgetto, e che, se succedeva uno strappo fra lei e Michele, ella non si vedesse schierati contro tutti e tre i suoi figliuoli?
Ella trasalì sentendo nell’anticamera un suono di passi guardinghi e di voci sommesse. Era Michele che parlava col fratello. Si cacciò sotto le coperte, spense il lume, e premendo sul guanciale gli occhi e la bocca divorò le sue lacrime.