I.

Era l’ora del tramonto e un silenzio di persone e di cose stanche chiudeva la grigia e triste giornata di febbraio. Come il buio sopravveniva rapidamente e penetrava nelle case, tutte le porte dei pianterreni, una dopo l’altra, s’aprirono sulla via e ancora per un poco l’ultimo chiaror freddo del giorno bagnò, ne’ poveri interni, della scarsa mobilia, qualche immagine, davanti alla quale ingialliva la fiammella d’una lampada, e la pallida sagoma d’un letto. Assunta Spina schiuse le sue vetrate e sulla soglia del «basso» trasse una seggiola, per un pezzo rimanendovi accanto, ritta, la mano sinistra sulla spalliera, le dita della destra tamburinanti sulla vetrata. Davanti a lei s’allargava la solitaria piazzetta di Sant’Aniello Caponapoli, tra le case alte, tra la chiesa, a manca, e il bianco fabricato del teatro anatomico. In fondo, l’arco del vicoletto di San Gaudioso pareva una gran porta spalancata, sbadigliante sull’oscurità della stradicciuola, già tutta confusa nelle ombre. Ma il giorno moriva come tra una infinita dolcezza. Nel lontano tintinnavano le campanelline d’una invisibile mandra di capre, arrivanti forse dalla strada d’Atri, o sparse a leccar le mura, laggiù, a Regina Cœli. E nella piazzetta di Sant’Aniello alcuni piccini giocavano sullo sterrato, sotto gli alberi nudi, ai cui vecchi rami la gente di laggiù attacca le corde per isciorinare il bucato. I piccini si rincorrevano senza gridare; a volte una risata argentina suonava nel silenzio, o una fresca voce infantile. Due amanti si spiavano alla finestra, scambiandosi la molle tenerezza dei loro sguardi.

A un tratto una campanella suonò l’Angelus, e accosto alla casa d’Assunta, smettendo di spazzar via un monte di bucce, donna Rosa la vedova si fece il segno della croce, abbracciando il manico della scopa.

— Voce di Dio! — sospirò. — Buonasera, Assù!

L’altra rispose:

— Buonasera….

E salutò lievemente con la mano.

La vedova scese nella via e le s’accostò, trascinandosi dietro la scopa.

— Come state?

— Come Dio vuole.

— Ma che faccia avete?

— Come che faccia?

— V’è successo qualcosa?

— A me? Niente! Ma perchè? Che ho in faccia?

E si guardò nella vetrata, in cui le sue forme, confusamente, si disegnavano.

La vedova si mise a ridere.

— Be’, non vi spaventate; così mi pareva. Forse perchè è da ieri che non vi vedo….

E guardando nel cielo soggiunse:

— Sarà il riverbero. E sarò gialla pur io.

Come l’altra sognava ancora a occhi aperti e non rispondeva, la vedova stirò le braccia, se le lasciò ricadere lungo i fianchi e tra uno sbadiglio e un sospiro balbettò:

— Ah! Signore Iddio, dacci forza!…

Raccolse la scopa ch’era caduta, girò sulle calcagna, guardò in cielo un’altra volta e quindi, voltandosi lentamente verso la Spina:

— Volete sentire la verità? — le fece. — Domani è festa e io, se fossi voi, me ne andrei in campagna.

Assunta Spina strinse le labbra e tentennò il capo.

— Voi i guai miei li sapete, donna Ro’. Se sapeste che campagna ci ho pel capo!

— Avete ragione.

Assunta rimboccò una manica e scovrì il polso sinistro.

— Guardate…. Soltanto l’ossa mi son rimaste….

— Ma lui che vuol fare?

— Lui che vuol fare? Io lo so che vuol fare…. Non entrate?…

— No, — disse la vedova, voltandosi per dare un’occhiata alla sua porta, — ci ho dei pannucci da stirare e i ferri sul fuoco. Be’, ma che vi dice?

— Dice che io sono pazza e che lui non prende mai l’acqua a due cisterne.

— Tutti così! — mormorò la vedova, e dette un’altra occhiata alla porta.

— Sentite, donna Ro’! — proruppe la Spina, bianca come una carta e tremante per tutta la persona. — Io lo so che meriterei d’esser bruciata viva, là in quel larghetto, in una botte di pece, per quello che ho fatto a Ferdinando mio, che m’ha perdonato cinque volte, come le dita della mano…. Io lo so…. E mi raccomando ogni notte a quella bella Madonna Immacolata che è sul canterano perchè non mi faccia fare una brutta fine come tant’altre….

