Erano in otto o dieci infervorati a discorrere di spiritismo, quali con la cieca fede di apostoli, quali negando o ridendo o stringendosi nelle spalle. A un tratto, un signore di mezza età, che sino allora aveva taciuto, un forestiero presentato quella sera nel crocchio sotto il nome d’ingegnere Belliati, prese la parola per chiedere:
— Qualcheduno di loro ha conosciuto il dottor Dreams?
— No. Chi era? Un inglese?
— Inglese o americano…. forse, — rispose l’ingegnere. — Parlava correttamente e speditamente tutte le lingue, compresa la nostra…. E forse non era nè americano, nè inglese…. E forse quel Dreams non era che un pseudonimo.
— Dreams…. sogni, — disse uno che voleva far sapere che capiva l’inglese.
Fioccarono le domande.
— Chi era?
— Vive ancora?
— Dove?
— Era un magnetizzatore?
— O un ipnotizzatore?
— O un medium?
— Un po’ di pazienza, — pregò l’ingegnere Belliati. — Se vive? Lo ignoro. Cinqu’anni fa lo incontrai a Parigi…. Poi non n’ebbi più notizia…. E non mi stupisce che qui nessuno lo abbia conosciuto perchè in Italia fu due volte sole, da semplice tourist…. Che cos’era? In fondo ignoro anche questo. Il suo biglietto da visita portava il titolo di dottore…. Dottore in legge? In medicina? In matematica? Chi lo sa?… Non era neanche uno spiritista nel senso ordinario della parola. L’ho sentito io burlarsi dei medium, protestar contro le puerilità dei tavolini giranti e scriventi, degli schiaffi e dei calci somministrati all’oscuro, delle voci misteriose, delle apparizioni grottesche, di tutto insomma quell’insieme di fenomeni che, se fossero presi sul serio, ripiomberebbero il mondo nelle tenebre del medio evo…. Eppure…, eppure il dottor Dreams era un grande ipnotizzatore e un grande evocatore. Due suoi esperimenti sono addirittura maravigliosi.
— Ella vi ha assistito?
— Ho assistito ad uno. Dell’altro ebbi la testimonianza di una persona che ne fu protagonista e che vi ha rimesso la salute e la vita.
— Oh diavolo!… Bisogna tenersi alla larga da questo dottore.
— Racconti, racconti.
— Principierò dall’esperimento a cui ho assistito io…. un esperimento di suggestione, d’ipnotismo.
Tutti tesero gli orecchi.
— Era a Ginevra, una sera, in un salotto pieno d’uomini e di signore della miglior società. Il dottore Dreams, cedendo alle sollecitazioni della padrona di casa, aveva fatto alcuni giuochi di prestigio bellissimi. Ma era evidente che da lui si voleva qualche cosa di diverso, qualche cosa che meglio rispondesse alla fama di taumaturgo da cui egli era stato preceduto…. Alla padrona di casa si aggiunsero le altre signore. — Via, non sia scompiacente…. una piccola suggestione, una trasmissione di pensiero, una divinazione…. Lei può, se vuole. — Il dottore si schermiva. Era stanco. Doveva andare all’albergo…. Io credo che per mezzanotte egli avesse un appuntamento galante…. Oh sì, quelle benedette femmine s’erano impuntigliate, e mentr’egli insisteva per accommiatarsi, una di esse gli prese di mano il cappello e lo passò ad un’amica perchè lo nascondesse. Visto che non c’era rimedio, il dottore Dreams finse di acconciarsi di buona grazia all’inevitabile e disse con un sorriso: — Vogliono aver la cortesia di seder tutti quanti in semicerchio davanti a me? — Mentre i presenti ubbidivano, già domati da una volontà superiore, non osando nemmeno chiedere di che specie fosse il saggio che il dottore si accingeva a dare, egli si rivolse a me che gli ero vicino e mi sussurrò con voce aspra: — Si pentiranno. Io li smaschererò tutti…. Io imporrò a tutti di svelare con un gesto, con una parola, con una frase quello ch’è in questo momento il loro pensiero più intimo. — E soggiunse: — Lei resti pure da questa parte. Ho piacere che vi sia un testimonio freddo e imparziale di ciò che sta per succedere. — Erano dunque disposti in semicerchio, uomini e donne, nell’immobilità forzata di chi posa davanti al fotografo; solo che qualche signora si ravviava macchinalmente le pieghe del vestito, qualche uomo si arricciava la punta dei baffi. Il dottor Dreams non disse