— Gesù! — esclamò la vedova. — Lontano sia!…

— Meglio sarebbe! O pure me lo raccomando perchè mi faccia morire. Dico: Madonna mia, pigliami! Ferdinando se ne sposa un’altra. Figli non ne abbiamo fatti e io non lascio nessuno che mi pianga….

La vedova seguitava a mormorare:

— Gesù! Gesù! Non pare vero….

— Donna Rosa mia, datemi un consiglio! — disse la Spina, afferrandole il braccio e serrandoglielo convulsamente. — Ditemi qualcosa!….

— Figlia mia, che posso dirvi? V’avesse fatta qualche fattura?

La Spina, liberandole il braccio, ebbe un moto di collera.

— Ancora credete a questo, voialtre? La fattura è qui….

E si toccò in petto, al posto del cuore.

— Ma com’è vero Dio!… — minacciò.

— Ho i ferri sul fuoco… — disse la vedova. — Permettetemi….

 

II.

La Spina sedette, sulla soglia, puntando i gomiti sulle ginocchia e le dita medie alle tempie. Daccapo s’udiva un tintinnio che man mano si andava facendo più distinto. A un tratto una capra bianca sbucò dal vicolo degl’Incurabili e subito dopo una frotta di capre belanti le tenne dietro. Il capraio passò davanti alla Spina, la mazza sulla spalla, zufolando.

— Assù, latte ne volete?

— Dimani, — disse lei, senza muoversi.

Poi guardò nella strada e chiamò:

— Emilia! Emì!….

Una bambina s’era accostata alla fontanella e metteva la bocca al robinetto. Il vento le rubava l’acqua, allontanandole dalle labbra lo zampillo che si spandeva e si frangeva per un altro verso. La piccina s’ostinava e si bagnava tutta.

— Che sete! — mormorò, tornandosene, e ripassando il grembiale sulla faccia.

Assunta l’aveva afferrata pel braccio e se la trascinava in casa.

— Che t’ha detto Sofia? Da me t’ha mandata, non è vero?

— Sì; la principale m’ha detto: va da donna Assunta, a Caponapoli….

— E che t’ha detto?… Su!

— M’ha dato questo.

Era un pezzettino di carta, il bianco margine d’un giornale, su cui era scritto con la matita.

— S’è bagnato alla fontanella, — si scusò la piccina.

Al lume della lampada Assunta lesse, balbettando: «Quella persona si piglia una di Soccavo e hanno fatto tutto».

Diventò pallidissima; la sua mano si stese alla spalliera del letto maritale e vi si afferrò.

La piccina aspettava.

— Che devo dirle?

La Spina s’era abbandonata su d’una seggiola e chiudeva gli occhi, come in uno smarrimento di persona ferita la quale si sviene alla vista del sangue che perde. La bambina ripetette:

— C’è risposta? Che le devo dire?

— Che va bene… — balbettò Assunta. — Che la ringrazio tanto e la saluto….

L’altra era già sulla soglia. Ma si volse, subitamente, per annunziare:

— Piove.

Si tirò in testa lo sciallettino, raccolse le gonne e scappò, con un piccolo grido al vento ed all’acqua.

La Spina accostò alla bocca il vigliettino e si mise a lacerarlo in punta di denti, sputandone intorno, rabbiosamente, i minuti pezzetti.

 

III.

Una grossa voce maschile, mentre suonavano sul pavimento due stivaloni, domandò:

— Si mangia? Facciamo presto, chè ho fame. E sotto la cappa del focolare un uomo si chinò, protendendo le mani alla brace della fornacetta, scoverchiando la pentola da cui saliva una nuvola roteante, il vapore appetitoso della minestra. La pentola cominciava a ronfare.

La grossa voce soggiunse:

— Posso?

E una faccia barbuta, tutta arrossata dal fuoco, si volse.

La Spina badava a stendere il mensale.

— Sarà fredda…. — osservò.

— Per me è lo stesso, — fece il marito, — calda o fredda qui ha da scendere.

E si batteva sul ventre.

Sedettero l’uno in faccia all’altra e l’uomo si mise a scodellare.

Dopo tre o quattro cucchiaiate levò la testa dal piatto.

— E tu che fai? Non mangi?

Ella, tutta assorta, le sopracciglia aggrottate, si lasciava raffreddar davanti la minestra.

Rispose:

— Non ho fame.

E soggiunse subito:

— Ho mangiato una «pizza» con la vedova.