nulla; si rizzò con tutta la persona (era già ritto prima, ma la sua persona sembrò allungarsi e irrigidirsi) e il suo sguardo cominciò a girar lentamente sui seduti, da destra a sinistra. Due volte girò, e gli occhi neri e profondi, ch’io vedevo riflessi in uno specchio appeso alla parete opposta, mandavano strani bagliori. Due volte girò, e uno strano malessere e un’inquietudine affannosa si dipinsero sulle fisonomie degli astanti, e un bisbiglio, come di gemiti repressi, come di preghiere soffocate, si diffuse per la sala. — No, — volevano dire quei gemiti, — non ci domandate questo. — Il dottore, impassibile, sorrideva. Non dimenticherò mai quel sorriso…. Dopo una pausa di pochi secondi, come per pregustare il suo crudele trionfo, lo sguardo del dottor Dreams si abbassò una terza volta, una terza volta girò da destra a sinistra, e l’indice proteso, girando anch’esso, additava di mano in mano la vittima. Un ultimo tentativo di resistenza apparve su quelle faccie contratte e scomposte; un ultimo gemito risonò doloroso, poi dalle labbra invano riluttanti uscirono le parole fatali. Fu prima una signora sui trent’anni, molto scollata, molto elegante, che si trasse dal seno un biglietto e lo baciò e ribaciò, sospirando: — Caro amor mio. — Seguì un signore dalle fedine bianche, dall’aria diplomatica che borbottò rabbiosamente: — Hanno osato di preferir quell’asino a me. — Seppi il giorno dopo che si trattava di un’elezione accademica e che l’asino era il nostro ospite. Venne terza una matrona assai decorosa, la quale disse: — Bisogna deciderlo a far testamento. — L’individuo che si voleva persuadere a far testamento (mi si raccontò l’indomani) era il cognato della matrona. Una sposa che le sedeva allato pronunziò con terrore una frase sibillina: — Se Carlo potesse immaginarselo! — Carlo era il marito. Una vecchia tinta e aggrinzita, con un collare di diamanti che le scintillava sul petto floscio, ebbe un grido dell’anima: — Sì, ti pagherò le cambiali, farò quello che vuoi, pur che tu non mi abbandoni. — Un banchiere si rivolse anch’egli a un interlocutore invisibile. — Lasciati far la corte dal ministro. Ciò mi servirà a ottenere la preferenza in quell’emissione. — Ma una delle uscite più sbalorditive fu quella di un pastore evangelico, tenuto in gran conto pel fervore della sua pietà e per la purezza de’ suoi costumi. — Susanna, noi viviamo nel peccato, il Signore ci punirà. — Certo che non tutti, parlando, tradivano un segreto colpevole. Una madre giovine evocò la cuna del suo bambino. — Il mio angelo dorme. Non vedo l’ora d’essergli accanto. — Due fidanzati profferirono con tenerezza infinita due nomi; egli il nome di lei, ella il nome di lui. E vi fu anche la nota comica, data dal padrone di casa, un personaggio goffo e melenso. — Che seccatura questi ricevimenti!… — In complesso però che cumulo di bassezze, di ridicolaggini, di vergogne! Che spiraglio aperto nel cuore umano, che colpo terribile assestato ai partigiani della sincerità ad ogni costo! Ma, secondo me, una delle cose più caratteristiche della serata fu questa. Le parole che via via si sprigionavano dalla bocca di quelli ipnotizzati colpivano per lo più qualcheduno dei presenti. C’erano mariti che raccoglievano dalle mogli stesse la confessione dell’adulterio, c’erano mogli fatte sicure dell’infedeltà dei mariti; c’erano cavalieri d’industria a cui si gettava in faccia l’accusa degli amori venali, e altri a cui si rivelava d’improvviso un’insidia domestica; e altri a cui, di dove meno potevano attendersela, era slanciata un’ingiuria. Eppur, sulle prime, nessuno parve accorgersi delle offese, nessuno rivelò le provocazioni; più che per quello che avevano udito erano tutti turbati, sgomenti per quello che avevano detto, per le nudità morali che avevano lasciato vedere. Lo scandalo scoppiò il giorno dopo. E insieme con lo scandalo vi fu un’esplosione di collera contro il dottore Dreams che forse avrebbe dovuto pagar caro il tiro che aveva fatto…. Ma il dottore Dreams era partito fin dalla mattina.
A questo punto l’ingegnere Belliati tracannò un bicchier d’acqua, e molti manifestarono il desiderio di commentare la sua narrazione, di chiedergli degli schiarimenti, di discuter con lui la natura dell’avvenimento singolare ond’egli affermava d’esser stato testimonio.
— Aspettino, — egli disse, — aspettino di sentire il secondo fatto, che, s’io non m’inganno, è molto più inesplicabile del primo. Poichè, a rigore, noi possiamo ammettere l’esistenza d’individui dotati d’una forza magnetica eccezionale che disarmi la volontà, che paralizzi momentaneamente quei freni per mezzo dei quali l’uomo governa i proprii istinti. A ciò s’era limitata quella sera, a Ginevra, l’azione del dottore Dreams. Probabilmente egli non sapeva quello che i suoi pazienti avrebbero detto. Sapeva che uno il quale non sia più in grado di sindacar sè medesimo dirà a voce alta molte cose che non vorrebbe dire nemmeno a voce bassa…. Quello che il nostro intelletto non sa concepire è la virtù di evocare gli esseri scomparsi….
— Perchè? Perchè? — interruppe uno spiritista fanatico. — È questo appunto il vanto maggiore della nostra scienza.
— Scienza?, — borbottò l’ingegnere tentennando il capo. — O non piuttosto negazione della scienza?… Del resto, io mi son espresso male…. Nel fatto a cui alludo non c’è stata una vera evocazione di morti. C’è stato di più.
Un uh d’incredulità accolse l’audace paradosso.
— Giudicheranno loro, — riprese Belliati. — Il fatto accadde a Bruxelles, e anche allora il dottor Dreams deve, come sempre, aver agito a malincuore…. Conoscendo le sue facoltà straordinarie, egli teme di abusarne. Sa che, spesso, dove tocca schiaccia. In quell’occasione gli schiacciati furono due uomini già sul limitare della vecchiaia ma ancor sani e robusti, due personaggi d’alto affare, che per la comodità del racconto lo distinguerò con due nomi, poco importa se reali o no, il senatore Giulio Charron, il consigliere di cassazione Edoardo Mareuil. Sembra che questi signori avessero dato pulitamente del ciarlatano al dottore. Egli li pregò di non metterlo al punto di provar loro quanto s’ingannavano. Essi lo sfidarono. Presenterò loro qualcheduno, — egli disse con calma. — Un morto? — Sì e no. — Come? — Vedranno…. A ogni modo i presentati saranno due. — E quando? — Oggi, domani, a loro scelta. — Nelle tenebre della notte? — Oh no, di pieno giorno. — E dove? — Dove credono; nel mio albergo, a casa d’uno di loro, per la strada. — Il senatore e il consigliere non vollero mostrarsi pusillanimi e risposero: — Sia per domani, al suo albergo, alle due pomeridiane. — Siamo intesi. — Puntuali al convegno, il Charron e il Mareuil furono introdotti da un cameriere dell’albergo in un elegante salotto ove il dottor Dreams li accolse con grande cortesia. Quel salotto i due visitatori lo conoscevano; c’erano stati altre volte a salutarvi dei forestieri e non vi trovarono nulla di mutato, nulla che potesse servire alle arti di ciurmatore. Ed ecco che, appena v’ebbero preso posto, videro entrare per l’uscio di mezzo, non introdotti da anima viva, due giovinetti imberbi, ai quali non darò adesso alcun nome. Mi limiterò a dire che l’uno era biondo e l’altro bruno. Potevano avere vent’anni al più, erano tutti e due di bella presenza, avevano l’aspetto di due studenti. Non c’era in essi nulla di strano, fuor che nel vestito che pareva tagliato sopra un figurino antico. Strinsero la mano al dottore, chinarono la testa agli estranei, e a un cenno del