Vi fu un lungo silenzio. Mentre il muratore inzuppava il pane nella minestra e ve lo ripescava con le grosse mani ancora incrostate di calcina, a un tratto la moglie annunziò, lentamente:

— Peppino il sarto sposa una di Soccavo.

L’uomo la guardò, meravigliato. Parve che non avesse compreso.

— Come? Chi sposa?

Ella ripetette, fissandolo con i suoi occhi scuri e profondi:

— Peppino il sarto…. sposa una di Soccavo…. Hanno fatto tutto.

Egli rimase muto. Ma era colpito, così che più volte si sforzò di rispondere, senza che le sue labbra potessero articolare parola. Finalmente, senza pur levare lo sguardo, mormorò:

— Be’; e che me ne importa?

— A me sì! — disse la Spina

Si guardarono un secondo. Lui torse lo sguardo pel primo, si versò un gran bicchiere d’acqua, lo bevve d’un fiato e rimise i gomiti sulla tavola. Per un pezzo grattò con l’indice sul mensale, vi allineò le michette di pane, scompose quelle linee, spazzò il mensale con la larga mano e ve la poggiò aperta, contemplandosi le dita brevi e nodose.

Assunta ripetette:

— Hai sentito? A me importa. Te lo dico per offenderti….

Allora lui, di su la tavola, allungò il braccio e le posò l’enorme mano sulla spalla. Chiese, placidamente:

— Ricominciamo?

S’era levato e misurava la camera a grandi passi. Tornando dalla vetrata per la quale avea guardato, rapidamente, nella strada che or s’era fatta buia e deserta, si venne a piantare davanti alla moglie.

— Senti. Quello che io ho fatto a te nemmeno te l’avrebbe fatto quel Dio che ci ha creato, — e portò la mano al berretto. — Ma tu non ti sei pentita mai, e questa è un’altra volta ch’io ti stendo la mano e tu me la mordi. Io passo e la gente mi ride in faccia. Oramai la vergogna nostra la sanno tutti….

E levò le braccia, e urlò come un pazzo:

— Tutti! Tutti la sanno!…

Si percosse la faccia con le palme, due, tre volte, fortissimamente, e cacciò le mani nei capelli.

— Madonna Immacolata mia! — gridò all’immagine del canterano. — Oggi è venerdì….

Ma non ebbe tempo di finire. La vetrata s’apriva e un uomo, chiudendo l’ombrella, salutava dalla soglia:

— Buonasera a tutti….

— Sangue di Cristo! — urlò Ferdinando.

E afferrò qualcosa che luceva sulla tavola.

Peppino il sarto balbettò:

— Don Ferdinando…. sentite!… Ah! Madonna mia!…

E all’urto di quel gigante che gli si gettava addosso con una rauca imprecazione, cadde tra il letto e il canterano. La Spina si coperse la faccia con le mani. I colpi si seguivano.

Il muratore, accecato, inferociva:

— Questo è per me, questo è per la sposa di Soccavo, questo è per Assunta….

E a ogni colpo seguiva un rantolo soffocato. Dal corsello del letto la Spina supplicò:

— Basta!…

E il gran muratore, come se continuasse a obbedirle, si levò, tutto coperto di sangue e gettò il coltello. Alle sue spalle si apriva la vetrata.

Lentamente, retrocedette, e scivolò nella via. La vetrata si richiuse.

Ma un gran clamore si faceva nella piazzetta. La vedova, di sotto alla sua porta, gridava:

— Gente! Gente!

Dal vicolo San Gaudioso arrivava la pattuglia delle guardie che tornavano dalla visita alle male case del vico del Sole. La piazzetta s’illuminava; brillavano lumi alle finestre, altri lumi s’inseguivano tra gli alberi.

— Dov’è? Dov’è? — chiese il brigadiere.

La vedova indicò la casa d’Assunta.

Il brigadiere comandò:

— Due uomini qui avanti.

E spinse la vetrata. Il corpo del sarto era steso a terra, presso alla tavola, immobile. Una pozza nera gli s’allargava sotto alla spalla destra, sotto alla testa.

— Sagrestia! — mormorò il brigadiere.

E guardando intorno nella stanzetta:

— Chi è qui? — chiese, a voce alta. — Chi è che l’ha ucciso?

Allora dal corsello del letto si fece avanti la Spina. Ella aveva in mano il coltello sanguinante e lo mostrava.

Si mise la mano in petto e disse, chiaramente:

— Io, signor brigadiere.