Dreams sedettero, il biondo di fronte al Charron, il bruno di fronte al Mareuil. I due vecchi erano già profondamente turbati, pallidissimi in viso. Chi erano quei giovinetti, l’uno dei quali, il biondo, destava una vaga, lontana reminiscenza nell’animo del Charron, l’altro, il bruno, produceva un effetto consimile nel Mareuil? Chi erano? E perchè il dottor Dreams non li presentava? Il senatore e il consigliere di cassazione si voltarono verso il dottore per chiederglielo, ma non ebbero il coraggio di formular la domanda. Egli era ritto in mezzo alla stanza, con le braccia incrociate sul petto, con lo sguardo fisso e dominatore; era il muto padrone di quegli spiriti e di quelle coscienze. Egli non voleva che pel momento i quattro uomini si dicessero il loro nome, e non se lo dissero; voleva che parlassero fra loro, e parlarono. Parlarono quasi sempre a due a due, il Charron col giovine biondo, il Mareuil col giovine bruno. Parlarono d’ogni argomento: di religione, di filosofia, di letteratura, di politica, d’arte, avendo, di tratto in tratto, qualche slancio di simpatia vicendevole, ma in fondo non riuscendo ad intendersi nè in politica, nè in arte, nè in letteratura, nè in religione, nè in filosofia. Ed era un dissidio più grave di quello che la differenza di circa mezzo secolo d’età non bastasse a spiegare. Poichè, quando si tratta di contemporanei, i vecchi esercitano un’influenza sui giovani, i giovani sui vecchi. Qui invece era il dissidio fra uomini di tempi diversi, come sarebbe se uno morto verso il 1848 fosse rievocato improvvisamente dalla tomba e chiamato a discutere nel 1898. A un certo punto il dottore disse: — E perchè non si scambiano i loro biglietti da visita? — Quelli ubbidirono. — Oh! — fecero i giovani con un gesto di maraviglia, dando un’occhiata ai biglietti dei loro interlocutori. Ma i due vecchi sentirono drizzarsi i capelli in testa, sentirono gelarsi il sangue nelle vene, mentre stringevano fra le dita tremanti i due cartoncini, ingialliti agli orli. Su quello del giovine biondo era scritto: — Giulio Charron, dell’Università di Gand. — Tali erano i biglietti del senatore quand’era studente. Su quello del giovine bruno si leggeva: — Edoardo Gastone Mareuil. — Edoardo Gastone! Il Mareuil era effettivamente Edoardo Gastone, ma da una quarantina d’anni non si faceva chiamar che Edoardo. Con le pupille fuori dell’orbita, con la voce rauca dall’emozione, il senatore ed il consigliere gridarono: — Qui si usurpano i nostri nomi. — Il dottore accennò con la mano: — Calma, calma, signori. Non precipitino i giudizi. — E rivoltosi agli studenti: — Tocca a loro, — soggiunse, — di provare che non hanno usurpato nulla. — Indi, ai due vecchi contraffatti, sbigottiti, il giovine biondo e il giovine bruno favellarono della casa paterna, della famiglia lieta e numerosa, ricordarono atti, gesti, parole di cari defunti, ricordarono i chiassi dell’infanzia, le scappate dell’adolescenza, le birichinate della scuola, ricordarono i primi dolori e i primi amori; tutto ciò insomma che nessun estraneo poteva sapere, ch’essi medesimi, i vecchi, avevano in gran parte dimenticato, e che oggi, per virtù di quella evocazione portentosa, riprendeva forma e rilievo nella loro memoria. Ma come? Ma come? Chi erano quei giovani? Erano loro stessi in un passato remoto? Erano loro stessi, e non s’erano riconosciuti, e, discutendo, non avevano avuto un’opinione comune?… Quale assurdità! Può l’individuo sdoppiarsi? Può, avanzando nella vita, lasciar dietro di sè un altro individuo che un giorno gli si riaffacci dinanzi?… E se non erano loro stessi, chi erano quei due giovani che sapevano tutto?… Con crescente terrore il Charron e il Mareuil fissavano i due esseri misteriosi…. sul petto del biondo brillava uno spillo d’ametista, dall’orologio del bruno pendeva un ciondolo d’oro in cui erano incastonate due piccole perle. Ma il Charron aveva portato quello spillo; ma il Mareuil aveva portato quel ciondolo; poi lo spillo era stato perduto al giuoco, il ciondolo era stato smarrito…. Era troppo…. Lenta lenta una nebbia si calò sugli occhi dei due vecchi; e in quella nebbia essi vedevano a poco a poco dileguarsi l’apparizione. S’allontanavano i giovani con un’espressione d’infinita malinconia. Pareva ch’essi dicessero: — Eravamo belli e forti, eravamo pieni di baldanza e di fede, e siamo diventati così! — Allorchè il senatore e il consigliere si risentirono, essi stringevano ancora fra le mani i biglietti da visita…. Quei biglietti non erano stampati in nessuna litografia della città; i due studenti, come non erano stati visti entrar nell’albergo, così non erano stati visti uscire. Nessuno li incontrò mai più, nessuno n’ebbe notizia. Il dottor Dreams lasciò Bruxelles nello stesso giorno. Il senatore Charron, precipitato di colpo nella decrepitezza e nell’imbecillimento, vegeta, credo, tuttora in una villa presso Liegi. Il consigliere Mareuil, più gagliardo, più energico, fece ogni tentativo possibile per chiarir la strana avventura ch’egli narrava a tutti e narrò anche a me. Viaggiò, cercò inutilmente il dottor Dreams. Alla fine quel pensiero assiduo, tormentoso, sconvolse la sua ragione, e, dopo alcuni mesi passati in una casa di salute, morì.
L’ingegnere Belliati si alzò in piedi. Quelli che lo avevano ascoltato con attenzione intensa chiesero ansiosamente:
— E il dottore, il dottore?
— L’ho detto prima. Non se ne sa nuova. Si sarà cambiato nome. Sarà tornato in Inghilterra, in America…. Sarà morto…. I taumaturghi non son mica immortali…. Buona notte, signori.
— Come? Se ne va?
— Sì. Chiedo licenza…. Ho qualche lettera da scrivere.
Non ci fu modo di trattenerlo.
— Che sia possibile?, — chiese qualcheduno alludendo alle cose narrate dall’ingegnere.
— E se fosse tutto un parto della sua fantasia?
— Chi è poi questo signore?… Chi ce lo ha presentato?
— Ce lo ha presentato Ugo Vertioli, che se ne andò subito con la scusa di una seduta.
Quella notte il crocchio non si sciolse che verso le due.
La sera dopo si domandò a Ugo Vertioli:
— Dov’è il tuo amico?
— Quale amico?… Ah, l’ingegnere Belliati…. Fu chiamato da un telegramma a Bologna…. Del resto, non è mio amico…. Ci siamo conosciuti in viaggio.
— Sai ch’egli ci empì la testa di storie meravigliose?
— Davvero?
— Sì…. E dice con gran serietà delle cose incredibili.
Uno borbottò:
— Già partito!… Ha le abitudini del dottor Dreams.
— E se fosse lui stesso il dottor Dreams?, — soggiunse un altro.
Si protestò vivamente. Quel nome faceva una singolare impressione a tutti.
— Ma insomma, — domandò Vertioli, — che cosa c’entra il dottor Dreams? Chi è?
— Come? L’ingegner Belliati non te ne ha mai parlato?
— Mai.
Allora il più eloquente della compagnia s’accinse a ripetere il racconto fantastico dell’ingegnere.
— Volete saper la mia opinione?, — disse alla fine Vertioli. — Io giurerei ch’è una storia inventata di sana pianta da Belliati, il quale ha voluto ridere alle vostre spalle.